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Claudio Jep Bernardini

In occasione di Filler Spring Edition 2016 negli Headquarters di Bastard, abbiamo intervistato uno dei suoi fondatori da sempre in prima linea per portare la cultura skate e street a Milano e in Italia

Scritto da Corrado Beldì il 13 maggio 2016
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Claudio Bernardini detto Jep, con Max Bonassi fondatore di Bastard (Proudly Made By Those Lazy Italians), marchio di streetwear conosciuto in tutto il mondo e motore della diffusione dello skate in Italia. Jep ci racconta la storia del marchio e del cinema ristrutturato che ospita la mitica bowl e gli Headquarters di Bastard (ArchDaily Building of the Year Award 2009), che dal prossimo 20 maggio ospiteranno la seconda edizione di Filler Spring Edition 2016, convention italiana completamente dedicata all’illustrazione punk, hard-core e Do It Yourself.

Zero – Come hai cominciato a fare skate?
Claudio Bernardini – Nel 1977, avevo sei anni. Un collega di mio padre tornò dagli Stati Uniti con una tavola da skate di plastica, tutta per me. Mi portò anche due riviste di skate: per la prima volta vidi delle foto degli snake runs in cemento. Figata.

Qual è stata la prima rampa in assoluto?
La primissima è stata quella del 1978 al Palazzo del Ghiaccio di Milano fatta dall’architetto Mario Arnaboldi, che solo in seguito abbiamo scoperto essere il nipote dell’ingegnere Mario Cavallé, quello che negli anni Quaranta aveva progettato il Cinema Istria, quello dove abbiamo la nostra sede dal 2008. Tra l’altro Cavallé ha progettato anche le incredibili case-fungo alla Maggiolina.

La rampa da skate a Palazzo del Ghiaccio photo credit @Aaron Brancotti
La rampa da skate a Palazzo del Ghiaccio photo credit @Aaron Brancotti

Dove andavi a skateare in quegli anni?
Ho imparato alla rampa di Monza e poi stavo sempre al muretto di Piazza San Babila, sotto il Burghy.

Quando ti sei rotto il primo osso?
Nemmeno uno. Almeno fino a ora. Valgono i denti? Due incisivi: uno droppando nell’half pipe dell’autodromo di Monza, l’altro grindando su un tubo di metallo al parcheggio dell’Ospedale di Monza.

Almeno eri comodo…
Sì, infatti mi sono fatto tre legamenti, alternando destro, sinistro e poi ancora destro. Il primo scendendo a piedi dalla rampa. Tragedia: era il periodo in cui ero giusto in pompa per lo skate. Altri due skateando. Certo, meglio non operarsi: l’ultima volta, mentre mi riparavano una cartilagine, ho avuto un infarto al miocardio e ho rischiato di morire.

Sta diventando la tua cartella clinica… Eri uno skater di talento?
Sì, ero forte negli anni Ottanta. Un giorno su King uscì un articolo: “Geppo, l’incrocio tra un rapper e un pirata“. Andavo bene, era sponsorizzato dalla Vision Streetwear. Qualche milioncino di lire in viaggi per andare in giro per l’Europa.

Chi era il tuo eroe, allora?
Max Bonassi. Quando ho iniziato, lui era già una leggenda. Era quello della generazione prima. Uno dei primi skater in Italia. Era stato lui a costruire la prima rampa vert a Monza.

Hai fatto altri sport, vero?
Sono stato campione italiano di BMT, il trial con le bici. Giravo l’Italia. Sono stato anche il più giovane pilota in Italia di deltaplano. Ero anche al Cornizzolo il giorno della più grande tragedia della storia. Stavo in quota, arrivò un improvviso cumulonembo: mio padre via radio mi disse di portarmi giù in picchiata. L’ho fatto, sono finito in un campo e ho salvato la pelle. Nel prato ho trovato un ferro di cavallo. Eccolo qui, vedi? Insomma, sono sempre stato molto extreme.

A quei tempi avevi i capelli, vero?
Cazzo sì, ho le prove. A un certo punto avevo la pettinatura di Mike Bongiorno ma coi riccioli. Giravo con questa roba davvero agghiacciante in testa. I capelli erano già leggerini, si capiva che sarebbero caduti. Allora un giorno ho comprato una macchinetta a mano.

La prova che Geppo aveva i capelli photo credit @Davide Crivelli
La prova che Geppo aveva i capelli photo credit @Davide Crivelli

In quegli anni hai conosciuto Lorenzo Bini (Studiometrico, ora Binocle) che poi ha fatto il progetto del Bastard Store, vero?
Quella con Lorenzo è una lunga storia. Ci ha presentati Ico, quello con cui abbiamo cominciato tutti a fumare. Lui era il capo, il top. È morto in uno stupido incidente. Sono passati vent’anni. Oggi Ico sarebbe un capo di qualcosa, forse sarebbe una rockstar. Era davvero avanti, quando tu facevi il paninaro lui aveva già smesso da cinque anni.

Ico
Ico

È stato lui a presentarti Lorenzo Bini?
Certo, siamo amici da una vita. Ci siamo anche iscritti insieme al Politecnico. Un giorno, mentre giravo l’Europa appoggiandomi a casa di vari skater, gli feci una sorpresa. Faceva l’Erasmus a Oslo e stava in un condominio di periferia: era così enorme che ci misi un’ora a trovarlo. Suonai alla porta: “Resto una settimana, ok?”. Lorenzo stava già lavorando a un progetto molto fico.

Ti sei laureato pure tu?
Ma va! Sei matto? Mi pareva di perdere tempo: era il 1994 e già stavo facendo Bastard. Ho scritto pure una lettera a Lorenzo per spiegargli le ragioni per cui volevo smettere di studiare. Che stile.

Perché hai deciso di cominciare Bastard?
In realtà l’idea inizialmente è stata di Max Bonassi e di GroS aka “il ciccione viaggiatore” che era già stato un campione di football americano. Si parla del 1994, io allora ero il bocia. Max aveva trovato un impiego a Gorla Minore alla Funky Snowboards di Lucio Longoni, una delle prime fabbriche italiane di snowboard, dove faceva l’operaio creativo: lo chiamarono perché volevano passare dalla tavola rigida al freestyle. Alla fine come stipendio gli diedero la possibilità di farsi 100 tavole da snowboard come voleva lui, testualmente: “ti puoi fare le tavole per te e i tuoi amici!”.

Perché sei stato tirato in mezzo?
Eravamo amici, andavamo in montagna insieme. Una domenica sera, tornando da due giorni sulla neve, ci fermiamo all’autogrill di Novara e allora Max e GroS, tutti imbarazzati, mi dicono: “Minchia dai… ci facciamo un marchio di tavole. Tu ci disegneresti il marchio?”. Risposi: “Sì, figata ma io allora magari divento socio!”. Così, al bancone del bar, prendendo un caffè, ho pensato subito: ci starei dentro! Poi ci siamo fatti grandi seghe sul nome, finché GroS se ne è uscito con Bastard. Grande! Ho disegnato il marchio lì per lì e siamo diventati soci.

Il primo marchio Bastard
Il primo marchio Bastard

Come siete partiti?
Max aveva un bel furgone, io avevo un computer da paura che era costato 10 milioni di lire. GroS invece non aveva un bel niente e si è fatto prestare dei soldi dai genitori e ha messo il cash, così siamo partiti tutti alla pari.

Come sono stai i primi passi?
Le prime 100 tavole da snowboard che Max aveva fatto fare da Funky sono state vendute al volo. Volate. C’era una richiesta della madonna. Eravamo innovativi: avevamo l’idea di portare lo skate in montagna.

Avete fatto abbigliamento fin da subito, vero?
Ci è voluto un anno per fare i primi vestiti. L’idea era fare dei vestiti buoni per tuffarsi nella neve. Abbiamo disegnato dei giubbotti con una sola zip e senza tasche, che tanto non servivano a niente e con il cotone spalmato di gomma all’interno. Spettacolo! Certo, non tenevano caldo per un cazzo. Quelli coi nostri giubbotti li trovavi tutti allo ski-lift alla sezione assiderati. Tornavi a casa la sera e i pantaloni erano così rigidi che potevi metterli in piedi e restavano dritti.

Diventarono subito di moda?
Non scherzo: la gente ci sballava di brutto, c’era il passaparola. Tutti li volevano e ci fu anche la copertina del disco dei Casino Royale. In realtà, a pensarci bene quella era la conseguenza più naturale: Giuliano Palma era uno skater, veniva anche lui alla rampa di Monza. Tra l’altro in quegli anni facemmo la rampa alla Pergola, proprio di fianco al Garigliano. Insomma, era una roba tra amici.

La cover dell'abum "Sempre più vicini" con la band vestita Bastard
La cover dell’abum “Sempre più vicini” con la band vestita Bastard

Le vendite andavano alla grande?
All’epoca andavano in pompa! Certo, non avevamo soldi per anticipare le spese e allora avevamo inventato quello che, in gergo, chiamiamo ancora “pagamento Bastard”, ovvero il cash alla consegna.

Dove stavate di ufficio?
All’inizio a casa di mia mamma a Parabiago, poi dal padre di Max che aveva un’aziendina metalmeccanica, di quella dura e pura. Figata quando abbiamo preso gli uffici in zona Stazione Centrale insieme a Freezer di Marco Contati. Sarà stato uno stanzino tre per quattro ma ci abbiamo messo pure un soppalco: sotto stavamo noi e sopra Freezer che era una rivista di skate e snowboard, la prima free press in Europa, a quanto mi dicono. Un giorno venne pure Andrea Amichetti di Zero a raccontarci che si era messo a stampare un nuovo giornale. Era il 1996, me lo ricordo da dio.

Che giornale era Freezer?
Minchia, spaccava! Ha segnato un’epoca e ha fatto sviluppare di brutto lo snowboard in Italia. Nel nostro caso, è stato il canale per uscire da quello stanzino. Oggi online ci sono pubblicate alcune chicche dell’epoca.

Una delle cover di Freezer
Una delle cover di Freezer

Quali sono i capi di abbigliamento che vi hanno fatto crescere?
I pantaloni Cargo, pantalone da street in tessuto “Rip-Stop”. Roba antistrappo, da resistenza o guerriglia urbana e poi tutte le nostre giacche tecniche. Poi forse il vero successo è venuto perché non abbiamo mai fatto delle tavole da skate.

Perché avete fatto una scelta così radicale?
Volevamo fare tutto al contrario: essere il brand che portava lo skate in montagna e l’abbigliamento da snowboard in città. Abbiamo investito di brutto sulla creatività.

Bastard sulla neve
Bastard sulla neve

Mi fai qualche esempio?
Beh, penso alle campagne con le grafiche di artisti e illustratori, alcuni erano amici ma altri erano persone lontane conquistate dal nostro progetto. A volte sono arrivate proposte di soggetti davvero assurdi.

Chi è il tuo skater preferito in Italia?
A parte Max, senza dubbio Matteo Di Nisio, di Pescara. È stato davvero il pioniere italiano dello street. Un grande.

Quando vi siete accorti di essere diventati grandi?
Per tanti anni siamo cresciuti sempre, tutti gli anni. A un certo punto avevamo bisogno di una vera sede più grande: era fondamentale poter fare uno skate park. Allora ho chiamato Lorenzo Bini e gli ho detto: “Senti, ci trovi un posto con queste caratteristiche?”. Un giorno Lorenzo ha visto un annuncio “Cinema degli anni Quaranta, 1.300 m2 in Piazza Istria”. Ci siamo precipitati il giorno stesso. Il cinema era diventato una concessionaria auto e poi era stato abbandonato. “Minchia è lui, lo prendiamo. Quanto viene?”. L’agente immobiliare se la rideva. Caso assurdo: era un compagno delle elementari di Lorenzo.

Il progetto è davvero geniale…
Doveva esserci un pipe ma non c’era spazio, è stato allora che Lorenzo ha pensato di metterlo in alto, sopra il magazzino. Questo progetto è una figata totale. A parte gli scazzi che abbiamo avuto durante il progetto, devo dire che è stato un progetto perfetto: costato poco, con grande rispetto dello spazio, salvaguardando tutto ciò che era il cinema Istria negli anni 40. Perfetto. Poi un giorno è arrivato pure Mario Arnaboldi, quello della rampa al Palazzo del Ghiaccio.

Gli uffici amministrativi del Bastard Store phot credit @Giuliano Berarducci
Gli uffici amministrativi del Bastard Store phot credit @Giuliano Berarducci

Com’è accaduto?
Incredibile! Una mattina ha aperto Repubblica e ha visto un articolo su di noi: parlava di skate e proprio del cinema disegnato da suo nonno Mario Cavallé. Era il posto dove Mario Arnaboldi andava per marinare la scuola e fu proprio qui che si appassionò all’architettura. Insomma, una coincidenza paura. Così è venuto a vedere quello che avevamo combinato.

Come avete realizzato la bowl?
È la prima bowl da skate realizzata completamente a controllo numerico. Col computer abbiamo disegnato tutti i pezzi, che sono poi stati tagliati a macchina e montati come un grosso puzzle. La cosa più importante è che è stato assemblato da noi come attività per il dopolavoro. Ci abbiamo messo sei mesi con l’aiuto di skater da tutta Italia e anche da vari paesi dell’Europa: questa bowl è un bene comune, infatti è sempre aperto a chi vuole venirci a skateare.

Skater da tutta Italia hanno collaborato alla realizzazione del Bastard Bowl photo credit @Giuliano Berarducci
Skater da tutta Italia hanno collaborato alla realizzazione del Bastard Bowl photo credit @Giuliano Berarducci

Anche il resto del progetto è potente.
Sì, tutto quanto. Poi questo è il posto ideale per fare cose creative e devo dire che in questi anni ne abbiamo fatte alcune, penso a tutti gli illustratori che abbiamo invitato in questi anni.

Quali sono i tuoi preferiti?
Penso alla tavola fatta con Phase2, grande artista da strada che scriveva sui treni a New York già negli anni 70. Penso a Claudio Sinatti aka Kado, uno dei primi writer moderni in Italia, poi diventato visual artist. Poi Lorenzo Fonda aka Cembro: pensa che quando abbiamo messo su il sito della Bastard ci ha mandato la prima mail in assoluto. Noi tutti a guardare: “Una mail: ma chi cazzo ci avrà scritto?” Era Cembro, avrà avuto 15 anni, ci mandava delle grafiche che voleva proporci. Poi Riccardo Fiorentini, architetto. Minchia, assurdo quando ha disegnato il teschio di Bastard, che continua a cambiare ogni sei mesi. Poi fantastico Marc McKee: lo conosci bene perché ti hanno regalato la tavola con Papa Ratzinger e Jacopo Ceccarelli aka 2501 che sta davvero spaccando: lui è il capo supremo.

La tavola realizzata dal writer Marc McKee con Papa Ratzinger
La tavola realizzata dal writer Marc McKee con Papa Ratzinger

Cosa ci aspettiamo da Filler Spring 2016?
È una manifestazione che ci piace un casino. La prima convention italiana completamente dedicata all’illustrazione punk, hard-core e Do It Yourself. C’è una bella selezione di artisti che fanno cover, xilografie e un sacco di opere che saranno vendute direttamente al pubblico. La ospitiamo dalla terza edizione che aveva fatto davvero il botto.

La locandina di Filler Spring 2016
La locandina di Filler Spring 2016

Quali altre attività organizzate da Bastard?
Molto spesso facciamo delle sessioni di skate sulla bowl, è la cosa più comune. Organizziamo mostre con illustratori e artisti della skate art. Poi facciamo serate di proiezioni dei video di skate che escono in giro per il mondo. Mettiamo il proiettore e torniamo a essere un cinema con 200 posti. Tutto sempre gratuito ovviamente. Da un po’ di tempo abbiamo messo in piedi la Academy Of Skateboarding per avvicinare chiunque abbia voglia di imparare a skateare in bowl e offrire la nostra competenza.
Di recente abbiamo festeggiato anche i primi 50 anni di Vans e sicuramente eri invitato anche tu.

Cosa mi dici di Milano?
Milano la conosco bene, è una città che mi piace: c’è la metropolitana, giri in scooter, la macchina non serve. Giro moltissimo e m’immagino rampe dappertutto. Ci sono un sacco di piazze inutilizzate e tanti angoli dove fare progetti fichissimi.

Che cosa beve uno skateboarder come Claudio Bernardini?
Birra, tantissima birra. Quella del Birrificio Lambrate. In generale gli skater fumano un botto, bevono birra e mangiano sempre alla cazzo.

Ti piace andare al cinema?
Alla grande. Se mi chiedi il mio film preferito, ti dico Pulp Fiction tutta la vita. Figata.

L’ultimo libro che hai letto?
Direi i Promessi Sposi, letto al liceo. Da quel giorno, leggo solo manuali: ne leggo tantissimi e di ogni argomento, dalla tessitura alla botanica.

Vai ancora in skate, Geppo?
Appena, posso sì. Almeno una volta la settimana e magari non solo. Certo, a volte lavoro troppo. Se vuoi saperlo, uso una tavola normale, niente di esagerato, però sono un maniaco del setup: i trucks me li modifico io, tolgo il perno centrale (n.d.r. kingpin) e ci ficco un chiodo che non sporge, cerco di togliere peso al massimo. Cuscinetti Bones Swiss. Il meglio.

Geppo al telefono con Dio Photo credits: @Matteo Rancilio
Geppo al telefono con Dio Photo credits: @Matteo Rancilio

Qual è il tuo sogno per il futuro?
Fare tutto quello che posso per diffondere lo skate. Sempre di più.

Come si fa a diffondere lo skate?
Portare avanti un progetto globale di diffusione dello skate è la nostra idea da sempre. Lavoriamo per costruire rampe sempre aperte al pubblico. In questo noi siamo sempre disponibili per consulenze gratuite di ogni tipo. Questo riguarda anche la nostra bowl che, come detto, è disponibile il più possibile per la comunità e spesso organizziamo degli Open Days dove tutti possono provare. In questi anni abbiamo lavorato a moltissimi skate park e rampe, penso a Monza, Parabiago, Gratosoglio, la Pergola con Max, il Leoncavallo, Usmate, Parco Lambro, Corsico…

Che programmi hai per il futuro a questo proposito?
Insieme con altri skater storici e giovani che hanno voglia di costruire, abbiamo fondato un’associazione che si chiama Milano Skateboarding che ha l’obiettivo di rilanciare lo skate partendo da Milano. Stiamo lavorando con il Comune per realizzare un Piano Skateboard cittadino. Importante per tante zone problematiche e per far rivivere certi angoli e parchi un po’ abbandonati. Ci crediamo di brutto.

Che sogni hai per il futuro?
Continuare a divertirmi.