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Tano Simonato

"Noi cuochi abbiamo il dovere di creare piatti con cose che si conoscono bene, niente dev’essere buttato nel piatto perché fa moda"

Scritto da Martina Di Iorio il 15 giugno 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Tano Simonato è un cuoco old school che dice ciò che pensa e cucina con ciò che conosce meglio, come per esempio l’olio, ingrediente di cui non può fare a meno. La mamma lo chiamava “barlafus”, in dialetto milanese “quello che parla a vanvera” per il suo modo di cucinare fuori dalle regole. Una cucina che però gli è valsa una stella Michelin nel 2008.

Hai un ricordo d’infanzia legato al cibo?

Ne ho diversi. Uno su tutti il riso e il latte.

Quando hai iniziato a cucinare? Spiegaci come e perché ti sei avvicinato alla cucina.

Ho iniziato a 16 anni circa, per necessità, visto che il babbo ci aveva lasciato troppo prematuramente. Avendo io quattro fratelli, mia madre andava a lavorare nel ristorante che avevamo a quei tempi con mia sorella maggiore e io restavo a casa a far da mangiare agli altri tre. Poi pian piano ci ho preso gusto e ho cominciato a divertirmi, ma da allora ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti.

Il giudizio più temuto quando crei un nuovo piatto?

Una volta era quello di mia madre in base alla sua presuntuosa convinzione che l’unica cucina fosse quella tradizionale. La me diseva semper: “ste fe, se in chi ropp lì, l’ia mangia nesun! Ma lasa sta barlafus!” La mia soddisfazione più grande è stata nel 2001, poco prima che ci lasciasse anche lei. Una sera venne a mangiare al ristorante per il suo compleanno, alla fine della cena mi chiamò e mi disse: “ven chi barlafus, te set diventà bravo. Va avanti inscì che te voueri ben!”. Oggi c’è mia moglie Nadia a bacchettarmi, (poco per la verità) ma è un giudice terribile. Se non è perfetto, secondo il suo giudizio, mica mi avalla. Ma io resto sempre con i piedi per terra, i giudici che temo di più rimangono sempre i miei ospiti.

Tre aggettivi per descrivere la tua cucina?

Creativa, sana e leggera.

Selezioni personalmente gli ingredienti delle tue ricette? Se sì, dove preferisci comprare gli ingredienti di quel piatto? Puoi darci qualche nome di prodotti di cui non puoi fare a meno?

Claro che si! E chi altrimenti. Il bello del creare e ricercare gli ingredienti, sta nella ricerca stessa di ciò che vuoi fare. I miei fornitori impazziscono! Gli ingredienti di cui non posso fare sicuramente a meno sono l’olio extra vergine d’oliva in primis, poi lo zucchero. Il resto è come dicevo prima. Al di là di trovare ottime materie prime, cerco di lavorare con prodotti che conosco bene, se mi viene in mente qualcosa che non conosco prima faccio una ricerca, poi decido se usare o no quel prodotto. Noi cuochi abbiamo il dovere di creare piatti con cose che si conoscono bene, niente dev’essere buttato nel piatto perché fa moda.

Qual è il piatto cult che prepari a casa per te stesso e/o per la tua famiglia/amici?

La pasta in bianco. Dopo l’invenzione del burro finto (da un’idea di Massimo Bottura), faccio una pasta in bianco da manicomio. Ho portato quel piatto ovunque: Dubai, Hong Kong, Atlanta, in molte città d’Italia e in Europa… buonissimo.

È iniziato EXPO. Che idea ti sei fatto? Ci andrai?

Le mie idee non hanno nessuna rilevanza, per noi ristoratori non sarà un successo. Per la città di Milano e forse per l’Italia non saprei. Preferisco aspettare che finisca, ne riparleremo. Se ci andrò? Credo di si, mi hanno invitato a cucinare.

Tre ristoranti di Milano che ti piacciono e che frequenti.

Sadler lo metto davanti a tutti parlando di Milano, ma di bravi ce ne sono diversi, soprattutto in Italia dove alziamo la media. Comunque a parte i soliti noti adoro il Dolada a Pieve d’Alpago. La mia idea del ristorante è che deve emozionare e farti divertire, se poi stai attento anche alla salute e alla leggerezza meglio ancora. Per nutrirti basta una bistecca fatta bene nella trattoria sotto casa, alla quale non tolgo proprio nulla, anzi, che ognuno faccia quello che ha nel cuore e nello spirito, l’importante è che sia fatto bene.