Che qualcosa fosse andato storto era già chiaro durante le serate in fiera dell’anno scorso: capannoni troppo grandi con spazi troppo vuoti e un pubblico un po’ spaesato. Il rischio l’avevamo già avvertito qualche giorno prima quando Antonio Puglisi, co-fondatore di robot, in un’intervista ci aveva detto: “Il festival è diventato una piccola/media azienda: durante i giorni della manifestazione lavorano per noi quasi 350 persone, l’investimento generale supera il milione di euro e tutto ciò richiede grande attenzione e dedizione”. Ed eravamo rimasti a bocca aperta davanti a quella cifra. Stupore diventato però incredulità davanti a un’altra cifra uscita più tardi: quella del buco di bilancio di 300mila euro. Lo abbiamo pensato in tanti a quel punto: per roBOt finisce qui. E con grande amarezza perché avevamo intravisto qualcosa di nuovo e una Bologna che finalmente guardava oltre le sue solite mura.
Poi le grandi illusioni, si sa, quando svaniscono fanno un brutto rumore.
Chi l’avrebbe detto, insomma, che dopo una mazzata del genere questi avrebbero ancora avuto la voglia e il coraggio di ricominciare? “Un nuovo inizio”, come in quelle relazioni che dopo un brusco arresto provano a rinascere. Come a dire: “Bologna mi vuoi ancora? Certo non posso più offrirti le grandi cose di un tempo, ma ti ricordi com’era quando ci siamo conosciuti? Ecco, sono sempre io”.
Detta con parole loro: “L’intento resta lo stesso: arrivare a un punto diverso da dove eravamo partiti, lavorando sulla qualità del tragitto”.
Ecco allora la nona edizione, che si stabilisce all’ex Ospedale dei Bastardini e fa tappa al Cassero, puntando su una line-up che segna un cambio di percorso, con nomi che smuovono un immaginario clubbing dove le parole “ricercato” e “qualità” compaiono sempre. Troviamo così il colosso della Chicago House più radicale Hieroglyphic Being, il viaggio fantascientifico di Space Dimension Controller, lo sleep concert di Rabih Beaini, i nuovi orizzonti di Aurora Halal, la techno mascherata di dj Stingray 313, i continenti lontani di Beatrice Dillon o la curiosa collaborazione tra Dewey Dell e Massimo Pupillo degli Zu. E ancora Nicola Ratti, punta di diamante della scena avanguardistica milanese, la jam senza confini di Dwarfs Of East Agouza, e poi i The Analogue Cops, The Grasso Brothers, Quiet Ensamble, Primitive Art, i Mop Mop Electric Trio con l’innesto temporaneo di Wayne Snow e grandi nomi di domani come Peggy Gou e Route8.
Insomma, roBOt c’è ancora, e col suo vestito nuovo a noi piace anche di più.
Scritto da Joe Teufel