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H501L

Poche settimane fa Radio Città Aperta, storica stazione di Roma posizionata sugli 88.9 - è passata (forzatamente) al digitale. Abbiamo chiesto un commento - che si è trasformato in un lungo racconto - a chi ha animato una delle trasmissioni più intelligenti di sempre dell'etere capitolino (e non solo). Lui è H501L, la trasmissione Musica Machina.

Scritto da Nicola Gerundino il 29 marzo 2016
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Recycle, Mamma Roma, Centro Suono Roma. E ancora, La Danza della mente, Eloquens, Radio Città Aperta, Radio Onda Rossa. La storia dell’elettronica romana è passata anche per l’etere e uno degli snodi fondamentali porta il nome di H501L, musicista e uomo di radio che ha messo la sua firma in tutte le realtà sopra citate. Uno dei suoi progetti migliori e più intelligenti però non lo abbiamo ancora elencato: si tratta di Musica Machina, programma legato alle frequenze di Radio Città Aperta, stazione che da poco ha dovuto forzatamente abbandonare i suoi 88.9 sulla modulazione di frequenza e passare al digitale. È stata l’occasione (amara) per ripercorrere assieme la storia di Musica Machina e di come Roma abbia maturato un animo elettronico anche grazie agli ascolti radiofonici.

Iniziamo dalle presentazioni: come ti chiami, dove e quando sei nato?
Mi chiamo H501L e, come si evincerà dal mio nomignolo d’arte, sono nato a Roma. Da cosa si evince? Semplice: è la desinenza finale del mio codice fiscale. Sono del 1964, i Beatles in quell’anno fecero “A Hard Day’s Night” e in Italia non si sapeva neanche chi fossero, eccetto naturalmente qualche coraggiosa e immancabile nicchia. Ho quindi i miei annetti.

Ti ricordi il primo disco che hai comprato?
Sono praticamente nato con i vinili in mano. La mia mamma e la mia nonna già da piccolissimo, mi portavano 4 5giri di fiabe e canzoni famose d’epoca, tra italiane e straniere. Ricordo tenevo questi 45 giri tutti ammonticchiati sul divano, molti dei quali erano senza copertina. Ero in età pre scolare, ma ricordo benissimo che riuscivo comunque a scegliere il vinile giusto da infilare in un vecchio mangiadischi. Tutto solo in base alla lunghezza delle scritte e del colore delle etichette stampate sopra, perché non sapevo ancora leggere. La mia prima fascinazione per la musica nasce proprio da qui. Ed infatti il suono che adoro e che amerò per sempre di qualsiasi genere musicale è quello tra il 1966 e il 1971, un suono irriproducibile a freddo con nessuna delle nuove tecnologie.

Dunque, il mio primo disco. Scartando i 45 giri, ricordo quando finalmente ottenni come regalo per la promozione mi sembra in quarta elementare, un vero giradischi per ascoltare i long playing, ecco, da quel momento diciamo che dovetti fare la mia prima tremenda scelta, ovviamente in base al costo altissimo dei dischi di allora. Scelsi allora due album: un greatest hits di Barry White con The Love Unlimited Orchestra e Suzie Quatro con 48 Crash. Praticamente il primo vagito della disco music con del tardo rock’n’roll. Furono i miei due primi lp: tesi e antitesi, Yin e Yang, due mondi distinti e distanti forse per ragioni di scaffale di chi voleva la divisione netta del pubblico, di cui non ho mai avvertito l’esigenza. I miei gusti sono sempre stati un po’ di frontiera: borderliner e mai sacerdote nel culto di un genere solo. Da quel momento diciamo che divenni un abituale frequentatore di negozi di dischi.

Quello che ti ha fatto innamorare dell’elettronica?
L’innamoramento per l’elettronica per me è stato lento, graduale ma inesorabile. Provengo dalla cultura rock. Rock che parte, diciamo, dalle origini fino alla fine degli anni 70, ovvero il tempo della mia prima adolescenza. Ecco, per me l’anno in cui il rock traccia la prima vera linea di demarcazione è il 1979, anno in cui muoiono i poderosi batteristi di Led Zeppelin e Who, ovvero rispettivamente John Bonham e Keith Moon. Non c’è quindi un brano solo che mi avvicina all’elettronica. Potrei dire Radioactivity o Trans Europe Express dei Kraftwerk e me la caverei facilmente. E invece no, c’erano anche altri segnali che coglievo in certa musica progressive, in Jean Michael Jarre, negli Area, e negli stessi Who con le loro sequenze portanti di Baba o’Riley, Won’t Get Fooled Again fino a Who Are You?. Addirittura nella Musica ribelle di Finardi nel ’77 (quindi contemporanea ai Kraftwerk di Trans Europe Express) dove coglievo segnali forti specie nel punto in cui cantava “Alle porte del cosmo che stanno su in Germania” e via con una fugace esplosione da chissà quale synth modulare. Il suono della contemporaneità dei miei tredici anni insomma.

Hai iniziato prima a scrivere musica o fare radio?
Ho iniziato prima con la musica. Sono autodidatta in tutto. Prima con la chitarra poi con la batteria. Diciamo che cambiare band e sala prove è stato il mio hobby preferito per tutti gli anni 80. La radio subentra proprio in quegli anni, tra l’82 e l’83 per l’esattezza, e il mio primo approccio col mezzo fu a Radio Onda Rossa. Dopodiché, dopo un lungo periodo di stop, torno a fare radio, stavolta nel 1995, su Power Station, con un programma tutto mio denominato La danza della mente. La radio era allora diretta da Luca Cucchetti. Da quel momento in poi ebbe inizio un formidabile ciclo creativo con un laboratorio che si andò via via a sviluppare. Dapprima col successivo innesto di Emilio Loizzo, unitosi dal 1996 in pianta stabile nel programma, poi con tanti altri ospiti a rotazione. Ci sentivamo un po’ pionieri di un nuovo modo di fare radio emozionale, attraverso l’utilizzo di ottima musica elettronica e non, tutta rigorosamente in vinile e in un continuo gesto di improvvisazione live, con svariati spunti sonori presi qua e là. Da questo laboratorio nascono i Recycle con due album, Mamma Roma Addio con Remo Remotti, svariate partecipazioni a compilaton e diverse altre cose. L’esperienza di Power Station si concluse, anche in quel caso, perché fu ceduta la frequenza. Era il 1998. Questi sono stati i nostri anni novanta.

Quali erano i mezzi con cui ti informavi sulla musica?
fz mag tuttifrutti 82aHo consumato stampa musicale per tutti gli anni 80. Leggevo Rockstar, Rockerilla, Tuttifrutti etc. Ma ero sempre insoddisfatto. I dischi che consigliavano quasi mai mi piacevano. I critici erano perlopiù dei vetero rockettari incapaci di guardare avanti. Ricordo ad esempio un bel 3 appioppato senza appello all’album Licensed To Ill dei Beastie Boys. Nel quasi nulla in cui ne parlavano, Pump Up The Volume, Harbie Hancock di Rock It o la nascente scena di Detroit era considerata alla stregua di robetta per coatti. A differenza dei loro gusti, trovai che il rock negli 80, oltre a non avere più nulla da dire eccetto sporadici casi, non potesse neanche più essere la scimmiottatura postuma del bello che fu un decennio prima. Quindi abbandonai la lettura di queste riviste in blocco e la musica me la andai a cercare da solo o tramite passaparola e finalmente senza cosiddette “guide specializzate”, andando quindi a fiutare qua e là.

Qual era, invece, il tuo rapporto con il mezzo radiofonico, c’era qualche trasmissione – anche non musicale – che seguivi?
Per buona parte degli anni 70 non era facile accedere all’ascolto di buona musica. Le radio libere erano di di là da venire, c’era solo la Rai con il suo monopolio radio e tv che però, va detto, ogni tanto faceva ascoltare anche cose interessanti che uscivano dal seminato, penso a Supersonic – Dischi a Mach-2 della prima metà dei 70. Ma la trasmissione culto che mi ha segnato irrimediabilmente fu Alto gradimento di Arbore e Boncompagni, che con l’innesto di personaggi strampalati e surreali animati dalle voci di Bracardi e Marenco: fu un autentico manifesto di come la radio stesse cambiando. Nessuno prima di loro ha saputo meglio interpretare in un unico format radiofonico la saldatura tra intrattenimento e buona musica. Il surrealismo con cui condivano le loro gag restano tutt’oggi vette di alta scuola. Un laboratorio da dove spesso e volentieri è stato attinto anche per Musica Machina. Ineguagliati, anzi inarrivabili quelli della banda di Alto Gradimento.

Arriviamo a Radio Città Aperta, come sei venuto a conoscenza di questa Radio e quando hai deciso di proporgli una tua trasmissione?
Dopo Power Station, faccio con Emilio Loizzo una breve ma intensa tappa a Centro Suono e nel ’99. grazie a Prince Faster, arrivo finalmente a Città Aperta. All’epoca non c’era ancora una vera e propria redazione musicale. Continuai il discorso interrotto nella vecchia Power Station, godendo comunque della stessa libertà totale. Nel mentre, avevo un po’ allargato il bagaglio di esperienze e collaborazioni basate sulla post-produzione radiofonica. Tra queste, lo spazio di pochi minuti che Prince ci concesse all’epoca in cui gestiva un programma in un’altrettanto famosa emittente. Dopo un po’ di trambusto, torno quindi a fare finalmente radio live su Città Aperta. Altri due anni di sperimentazioni e maturai l’idea di un nuovo contenitore che avrebbe poi preso il nome di Musica Machina.

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Quando è andata in onda la prima puntata di Musica Machina, ti ricordi cosa avevi preparato per quella puntata e che dischi avevi selezionato?
Era sabato 8 Dicembre 2001. Ricordo tra le altre cose in scaletta c’era anche un vecchio live di Aphex Twin. Come musichetta introduttiva per le presentazioni di Eloquens (la voce robot che “conduce” il programma e di cui parleremo più avanti, nda) scelsi Amore grande amore libero, vecchio successo datato 1975 del Guardiano del Faro. Era una suadente ballata melodico strumentale tutta a base di Moog. Era anche per sfatare la diceria che l’elettronica fosse fatta solo di suoni duri e oscuri, atmosfere danzerecce comprese.

Com’è nata l’idea di Musica Machina? C’era qualche trasmissione da cui hai preso spunto?
L’idea, da un punto di vista tecnico, fu quella di tornare a fare radio senza però stare necessariamente in radio. Tornare quindi al bello di ascoltare il proprio programma in macchina il sabato notte come chiunque altro. Un po’ come fu per Centro Suono Rave, altro programma cult fondamentale di ogni sabato notte romano dei primi anni 90, dove Emilio Loizzo ricoprì un ruolo importante, anzi, direi fondamentale all’interno, nell’ideazione e nella stesura. Calcola che ad esempio le vecchie puntate di Centro Suono Rave erano registrate in audio su vecchio supporto VHS per una durata di 8 ore.

Oggi sembrerà una cosa banale, ma nel 2001, grazie al lettore multimediale Winamp per pc, fummo tra i primi ad esplorare la possibilità di creare un contenitore notturno modulato su più segmenti audio, già opportunamente preparati, da sistemare poi per orari e durata. Artisticamente, invece, l’intento di Musica Machina è sempre stato quello di provare a coniugare l’esperienza musicale di Centro Suono Rave con l’umorismo stralunato e surreale di programmi di vecchia scuola radio televisiva, tipo il già citato Alto gradimento, oppure Supergulp, o cartoni bozzettiani con i vecchi caroselli, vintage sci-fi e via dicendo.

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Quali furono le reazioni ad Eloquens, il conduttore robot? Fu capita subito l'(auto) ironia e la commistione d’immaginari? Per me Musica Machina rimane ancora una delle trasmissioni più intelligenti e avanti mai sentite, non so se la percezione coumune fu questa o piuttosto quella di un programma che mandava dell’ottima musica elettronica.
10620783_10152528140643386_2352611404727026974_nTi ringrazio! Ho sempre trovato divertente la critica alla società dei consumi fatta proprio con lo stesso linguaggio della vera società dei consumi. In fondo, il senso del messaggio sta tutto lì. Ora che mi ci fai pensare il vero senso della sfida forse sta proprio nella creazione di un gioco di specchi dove vero e falso si fondono fino a non capirci più niente. Con questo programma intendiamo fare manipolazione gioiosa. Una pupazzata ludica che metta di buon umore ascoltando, perché no, della buona musica senza interessi dietro. Ma c’è anche chi di manipolazione ci vive, tra bufalari di internet e molto dell’infoteinement ufficiale. L’invito implicito ovviamente è quello di diffidare di costoro, almeno mille volte più di quanto sia giusto diffidare di noi. Non dispongo quindi di un metro di giudizio oggettivo su ciò che arriva fuori del programma Musica Machina. L’unica cosa che potrei garantire è che ancora ci si diverte nel farlo, altrimenti sarebbe già cessato da un pezzo.
11822792_10153191892798386_8358006139736107039_nLa speranza è che questa vibrazione arrivi anche su chi ascolta. Spesso si procede solo con la forza di gentili attestati di stima, tipo il tuo, o da parte di ascoltatori, tra affezionati e occasionali, che generosamente non mancano di farci arrivare un apprezzamento o tutto il loro sostegno per i contenuti musicali, compresi anche coloro che ci comunicano di essersi divertiti durante i momenti, come si suol dire, di puro intrattenimento. Credimi, tutto questo è l’unica benzina che ha mandato avanti il programma finora. C’è da aggiungere inoltre che Emilio negli ultimi mesi sta curando di più l’aspetto dei jingle, o meglio, di quello che oramai reputo sempre più essere come dei “meta-jingle”, per via della durata e lo sviluppo irrituale rispetto ai jingle tradizionali. Non sono ancora canzoni vere e proprie, ma nel contempo non sono neanche più dei semplici jingle-promo nel senso stretto del termine. A molti di quei meta-jingle, senz’altro autoreferenziali, gli abbiamo trovato una collocazione nell’album Musica Machina vol.1, uscito lo scorso anno, oltre ovviamente ad essere trasmesse durante tutto l’arco del programma.

Mi sembra avessi chiesto anche di Eloquens. Dall’inizio nasce dall’esigenza di creare un personaggio dal tratto robotico che però riuscisse a essere più simpatico e magari più “umano” di un qualsiasi altro bravo presentatore. Nell’intento una sorta di continuazione ideale della classica dualità uomo-macchina ben delineata con Hal 9000 in 2001: Odissea nello spazio di Kubrick. Una figura che però assolvesse anche in modo brillante il ruolo della conduzione specifica in unione dei vari momenti nel flusso del programma. Un frontman-robot immaginario che va a presentare in modo stravagante e stralunato gli ospiti performer, sempre con la padronanza odiosamente un po’ egotica del mattatore navigato. Qualche anno fa, per la cronaca, il nostro Eloquens fu adocchiato addirittura da Mtv che ci commissionò ben 10 video in animazione e 44 podcast per la piattaforma Qoob/MTV, oltre a una serie di ospitate su MTV in diversi format pomeridiani. L’esperienza di Eloquens si è poi allargata su altri robot cantanti e performer che oggi popolano i vari intermezzi di intrattenimento nel programma. Molti di questi ce li ritroviamo protagonisti in molti dei meta-jingle che ti dicevo.

Com’era Roma all’epoca delle prime puntate di Musica Machina? Per come la vedo io il terreno era decisamente più fertile, sia come ascolti musicali condivisi sia per un certo attivismo politico più acceso che poi portava ad usufruire di alcuni media piuttosto che altri.
Sicuro di non essere semplicemente più nostalgico di quando si aveva tutti quindici anni di meno?! Scherzo! Guarda, per me tutto è politica, anche la scelta di un brano da mandare anziché un altro, però ora non ti so dare una risposta esatta se sussisteva o meno una correlazione tra attivismo politico e fruizione di taluni media anziché altri. Poi, rispetto agli esordi di Musica Machina, oggi il pubblico generalmente è più ricettivo sull’offerta di musica elettronica, o almeno su quella di un certo tipo. E in alcuni casi anche più esigente, ma senza però cadere nella spocchia che ha colto gran parte della mia generazione: quella che visse lo stato nascente del fenomeno rave nei primissimi anni 90, tra semplici fruitori e addetti ai lavori. Oggi il pubblico ha un approccio molto più tranquillo rispetto ad anni addietro, prova ne sono le edizioni di Calcatronica degli ultimi due anni, oppure la kermesse dell’etichetta Raster-Noton che si tiene a Villa Massimo ogni settembre. Una composizione così assortita di pubblico, pacifico nell’approccio, esigente e ben predisposto al ballo: una roba impensabile a Roma fino a pochi anni fa. Cose che prima si vedevano solo nel nord Europa ora si cominciano a vedere anche a Roma. È un buon segnale.

Per altri aspetti versi invece Roma non è cambiata affatto. Il numero dei dj pare sia montato a dismisura e in modo inversamente proporzionale rispetto a quelli che poi ti sanno trasmettere un’emozione reale durante la loro proposta musicale. Nel contempo si ravvisa, oggi come allora, la mancanza di figure intermedie che possano interpretare in modo efficace il ruolo del manager-promoter, insomma, del venditore a tutto tondo. A tal proposito il caro buon Remo Remotti diceva sempre: «L’artista senza un venditore dietro non vale un cazzo!». Quanto aveva ragione! In effetti a noi è sempre mancata la figura del venditore: dietro Musica Machina non c’è mai stato nessun business. Ci hanno sempre chiamato a buon cuore ed è per questo che ti ringrazio dell’intervista. Mai nessuno che ci abbia procacciato nulla, figuriamoci a percentuale. Qui a Roma perlopiù ci sono capitati personaggi maldestri, gente che alla fine la sgami quasi subito. La misura del “quasi” può diventare importante, specie se i danni andassero a superare i vantaggi promessi. Comunque non da oggi Milano sa vendere meglio di Roma. A Milano i soldi, a Roma le idee e la perizia artistica. Un po’ un luogo comune per generalizzare, ma c’è del vero. Poi capirai, noi Recycle sembriamo fatti apposta: non sappiamo vendere neanche il ghiaccio nel deserto!

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Ti pongo quest’altro quesito, probabilmente anche questo un po’ nostalgico: penso che negli anni a Roma, ma un po’ ovunque, sia decisamente venuto meno il legame tra musica elettronica e un immaginario futuristico, anche politico, che invece le era stato proprio dai tempi d’oro di Detroit. Diciamo che ora l’elettronica è molto più club oriented che altro. È così anche per te?
Detroit e Roma storicamente hanno significato tanto nella scena elettronica mondiale. È vero ciò che dici, ma è un po’ lo specchio dei tempi che l’immaginario futuristico si sia come un po’ dissolto dappertutto. Più o meno da quando il futuro ha smesso di essere associato all’idea di fiducia in tempi migliori del presente. Sarò controcorrente, ma l’idea che la tecnologia sia nata per semplificarci la vita e renderla più agevole continua a far parte del mio modo di pensare e del mio immaginario. Che poi la tecnologia possa capitare nelle mani sbagliate è e sarà sempre un rischio permanente. Ma questo non inficia il fatto che il presente, per definizione, non sia mai stato il momento più avanzato della storia, se non per un erroneo senso della percezione. Se davvero cominciassimo a pensarla così saremmo fritti da un pezzo e l’umanità avrebbe smesso di immaginare scenari futuri con aspettative di vita migliori per tutti. Per dirla in una sola parola: progresso. La tensione sulla fiducia nel futuro secondo me andrebbe sempre conservata e preservata. Anche per continuare ad avere nel mondo della musica gente come i Kraftwerk, che nei live suonano brani di 30/40 anni fa ma che sembrano arrivare dritti dai prossimi trenta quarant’anni, per la forza e l’impatto. Fortunatamente, la buona musica elettronica esiste ed esisterà sempre. E si manifesta in maniera direttamente proporzionale alla ricettività del pubblico che la sostiene. Seppur significativa, parliamo comunque di una nicchia.

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Che ne pensi della scena elettronica a Roma attualmente? Ci sono serate, etichette o artisti che ti piacciono?
Ovviamente per forza di cose mi sento sentimentalmente legato alla nostra Musica Machina Records e alla Eclectic di Amptek, l’etichetta che ci stampò il primo album Passaggi e tiri in porta nel ’99. Amptek poi collabora con Musica Machina oltre ad essere un poliedrico musicista con cui ho avuto il piacere e l’onore di suonarci insieme già dagli anni 80. Tornando alla scena elettronica romana, ci sono altre realtà importanti, anzi, direi fondamentali, che hanno fatto la storia a ritroso fin dai primi anni 90. A mente cito Male, Vibraphone e Synthetic di Stefano Di Carlo, SNS di Lory D, la vecchia ACV con Leo Anoibaldi e Paolo Zerla, Nature di Marco Passarani, Plasmek di Andrea Benedetti, o la più recente The-Zone. Ce ne sarebbero moltissime altre che purtroppo ometto solo per non rendere questa risposta lunga quanto un elenco del telefono. Non sono onnisciente e fortunatamente la realtà romana resta sempre tra le più vitali e magmatiche. Pur restando antennizzati su quel che succede, molte cose purtroppo o per fortuna restano sfuggenti, difatti in ogni presente mi sono sempre perso cose che poi ho recuperato in tempi successivi. Mi piace sempre pensare che la cosa migliore di oggi la devo ancora sentire. Alla fine di questo presente solo il tempo e i nuovi contemporanei più attenti potranno veramente dire in fatto di musica tutto il buono che c’è stato a Roma.

 

Il nome dell’album che hai citato e il ricordo di alcuni jingle a sfondo calcistico su Musica Machina mi portano a chiederti se sei tifoso.
Certo, sono un tifoso romanista e anche viscerale. È una cosa che cerco di tenere celata nel programma, anche se la caratterizzazione calcistica qualche volta esce fuori, ma solo come folklore trash.

Che mi dici invece del Disco Machina?
Fa parte del carnet degli innumerevoli meta-jingle fatti dal gajardo amichetto, nonché socio, Emilio Loizzo. Prima o poi finirà sul Vol.2 di Musica Machina, album che prima o poi vedrà la luce.

Andando a chiudere, che segnale è stato il passaggio di Radio Città Aperta dalle frequenze radio al digitale?
Pessimo. Musica Machina è anche apologia del bello di ascoltare di musica in macchina. Ma senza più segnale FM la procedura diventa più complessa, fino a complicarsi troppo. Inoltre, la banda internet in mobilità mi risulta che si paga, e pure a caro prezzo. Accendere invece una radio è ancora gratis. Poi forse per i posteri lo scenario cambierà, ma nel presente stato un colpo enorme, quasi letale. Adesso è tutto un po’ in trasformazione, vediamo. Capace che presto il programma chiuderà i battenti per mancanza di entusiasmo, chi lo sa, è un’ipotesi non trascurabile.

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Che radio ascolti adesso?
Attualmente la radio che mi fa più piacere ascoltare è NTS. Trasmette da Londra ed è fatta da veri amanti della musica elettronica e alternativa a 360° con un amore ed una dedizione che non facile da sentire in giro. Non a caso il loro slogan è “Built by music lovers, for music lovers”. La consiglio a tutti.

Cosa stai ascoltando ultimamente?
Bella domanda. Ascolto di tutto, sono onnivoro. Dagli Elio e le Storie Tese a James Holden, dal giro dei tedesconi di Germania tipo Bodzin, Eulberg, Huntemann a Petar Dundov. Poi adoro il melodramma e ho un debole per la psichedelia 60s. Nel giro degli ultimi giorni ho ascoltato questo.

Il tuo scorcio preferito di Roma?
Impossibile rispondere. Tutti e nessuno, dipende dallo stato d’animo.

Un bar e un ristorante di Roma che ti piace frequentare?
Per i supplì, da Venanzio a piazza Re di Roma, secondo me non c’è partita con nessun’altra pizzeria a taglio a Roma. La cosa curiosa è che Venanzio non è il nome vero che campeggia sull’insegna, ma corrisponde più semplicemente al nome di un lavorante che sta lì da molti anni, molto popolare in zona San Giovanni. Un vero showman, hai i tempi giusti dello spettacolo quando ti serve. A Ostia invece c’è la trattoria di una signora anziana che fa un sautè di cozze sublime, seguito da spaghetti al cartoccio al sugo di pesce che me li sogno la notte. Domani spero di andarci.