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Carla Bruni

di Filoteo Alberini

"La bellezza, la vera bellezza, finisce dove inizia l'espressione intellettuale". Oscar Wilde ci capiva molto dell’argomento (infatti era orribile). Se ne tiriamo volgarmente le somme la cosa è semplice semplice, uno non può essere bello (in senso categorico, kantiano, assoluto, indiscutibile) e poi essere anche intelligente, creativo, profondo, andarsene in giro con qualcosa da dire. Il suo contributo al mondo e alla filosofia lo dà già portando a passeggio il suo organismo. Chi non ha testa ha gambe, "chi no gà sùche gà màs’ci" (chi non ha i maiali ha le zucche per nutrirli - antico adagio veneto). Avrete già capito che questo disco mette in crisi questo pensiero millenario. Carla Bruni è fuor di dubbio bellissima (no, non sto guardando le foto del cd, quelle stanno tra i servizi di Vogue e primi piani da bomboniera della prima comunione, il fotografo probabilmente prima lavorava alla Valle Spluga). E questo suo disco è piuttosto bello, direi. Carico, suadente, completo, opportuno. Senza paura della nudità, anzi. Rifiuta la complessità, emana un'armonia monocellulare che incredibilmente ti tocca e ti cattura. Chitarra acustica, arpeggi e giri di accordi che si sciolgono tranquillamente come in una serata tra amici, e poi ecco, quel filo di voce roca al punto giusto, che sussurra, bisbiglia, fragilissima. Ci sono canzoni memorabili (“Quelqu’un m’a dit”), ballate azzeccate (“J’en connais”), squarci di poesia totale ("Ognuno è strano/Ognuno ha l’anima immischiata/Ognuno ha l’infanzia che fa le fusa/in fondo ad una tasca dimenticata/Ognuno possiede i resti dei sogni/E gli angoli di strade devastate", “Tout le monde”), una versione bilingue de “Il cielo in una stanza” (davvero struggente, davvero da brivido). Le donne, figurandosi che questo frutto meraviglioso viene da una loro simile così somaticamente perfetta, odieranno disco e autore. Tutti gli altri invece gioiscano con noi per l’ascensione di questo essere superiore.

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