Non esistono due dischi degli Ulver uguali: dal black metal al trip-hop, dal folk alla drum’n’bass, dall’ambient alla musica da camera più tutto quel che passa in mezzo, il tutto disegnando declinazioni sempre nuove, sempre imprevedibili. Dare una forma, un senso, all’inaspettato è la ragion d’essere alla base del concetto che il nome Ulver è arrivato a evocare spontaneamente; lo sa bene chi continua a seguire il percorso di una band che trascende il concetto stesso di “band”, che da quando ha cominciato a esibirsi con una certa estemporanea regolarità ha ben presto superato le asprezze che avevano reso le prime escursioni italiane una sorta di prova generale per quel che sarebbe venuto poi. Oggi, ogni data degli Ulver fa storia a sé; nello specifico, questa rischia di settare standard già in partenza irraggiungibili per le successive. Gran parte della differenza la mette la location, da sola in grado di elevare a livelli impensabili la potenza di fuoco di uno spettacolo visuale senza precedenti nella storia del gruppo; il resto, come diceva Neffa, è nella mente. Labirinto della Masone ancora una volta catalizzatore e moltiplicatore di energie incalcolabili da altri mondi. Una sola controindicazione: dopo, qualsiasi altro concerto in ogni parte del mondo sembrerà la povera scusa di un concerto.
Scritto da Matteo Cortesi