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Mad Max: Fury Road

Il quarto capitolo della saga post apocalittica di George Miller dedicata al guerriero della strada

Scritto da Emilio Cozzi il 29 giugno 2015

È un camion sparato a tavoletta per 2 ore. Non decelera mai. E in tutti i sensi, anche metacinematografico. Racconta una fuga e un inseguimento. Tutto lì. Proprio nel senso che dentro ha tutto, molto più di quanto tre dei trailer più belli degli ultimi 10 anni già promettessero, compresa una quantità di intuizioni visive che nei soli primi 5 minuti già umiliano un “Avatar” qualsiasi. Max è tornato, ma che sia un sequel importa zero. Fuori dal tempo e oltre lo spazio. Grugnisce, morde, mangia lucertole uscite dalla Springfield dei Simpson, spiccica sì e no 10 battute, come il Conan di Schwarzenegger. È l’Uomo diventato animale. Ma non fino in fondo, tutt’altro. Sono i suoi occhi a raccontare la voglia di rinascere, un impeto anarchico, un urlo furioso contro qualsivoglia imposizione religiosa, mistica o economica che sia. È fantascienza e azione come non se ne vedevano da 20, 25 anni. È coreografia sublime dei corpi e dei mezzi. D’altronde in un film in cui tutto è (in) movimento, nulla si ripete. È un’esplosione che sembra incontrollata, kitsch, visceralmente punk, ma che mai nel cinema recente sembrò così consapevole (“Fast & Furious” fate ciao). È come dovrebbero o vorrebbero essere tutti gli action moderni, quei bellissimi vuoti a rendere. E non ha un dettaglio, uno, fuori posto. Le Madri, le Donne – alla faccia del femminismo qui sono incarnazione di purezza e speranza – Charlize Theron, ogni villain, pure Megan “ciuccio intorno a te” Gale: ogni personaggio ha carisma e statura da vendere. Ogni sequenza è lì dove dev’essere. E dopo due ore, quando i vostri sensi riemergeranno come da un’immersione, vi sorprenderete nel non aver visto altro che un inseguimento. E nel volerne ancora. È il film più sensato e significativo degli ultimi anni. È un nuovo paradigma. E già un classico. Tutto in un inseguimento.