Nell’unica intervista a Carla del Forno che sia riuscita a intercettare, tutto sembra aver preso forma fra i contorni poco solidi di case decadenti e abbandonate in cui la solista australiana ha vissuto. You Know What It’s Like è un cerchio di droni parzialmente dispersi nella distanza. Questa “O” di chitarre lontane e riverberi si chiude attorno all’elegia di un synth core post-punk, di un beat (post)industrial scandito sul dilatarsi del tempo così da farti ritrovare in mezzo ad atmosfere dub e una voce minimale come l’estetica che racconta. Album di debutto, registrato tra Melbourne e Berlino e apparso a ottobre su Blackest Ever Black, il lavoro sperimentale della Del Forno eppure non è da contrapporsi del tutto alla maneggiabilità del pop, come lei stessa afferma in un’ottica nuova della faccenda. Determinate sonorità in bassline cupe e destabilizzanti non sono forse in definitiva lo specchio di un’economia claustrofobizzante della vita che ci scorre come dita su schermi di smartphone e su cui bisogna aggiungere degli effetti – come ad esempio pioggia e percussioni metalliche in Fast Moving Cars, vento e porte che si chiudono in What You Gonna Do Now – per riscoprirsi umani?