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Silvia e Domenico di Alivelab

Il collettivo bolognese motore del party Habitat e del format Ombre Lunghe si muove su proposte trasversali ''non necessariamente di nicchia'' che uniscono la dimensione dell'ascolto a quella del club. Una semina che inizia a far vedere i suoi frutti

Scritto da Salvatore Papa il 21 giugno 2016
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Foto di Martina Anelli

Nella mappa del clubbing bolognese Alivelab ricopre un ruolo particolare. Un po’ come succede in politica, rappresenta quello schieramento che raccoglie abbastanza consensi da spostare la programmazione su questioni più legate al contemporaneo, tagliando netto con la cassa dritta della seconda repubblica. Con i format Habitat e Ombre Lunghe sviluppati nell’AtelierSì ha foraggiato un gusto diverso e trasversale che unisce l’interesse per l’ascolto a quello per il ballo con proposte nazionali e internazionali coraggiose (alcuni nomi: Mono Junk, Dj Dustin, J. G. Bieberkopf, Acronym, S. Olbricht, ecc.). Capigruppo del collettivo sono Silvia Guescini, classe 84 di Reggio Emilia, e Domenico Di Maio, classe 88 di Caserta. Dal 22 al 24 giugno saranno all’ex Ospedale dei Bastardini per celebrare la compressione di Ombre Lunghe in un festival di tre giorni, completamente gratuito.

Ecco cosa ci hanno raccontato.

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ZERO – Diteci prima un po’ di voi: il vostro percorso, i vostri studi, le vostre fisse.

Silvia – Ho lasciato l’Emilia a 6 anni per poi tornarci in pianta stabile a 18 più o meno per studiare Antropologia. L’idea di fondo comunque era venire a Bologna, a studiare cosa (ai tempi) non era così importante. Di fisse ne ho diverse, ma quella che mi vede più attiva è sicuramente la musica – con Alivelab, Yerevan Tapes (etichetta di vinili e nastri che porto avanti dal 2011) e altre piccole attività collaterali.

Domenico – Il mio rapporto con Bologna inizia nel 2007. Dopo la laurea in comunicazione ho iniziato a lavorare per aziende, agenzie e realtà editoriali come consulente e parallelamente ho sempre curato insieme agli altri Alivelab tutti i progetti dell’associazione. Amo l’editoria, un campo nel quale attualmente lavoro, difficilmente sostenibile ma che riempie di soddisfazione, il design, la musica, gli eventi.

Come vi siete conosciuti?

Silvia – Come ogni collettivo anche Alivelab ha una natura flessibile fatta di differenti orbite, persone nuove che entrano, altre che tornano o se ne vanno. Io sono entrata nel 2014. Tre anni fa ero finita con alcuni amici al TPO per IMAGO festival (di cui Alivelab era uno dei promoter attivi), avevano messo su tutta una scenografia di liane e piante varie che collegavano tre palchi piuttosto eterogenei tra loro, c’era di fondo una bella attenzione all’evento nella sua totalità (dalla qualità della proposta a quella della fruizione), e il tutto è stato riconfermato alcuni mesi dopo quando sono capitata a una serata Habitat. In quel periodo era già da un po’ che con Andrea (Avant! Records) si parlava della mancanza di spazi d’ascolto che stessero a metà strada fra l’house concert e i live più mainstream – un po’ per interesse personale, un po’ per canalizzare parte delle proposte che ci arrivavano attraverso le etichette. Doveva essere idealmente uno spazio che avrebbe potuto accogliere proposte più o meno liminali ma con approccio trasversale, qualcosa quindi che per capienza non fosse necessariamente di nicchia. Di lì per forza di cose il passo è stato breve, ci siamo presentati a Domenico e Giobbe, abbiamo trovato una solida comunione d’intenti e dopo alcuni incontri è nata Ombre Lunghe.

Il festival IMAGO al TPO
Il festival IMAGO al TPO

Come nasce Alivelab e di cosa si occupa?

Domenico – Alivelab nasce come associazione di promozione sociale 5 o 6 anni fa. A dirla tutta io sono entrato a farne parte in corsa, dopo un paio d’anni dalla fondazione. Per il momento, si occupa di direzione artistica e produzione di eventi di musica elettronica e di arti digitali. In altre parole, indipendentemente dalle produzioni proprie, forniamo consulenze per l’organizzazione di eventi.

Chi sono gli altri ragazzi coinvolti in Alivelab e chi fa cosa?

Domenico – Alivelab ha diversi format, e di volta in volta a seconda dell’interesse personale e della disponibilità di tempo l’impegno di ognuno di noi cambia. A carattere generale, oltre a noi due, Alivelab è composto da Giobbe Forni (Habitat), Michele Ruoti che si occupa della parte burocratica degli eventi, Gianmarco Leprozo tecnica, Andrea Napoli (Ombre Lunghe) e Martina Anelli produzione, Andrea Masciadri video, luci e allestimenti. Poi Pietro e Bebo dell’associazione MicroBO che non sono formalmente del gruppo ma che da anni curano il suono di tutti i nostri eventi.

Perché format diversi?

Silvia – Ombre Lunghe come dicevamo sopra è nato in un secondo momento e con degli intenti leggermente differenti. Se si vuole comunque trovare una distinzione sulla forma si potrebbe probabilmente dire che Habitat è orientata maggiormente verso la dimensione Club, mentre Ombre Lunghe è in parte più d’ascolto – anche se non c’è mai un discorso di esclusività e i due format tendono talvolta a contaminarsi. In entrambi i casi c’è comunque una forte attenzione al contesto musicale attuale e alla commistione di linguaggi sonori differenti.

E perché Ombre Lunghe è diventato un festival? Significa che la cadenza d’ora in avanti sarà annuale?

Silvia – Non necessariamente. Ci piace l’idea di una certa resilienza di fondo, un’elasticità nella forma che gli permetta di adattarsi a contesti diversi e farlo quindi con differenti formule. È un po’ la ragione che sta dietro la scelta di non definire Ombre Lunghe propriamente un festival. Questa di giugno è una sua mutazione, ma con buone probabilità ci saranno altri singoli episodi disseminati durante l’anno. La tre giorni della prossima settimana è stata frutto di un percorso naturale. Una rassegna ti permette di adottare una formula che sarebbe invece ostica per un sabato sera – diversi live, orari anticipati – e di farlo naturalmente su più giorni, lasciandoti quindi spazio di sperimentare differenti approcci e generi. È una delle mutazioni seminali di Ombre Lunghe, non l’unica, ma una parte importante del suo genoma.

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Cosa succederà all’ex Ospedale dei Bastardini? E cosa non dovremmo perderci e perché?

Domenico – Abbiamo sempre cercato luoghi che potessero contenere i nostri format nella maniera più appropriata. Per noi è importante che tutti i sensi vengano coinvolti; si fruisce di un’esperienza totalizzante e non di un semplice live set.
L’ex Ospedale dei Bastardini è un luogo che si abbandona a mille suggestioni, non credo potesse andarci meglio in questo senso. Cerchiamo di favorire la nascita di una comunità nella quale artisti e pubblico interagiscono e si rapportano a pari livello.Per quanto riguarda le anticipazioni, lasciamo che la curiosità faccia il suo percorso.

Come scegliete i vostri ospiti?

Silvia – Tantissimi ascolti e ore infinite di chat. L’idea di base è portare a Bologna qualcosa che noi per primi vorremmo vedere. Per questo ogni singola scelta passa attraverso i nostri ascolti personali, e partendo da questi ci confrontiamo.

L’artista ospitato che vi ha dato più soddisfazione?

Domenico – In quasi cinque anni ne sono passati tanti di artisti, ma, facendo riferimento ad intensità ed esperienza, Acronym ha lasciato un solco profondo nel nostro storico. Non tanto per il suo liveset ma per il modo in cui i suoi suoni hanno trasformato la sala della memoria dell’AtelierSi. C’era uno strano magnetismo, un’interazione particolare tra pubblico e artista. Ma come ben saprai, queste sensazioni sono assolutamente soggettive.

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Acronym all’AtelierSì

E quello che inseguite da sempre?

Domenico – Un nome su tutti: Aphex Twin

In una città con un continuo ricambio come Bologna, come pensate si possa costruire un pubblico attorno a un certo tipo di proposte come le vostre?

Silvia – Sicuramente la continuità della proposta è un’ottima alleata, c’è sempre bisogno di tempo perché si sedimenti e si diffonda. Il carattere mutevole del pubblico delle città universitarie non è necessariamente un discrimine, se da una parte la sua ciclicità interrompe il singolo legame, dall’altra è quello stesso generale ricambio che dà maggiore respiro alla proposta stessa.

E com’è questo vostro pubblico?

Domenico – In tre parole: attento, partecipe, curioso

Quant’è stato importante per voi l’Atelier Sì? Avete avuto difficoltà a trovare una casa?

Domenico – Per chi non lo sapesse l’AtelierSì è il luogo in cui siamo nati. Quattro o cinque anni fa siamo partiti da lì, ci siamo fermati con i lavori di ristrutturazione dello spazio e siamo ripartiti con la recente riapertura. Mentre l’intera struttura cambiava forma, siamo comparsi non molto frequentemente al TPO. La cosa certa è che tutte le persone che abbiamo incontrato lungo il percorso, da Giovanni dell’AtelierSì a Flavia del TPO hanno sempre creduto in quello che stavamo facendo e hanno contribuito a rendere Alivelab quello che è oggi.

Riguardo agli spazi per la cultura, com’è messa secondo voi Bologna?

Silvia – Dipende. Dipende dall’altro termine di paragone. Direi piuttosto bene guardando alla media nazionale, un po’ meno spostando lo sguardo oltreconfine. Ma questa è una considerazione a carattere endemico nel Belpaese. In generale comunque mi sembra che le volontà dei singoli (individui, associazioni, enti) restino piuttosto stabili nonostante le difficoltà strutturali. Al netto dei pochi incentivi le belle proposte continuano a venir fuori.

Silvia e Domenico all'Ex Ospedale dei Bastardini, dove si terrà Ombre Lunghe
Silvia e Domenico all’Ex Ospedale dei Bastardini, dove si terrà Ombre Lunghe

Qual è la meglio gioventù musicale di Bologna?

Domenico – Gioventù musicale per me non vuol dire solo saper suonare uno strumento. C’è tutto un sottobosco di realtà che buttano il proprio sangue e i propri soldi in iniziative culturali che fanno respirare Bologna e che probabilmente passano totalmente inosservate. In questo senso, non smetterò mai di supportare i ragazzi di Mint Sound, Andrea di Panorama Musique, gli stessi Silvia e Andrea di Avant! e Yerevan Tapes, Jonathan di Maple Death. Tutta gente che non dorme la notte per cercare di foraggiare un ambiente culturale che troppo spesso la città ignora.

Nel futuro vi vedete a Bologna? Altrimenti dove? E perché?

Silvia – Tolto qualche piccolo ripensamento fisiologico qua e là negli anni, direi che continuo a vedermi a Bologna.

Domenico – Sono in procinto di allontanarmi per un po’, forse Milano, per il modo in cui il mio lavoro viene visto fuori da Bologna. Non ho però intenzione di chiudere con tutto quello che ho costruito in città con i ragazzi, nel limite delle mie possibilità.

Quando non lavorate, dove vi piace andare a cazzeggiare?

Silvia – Modo, il Pratello, ZOO, la Zita sulla via Emilia per i tortellini, il cinema Lumière (più per un discorso sentimentale di formazione), l’AtelierSi.

Domenico – Rude, ZOO, l’AtelierSi, il Senza Nome e il Pratello in generale.

E quando siete a casa cosa ascoltate di solito?

Silvia – Ah, domandone! Facciamo così, ascolti del giorno: il nuovo Ep di Lee Gamble per la sua stessa UIQ, lo split Chino Amobi & Rabit per NON, l’ultimo di Umberto su Not Not Fun (un po’ una delusione), Shit and Shine su una playlist random e Rendez-Vous (Avant! Records).

Domenico – Talk Talk, Blonde Redhead, Tim Hecker, Chet Baker, Death in June. Senza una particolare logica.

 

Chi è il vostro eroe?

Domenico – Nikola Tesla per le geniali intuizioni e le sofferte battaglie. Un vero e proprio anti-eroe.

Progetti per i prossimi mesi?

Domenico – Per ora chiudiamo Ombre Lunghe, poi staccheremo per qualche settimana. Al rientro della pausa estiva vedremo di ricomporre il puzzle e capire in quale direzione continuare a crescere.

Approfittiamo inoltre di questo spazio per un comunicato importante: a fronte di diversi aggiustamenti che hanno avuto luogo nei giorni scorsi siamo lieti di annunciare che l’intero festival sarà ad entrata gratuita.