Kishio Suga appartiene alla corrente artistica giapponese Mono-Ha, letteralmente “La scuola delle cose”. La sua particolarità espressiva consiste nell’utilizzo di materiali grezzi e non lavorati come pietra, legno, corde, vetro. Oggetti semplici che non hanno altra funzione se non quella di occupare lo spazio. Nessun significato, nessun racconto: solo il puro rapporto tra l’uomo, la percezione e le cose.
In realtà, la Mono-Ha più che una corrente artistica rappresenta prima di tutto una vera e propria scuola filosofica. Uno dei suoi massimi esponenti, Lee Ufan, ebbe a dire: «In verità il lavoro del pittore, invece di dare pace alla mente e serenità alla gente, è tutto volto a esplorare in che misura lo sguardo della gente possa essere distolto dalle cose che essi hanno sempre creduto essere la realtà». In questo senso, la Mono-Ha non intende interrogarsi sui fondamenti estetici di un’opera d’arte. Non le interessa indagare l’effetto che questa produce sullo spettatore. Piuttosto, l’arte è vista come provocazione atta a mettere in questione tutto ciò che arte non è. L’opera è un evento scioccante. Una breccia aperta nel mondo, nella visione quotidiana che di esso abbiamo. Normalmente gli incontri che abbiamo con le cose non suscitano in noi alcuna meraviglia. Gli oggetti che usiamo, le strade che camminiamo ci stanno di fronte come qualcosa di ovvio, di familiare, di non problematico. Al contrario quando un oggetto diventa il protagonista di un’installazione ci troviamo come senza parole, le domande fluiscono senza trovare risposta. La visione del mondo che ci permette di leggerlo e interpretarlo si offusca.
Questo, secondo Suga e la scuola di Mono-Ha, è l’effetto catartico che identifica e rende esclusiva l’opera d’arte. Non importa quale ne sia il contenuto specifico: anche un semplice pezzo di legno posto al centro di una stanza bianca può mettere in discussione tutte le categorie attraverso cui diamo significato alla realtà. Il processo con cui diamo senso al mondo deve ricominciare daccapo e ci troviamo a rivivere e riscoprire la meraviglia per il fatto stesso che qualcosa c’è. Sempre di nuovo la scuola di Mono-Ha ci ripropone la domanda fondamentale: «Perché l’essere piuttosto che il nulla?».
Scritto da Giacomo Dini