Il nome non mi era nuovo e infatti quando ci siam sentiti per telefono Marco mi ha confermato che non stavo prendendo un abbaglio. Ci eravamo incontrati al Maffia di Reggio Emilia quando andati a sentire Munk e poi Tiga in piena esplosione del genere electroclash. Siamo partiti da qui per poi arrivare a parlare di Camporella: una giornata dedicata a tutti gli appassionati di musica e di vinili (con anche un party finale), due cose (tre se consideriamo anche il party) che l’hanno sempre accompagnato per tutta la sua vita.
Presentati: Chi sei? Da dove vieni? Dove vivi? Cosa fai nella vita?
Sono un (ancora per poco) trentottenne di origini napoletane, nato alla Clinica Mediterranea di Posillipo e cresciuto al Vomero, uno dei più bei quartieri di Napoli, in via Toma 6, nell’appartamento al sesto ed ultimo piano del palazzo con una vista di oltre 180° sul golfo. Vivo a Reggio Emilia da circa 15 anni e sono il presidente dell’associazione culturale ORK e volontario presso Strictly Groove, un negozio di dischi on-line, edizioni musicali e produzioni discografiche.
Corsi e ricordi storici… A proposito di Reggio Emilia io ricordo di te dai tempi del Maffia, ci racconti cos’era quel luogo e che importanza ha avuto per la crescita del clubbing in Italia?
Il Maffia è stato un’associazione culturale che ha offerto una proposta musicale e artistica tra le più autorevoli, trasversali e all’avanguardia del decennio 1995/2005. Un Club seminale non solo per la scena italiana dove qualsiasi dj avrebbe sgomitato per salire sul palco. Inoltre il Maffia ha curato l’etichetta discografica Kom Fut Manifesto, la rivista Ultratomato, una serie di saggi battezzati Clubspotting e ha fondato l’Institute Of Dubbology una delle primissime agenzie di booking Italiane.
Principalmente mi sono occupato di comunicazione, dell’ufficio stampa e nel weekend di tour managing degli artisti. Ho gestito Ultratomato quando è diventato in versione digitale e sono stato uno dei dj resident delle serate R2NY e Space Sex & Disco entrambe agli albori del periodo electroclash prima e nu-disco dopo. Al Maffia si sono succeduti grafici fenomenali e, come per tutti i giovani, l’ispirazione era dietro ogni angolo. È stata un’esperienza fondamentale per la mia crescita professionale.
Di cosa parlava Ultratomato?
Ultratomato trattava sostanzialmente di club culture a 360°. Era molto interessante a mio modo di vedere e ne sento ancora oggi la mancanza, come credo tutti nostalgici di riviste stampate.
Ci fai qualche nome di alcuni guest che sono passati da R2NY e da Space Sex & Disco?
Le serate più riuscite di R2NY sono state quelle con Munk, quando Mathias e Jonas (con quest’ultimo ho mantenuto un bel rapporto di amicizia nel tempo) erano ancora insieme e se non erro fu proprio l’inaugurazione, anche se i Munk sono tornati più volte in quel periodo. L’altra più riuscita è sicuramente quella con il leggendario Arthur Baker, che in qualche modo ne ispirò il concept. Invece con Space Sex & Disco abbiamo invitato Lindstrøm e Prins Thomas insieme e quando erano, si può dire, ancora perfetti sconosciuti, e gli Idjut Boys, tra i miei dj party animal preferiti.
Dopo il Maffia? Raccontaci le altre tue esperienze musicali ma anche di vita!
Ho aperto un negozio di dischi. In verità fu la prima occasione che ebbi di spostare un po di dischi da casa a un contenitore ultra minimale, tutto bianco con un pianoforte a mezza coda al centro. I dischi fungevano da scenografia, ma non era vietato il digging. Sostanzialmente in quello spazio di oltre 100mq, organizzavo mostre di pittura e concerti jazz. Li nacque Strictly Groove, che era appunto il nome del negozio e di una etichetta discografica. Successivamente il nome è rimasto, ma l’attività ha preso una direzione leggermente diversa e meno gravosa in termini di impegno quotidiano. O meglio… Forse ci spendo più ore oggi, ma almeno non ho orari fissi.
Raccontaci il tuo lavoro: cosa fa un proprietario di un negozio di dischi e un label manager di un’etichetta con base in Italia?
Rispondo per quella che è la mia esperienza personale, consapevole che c’è sempre tempo e spero voglia per affinare metodo e capacità. Come rivenditore di dischi, ascolto musica tutto il giorno, e cerco di selezionare per coerenza e riconoscibilità, al fine di costruire un percorso personale (quindi che piaccia prima di tutto a me) che mi aiuti sopratutto quando da parte del cliente arriva la fatidica domanda: “mi consigli qualcosa che suoni come… nome del disco”. Non a caso i miei clienti preferiti sono quelli che ho gia servito perché è molto più facile accontentarli. Viceversa è quasi impossibile che io possa avere il disco che si sta cercando, perché se pure ce l’avessi, evito di tirarlo fuori, cercando di capire cosa preferisce ascoltare il cliente in quel momento specifico per riuscire a proporgli ciò che non conosce. I gusti cambiano molto rapidamente anche se non ce ne accorgiamo. È bellissimo quando vendi a qualcuno qualcosa che non avrebbe mai scelto e dopo un mese ritorna ringraziandoti e chiedendoti altre cose come quella. Da label manager la storia è completamente diversa. Dopo qualche anno mi sono accorto che producevo musica senza nessun filo logico, seguendo solo l’istinto e il mio gusto. A meno che non gestisci un’etichetta parecchio consolidata, questo è del tutto controproducente. Inoltre quando mi sono reso conto che non “suonavo” i miei dischi, nonostante li amassi profondamente, ho capito che dovevo fermarmi a riflettere. Oggi infatti, oltre ad affiancarmi a consulenti e professionisti che seguono con me il processo, mi chiedo: “passerei questo pezzo nei miei dj set?” Se la risposta è si, allora molto probabilmente il pezzo in questione vedrà la luce, preferibilmente dopo aver provato il test pressing su diverse piste.
Ho sempre atteso con ansia le fiere del disco e i festival, ma sono anni che credo si siano quasi totalmente svuotati del significato originale. Forse questo è il motivo per cui ho chiesto ai miei due soci, Alberto Forese e Guido Franzini (in ordine alfabetico) di cimentarsi con me in un evento come Camporella. Lungi da me pensare che siamo noi le persone adatte a risollevare le sorti delle fiere del disco e dei festival al tempo stesso (ci interessa di più far star bene le persone facendo quello che amiamo), ma l’idea di poter riunire in un unico momento, coloro i quali ritengo siano i più esperti ed appassionati professionisti (tra negozi, collezionisti privati e discografici) e provare a trasmettere, attraverso la location, i dj e alcune attività parallele tutte da scoprire, quell’atmosfera tipica del Festival, mi ha fatto venire la voglia di metterci la faccia senza mezzi termini. È stato determinante aver avuto la possibilità di selezionare dei contenuti che esprimessero l’eccellenza per vicende legate ad una storia gloriosa, ma con l’assoluta capacità e l’estrema umiltà di saper stare (ancora) sul pezzo, di saper essere attuali e quindi in grado di produrre qualcosa che sia futuristico e non un revival. Come è stato determinante il supporto dei partner tecnici, che consideriamo innanzitutto come ulteriori contenuti di cui vantarci.
Ci sono delle fiere del disco o dei market sound che ti hanno particolarmente ispirato? Ne hai girati tanti? Qual è la manifestazione che ti ha impressionato di più?
Tutte le fiere mi hanno in qualche modo colpito, ma come ho appena detto, negli ultimi anni sempre più in negativo. Per fortuna, grazie al lavoro che faccio, compro i dischi preferibilmente in stock, o di collezionisti, ecc… e trovandomi spesso in delle situazioni curiose, a volte borderline, nelle cantine di privati e/o di colleghi – luoghi dove non c’è molto altro che vinile e polvere – e questo mi ha sempre ispirato molto. Il gusto della scommessa, quella di portare a casa cinquecento dischi e trovarne “solo” tre davvero validi (a patto che lo stock abbia un senso). Diciamo che frequento meno le classiche fiere, e di più nuovi eventi rivolti a questo mondo, alcuni con delle ottime potenzialità. Una cosa molto diversa ovviamente, ma almeno ci trovo lo spirito giusto e quell’amore, che viene prima del business, e che sta muovendo tanti giovani oltre che gli entusiasti di lungo corso.
Zernell è, tra le altre cose, l’inventore di Crate Diggers, una fiera del disco itinerante promossa da Discogs. Sono entrato in contatto con lui perché l’ho cercato e fortemente voluto a Camporella, grazie al prezioso aiuto di Elettroformati. Nelle due ore in cui non selezionerà musica per i presenti sarà in veste di dj e di supervisor. Gli ho spiegato che Camporella sarà molto simile a Crate Diggers nei contenuti, salvo tutto quello che di magico sapranno metterci i miei soci in termini di organizzazione, e ci tenevo molto che lui potesse vederlo per darmi qualche consiglio. In questo senso, va vissuto da tutti, come un ulteriore sigillo di garanzia, perché sfido chiunque a non considerare Crate Diggers un punto di riferimento. Nonostante Camporella debba ancora inaugurare la sua prima edizione, credo possa esserci un bel seguito se saprò cogliere i suggerimenti di chi ha esperienza sul campo. In Italia abbiamo una quantità di talenti straordinari, tra dj, produttori, negozi di dischi, collezionisti, discografici capaci di competere senza fatica con la scena internazionale, ma che troppo spesso siamo costretti ad esportare invece di coltivarli in casa nostra e presentarli al pubblico nostrano. Come sei riuscito a coinvolgere tutti gli espositori?
Alzando il telefono!
Tu che disco speri di trovare tra tutti i collezionisti che ci saranno a Camporella?
Non spero, sono sicuro di trovare qualcosa che mi illumini e che non conosco, altrimenti ovviamente, se lo desidero così tanto, ce l’ho già.
E a livello musicale come vedi la scena italiana, c’è qualcosa che ti ispira particolarmente.
Come ho detto poco fa in Italia non devi essere neanche così curioso per imbatterti in cose e persone di enorme spessore. È sempre stato così e così sarà sempre. Fa parte del nostro DNA. Seguo con molta attenzione il fermento che c’è nel Sud Italia di questi ultimi due o tre anni. Specialmente in Campania c’è un coefficiente altissimo. Ma sopratutto mi ispirano le realtà e i progetti che trent’anni fa, come oggi, continuano a proporre musica attualissima. Questo significa incredibile passione, infinita dedizione, umiltà e voglia di confrontarsi. Sono fermamente convinto che c’è sempre margine per crescere e migliorare. Chi pensa di essere arrivato è finito, nel senso letterario del termine. Se hai la capacità di aver stabilito l’arrivo, oltre a quello non vai, o sbaglio?
Non sbagli, non sbagli, ma facci qualche nome!
Ok! Faccio sempre molta fatica a fare dei nomi, come hai notato, ma proverò a fare un sforzo…. Ho parlato di Campania perché in tutti i rami del nostro settore io ci vedo qualcuno che si sta realmente distinguendo. A livello discografico la Early Sound Recordings sta producendo dei veri e propri capolavori. Nonostante buona parte dei fondatori (da quello che so) è di base a Berlino l’etichetta è orgogliosamente napoletana. Giovanni Damico e Quiroga sono tra i produttori più dotati del momento. La serata Soul Express in collaborazione con la crew del Corsica Studios, ha promosso gli eventi più cool di questa stagione a Napoli, in una città che è tra le capitali mondiali della scena house e techno e dove non c’è tanto spazio per sonorità disco e “groovy”. Salvatore Stallone è indiscutibilmente uno dei miei dj preferiti. Attivo dal 1974, in questi ultimi 5/6 anni ha raggiunto livelli di forma quasi impareggiabili. Marco Viscusi è un dj sopraffino che sono onorato di ospitare a Camporella. È il classico artista che se non fai questo mestiere e/o se non sei un suo concittadino e/o se non sei particolarmente attento, probabilmente non conosci ma che, se per sbaglio incappi in una sua selezione, finisci per innamorartene. Infine il progetto 180gr nostro partner per Camporella, batte tutti per passione. Penso con convinzione che in Italia oggi non esiste un’idea più semplice e colta come quella sognata e voluta (con tanti sacrifici) dal suo fondatore Enzo Iannece. Adesso che mi hai estorto i nomi, ribadisco quanto già detto: in Italia ci sono un sacco di persone capacissime da nord a sud, ed è sempre un peccato, tutte le volte che non siamo capici di valorizzarle in maniera adeguata.
Per quella che è la mia esperienza il vinile non è mai andato via. È indubbio che una grave flessione c’è stata con l’avvento del CD e del digitale, ma in qualche modo compensata da internet che ha permesso uno scambio di contatti e compravendita più veloce e ampio. Il negozio di dischi classico e generalista ha dovuto chiudere quando non ha saputo o non ha voluto cogliere per tempo il mercato on-line o quando non è stato sufficientemente capace di ritagliarsi la sua nicchia, attraverso un genere di riferimento, o altri modi più commerciali di fidelizzazione. Mi ricordo che nel 2008/2009 il vinile tornava assai di moda. Praticamente ogni pubblicità, dall’autovettura al gelato confezionato, aveva il disco come leitmotiv. Di questi tempi, grazie ad un consistente uso delle ristampe e ancora una piccola dose di “faccio più figo con il vinile” il mercato sembra più solido, ma è questione di tempo prima che tornerà a deflettere. Ho l’impressione che la musica in digitale sia prima di tutto un business e poi cultura a tutto tondo, a differenza degli anni in cui l’industria discografica vendeva comunque molto di più, ma in un modo meno mercenario e con un’attenzione alla ricerca davvero scrupolosa. È un peccato perché sembra che il “digitale” voglia fare le scarpe al “fisico”, voglia in qualche modo boicottarlo e/o declassarlo a qualcosa di obsoleto, mentre si dovrebbe capire che sono due facce della stessa medaglia, ognuno con la sua collocazione a patto che il livello di professionalità sia sempre altissimo, almeno negli intenti. O forse è solo colpa di una società che ha bisogno di bruciare le tappe, vietando a molte persone “normali” (non addette) il piacere di fermarsi un’ora ad ascoltare un disco con la copertina tra le mani, che completa l’opera.
Parlaci della location di Camporella, come mai la scelta è ricaduta su Villa d’Este?
Villa d’Este e la Vasca di Corbelli sono luoghi storici, prestigiosissimi e particolarmente ricettivi per un evento come pensiamo possa essere Camporella. Immersi in una natura che sembra incontaminata, con pavoni, cigni, e altri bipedi che scorrazzano liberi nel parco a cinque chilometri dal centro di Reggio Emilia. È un posto davvero affascinante, versatile e accogliente. Molto ampio, ma allo stesso tempo raccolto e che favorisce una certa convivialità, dove si respira tutta la storia e la sana bellezza che hanno vissuto le generazioni che lo hanno abitato. Per esempio, resto sempre incantato dalla sala delle “Orge” una stanza tutta affrescata con dipinti che ripercorrono le fantasia più private del Duca d’Este e della sua famiglia. Gli infiniti dettagli, i colori, il fatto che la villa sia in mezzo ad un lago, insomma… non è stato difficile chiamare il festival Camporella, nonostante il mio socio Alberto che ha scelto il nome, sia davvero geniale nel trovare le parole giuste!
Vivo a Reggio Emilia e nel tempo libero, che cerco di evitare per far dispiacere la mia compagna, quando anche di domenica o in generale nel week end trovo una “scusa” per andare a lavorare e poi appena finisco mi butto sul divano e lì rimango.
Nei bar mi sentirei fuori luogo in quanto sono davvero carente in materia di gossip. Al cinema volentieri, magari per una proiezione alternativa in una vecchia sala. Al ristorante per appuntamenti di lavoro e/o occasioni particolari, altrimenti preferisco cucinare. Nei club (quasi solo) per mestiere. Se dovessi fotografare le tue esperienze con dei pezzi musicali che dischi sceglieresti? In altre parole quali sono stati i dischi che più hanno fatto da colonna sonora ai momenti importanti della tua vita e professione?
È impossibile rispondere seriamente a questo domanda. Vivo letteralmente di musica e sono troppe le colonne sonore, le situazioni e i momenti a cui sono legati. Alcuni dischi non li conosco ancora, perché ascoltati in pista e mai più risentiti, per intenderci. Uno però lo voglio citare ed è “City Lover” di Kool Water con Mark Borgazzi. Una traccia estratta dal secondo disco che ho prodotto con Strictly Groove. Nelle settimane che sono trascorse per avere le copie finite, mi commuoveva tutte le volte che lo ascoltavo. Ho pensato più volte a quale fosse il motivo e credo che mi facesse questo effetto perché il testo racconta di alcune belle sensazioni che respiri nella città in cui vivi. Mark parlava di Londra perché si era da poco trasferito li. Ed io infondo a Reggio Emilia non mi sono mai sentito a casa.
Chi è il tuo eroe?
Ti rispondo musicalmente… Chi mi conosce sa che sarei voluto essere David Mancuso. Il suo romanticismo non ha precedenti per me. In realtà credo che i veri eroi siano tutti coloro i quali trattano la musica con profondo rispetto.