Giugno, a Roma, vuol dire l’inizio della calura dilaniante, ma vuol dire anche fumetti. Quelli “Dirompenti” del Crack! che da più di dieci anni ci accompagnano per un lungo fine settimana nelle celle e negli spazi del Forte Prenestino – quest’anno dal 23 al 26 giugno. In occasione dell’edizione 2016, Crackland, che coincide con il Trentennale del Forte, riprendiamo la conversazione fatta già a partire dallo scorso anno con Valerio Bindi, uno degli organizzatori: “Una raccolta di frammenti di discorsi, raccolti in tempi diversi. Un dialogo intellettuale che si dipana nel tempo come la tela di Penelope”, come l’ha definita Valerio stesso. Dopo la lettura sarà quasi impossibile non sgombrare le mensole di casa da chincagliere e oggetti inutili e riempirle di volumi e zine comprate ai quattro angoli della Terra.
QUI IL PROGRAMMA COMPLETO DI CRACK! 2016
Il 2016 è l’anno del trentennale del Forte ed è stato celebrato da una pubblicazione autoprodotta, Fortopía . Hai partecipato anche tu alla sua realizzazione?
Sì, ho preso intensamente parte a questa avventura. Prima in redazione, dove ho lavorato per portare a casa il risultato. Seguendo gli umori mi sono fatto via via idea di come avrei dovuto realizzare un progetto multiforme e complesso. È come quando devi fare un ritratto: il soggetto, il Forte, io lo conosco bene, ma la redazione mi ha insegnato che ci sono tanti Forti e che il libro poteva esistere solo se fossimo riusciti a dare un volto a tutti. Il compito di mettere questo ritratto su tela lo hanno dato a me. Quello è stato il lavoro più duro: cercare, con il budget che avevamo e con l’enorme mole di testi e immagini, di fare un corpo vivo, non una natura morta.
Fortopía è un insieme di racconti in cui ogni autore ha narrato la propria esperienza del Forte. Ne hai scritto anche tu uno?
Fortopía è un libro che conserva fortissima l’oralità. E la capacità di far conoscere la storia di questi anni come se fosse un racconto, non una linea temporale di eventi e azioni. Il mio racconto l’ho fatto prima di tutto a Zero tempo fa (la seconda parte dell’intervista che leggerete tra un po, nda), era una chiacchierata proprio fra noi due: ho descritto un frammento significativo della mia permanenza al Forte durante gli anni Novanta. I Novanta sono gli anni Sessanta della contemporaneità: tutta la musica, le forme della comunicazione, l’arte e le droghe degli anni novanta sono state l’ultima invenzione originale del Novecento, su cui ancora si elabora e si inventa.
Il fatto che la copertina di questo libro sia un disegno è un fattore estremamente indicativo del rapporto che esiste tra il Forte e questa arte. Che ne pensi?
La cultura punk e underground, che è poi traboccata nei nuovi linguaggi digitali, è sostanzialmente basata sulla trasmissione di immagini dirette, brutali, primordiali, pre industriali. I primi artisti underground sono stati quelli che hanno lasciato immagini meravigliose negli istituti di detenzione totale psichiatrica. Questo potere delle immagini ora è ampiamente sfruttato dal capitalismo delle piattaforme, che produce fiumi di denaro condividendo le nostre immagini nei territori blindati del software proprietario. Le nostre immagini invece sono anticorpi a questo: fluiscono libere dotate di forme svariate di copyleft, pronte ad essere condivise allo stesso modo, remixate per fondare un magma della memoria che produca altro presente. Il libro del Forte non poteva non produrne in abbondanza.
Questa sarà la dodicesima edizione del Crack!, il che vuol dire che un terzo della vita del Forte è stato segnato da un festival dedicato al disegno indipendente. Intitolarla “Crackland” era pressoché inevitabile.
Sì, è vero, ho fatto pure io questo pensiero. Nel libro emerge anche una lista di festival realizzati al Forte negli ultimi trentanni: sono circa quaranta progetti, ognuno con diverse edizioni. E per la maggior parte riguardano questo mondo. Perché Crackland, dicevamo. Ci vuole uno spazio, o meglio, una pratica dello spazio, per renderlo una TAZ, una zona temporaneamente autonoma. Solo se esiste questa preziosa fatica che ricostruisce il luogo poi questo può essere attraversato e riconfigurato. Quello che da questa parte del mondo sono Taz, movimenti e autoproduzioni, dall’altra diventa centri commerciali, piattaforme di controllo e prodotti. Zone morte che simulano città, artisti e vite umane. L’arte di là è una merce e di qua è una vita, come diceva Hakim Bey. Ecco cosa ci ha spinto ad immaginare questa Crackland come una galassia, una nebulosa di produzioni autonome indipendenti e irregolari. E di festival. L’ultimo giorno di questo Crack! faremo il primo Incontro Intergalattico dei Festival Indipendenti, i cui lavori daranno il via ad una rete europea di scambio e cooperazione, di rispetto e condivisione, basata sugli stessi principi che hanno fatto grande il nostro festival. È un evento che porta lontano. Siamo felici che le sue prime mosse le faccia qui: down in Crackland.
Il manifesto di questo 2016 è stato disegnato da Rurru Mipanochia, ci puoi raccontare che artista è e perchè l’avete scelta?
Almendra Castillo, alias Rurru Mipanochia (nome con una dichiarata metafora sessuale, la panochia è la vulva) è stata una grande scoperta: lo scorso anno è intervenuta al Crack! con il suo mondo leggiadro, escatologico, sessuale, infantile, imprudente e totalmente scorretto. “Irriverenza mestruale” è stata definita la sua serie di video che ha scandalizzato internet, in cui mostrava gli usi del sangue mestruale che raccoglieva e applicava in diretta in vari modi e con varie funzioni, sul suo corpo o su quello dei suoi complici. È un progetto che pone in evidenza quanta discriminazione esista nell’immaginario legato alle secrezioni maschili rispetto alle femminili. I suoi disegni sono atti politici e leggeri, che attraversano il territorio biopolitico della sessualità. Lei è pasticciata come una bambina, presente come la terra, creativa come una donna, ma non vorrei dare l’idea di una divinità femminile, è anche uno strano bambino-cosa Rurru. È un folletto punk e anarchico che sicuramente ci incarna completamente. Non potevamo non chiedergli un manifesto. È una grande artista a tutto tondo. Su rurru.jimdo.com si trova in apertura una sua autodescrizione che la racconta intensamente.
Facciamo qualche passo indietro. Tu sei nato a Roma, vero?
Sono nato a Roma, 1963, e cresciuto sul bordo della Valle dell’Inferno, che negli anni sessanta era ancora un posto di ciminiere, sabbia gialla e baracche. Ora è un parco, ma è sempre un posto rude e di sabbia gialla. Lo amo sempre molto.
Quando hai iniziato ad appassionarti al fumetto?
Da bambino, molto piccolo. Non sapevo leggere, ma riuscivo a capire le concatenazioni delle storie. Mio nonno la domenica mi dava cinquecento lire che potevo spendere in fumetti.
Ti ricordi il primo fumetto che hai letto?
No, ma era sicuramente tra questi: leggevo Geppo, Tiramolla e Braccio di Ferro. E il Topolino degli inizi.
L’ultimo, invece?
La rabbia, la nostra raccolta che esce a settembre e di cui stiamo rivedendo le bozze.
Giravi per negozi di fumetti? Quali sono stati quelli che hai frequentato di più?
C’era un posto losco a via Mocenigo a Roma: un sottoscala dove c’erano delle cose bellissime. Ci andavo spesso, mi piaceva anche il tipo che lo teneva: nel retro c’era un magazzino e ti faceva stare a leggere quello che volevi. Lì ho letto molte pagine di Pogo, ma tanta altra roba.
Il fumetto che ti ha cambiato e ha suggellato la tua passione per questo mondo?
Che domanda impossibile! Un momento chiave fu il giorno che andai nella redazione di Frigidaire. Senza disegni, senza niente: solo per vederli lavorare. Era in inverno nell’80. Era dopo che avevo divorato Cannibale. Conobbi Tamburini che scriveva e faceva grafica come se tutto il resto fosse di duecento anni più vecchio. Questa è stata la sveglia più forte. Ma ci sono decine e centinaia di pagine fondamentali che mi sono servite. Sicuramente i fumetti che sono i miei più amati ora, grazie al fatto che i lavori di Garo sono stati tradotti in inglese francese e italiano: Yoshihiro Tatsumi, Sanpei Shirato, Shigeru Mizuki, Tadao Tsuge, Shinichi Abe…
Quando e perché hai deciso di realizzare un festival di fumetti?
Nel 1990, dopo le occupazioni della Pantera, entrammo al Forte Prenestino con il nostro gruppo, Sciatto Produzie, facevamo fumetti, installazioni, graffiti e murali. Quell’anno andammo anche in giro per l’Europa dell’Est che era una zona di festa. A Praga, in Ottobre, abbiamo fatto un paio di festival che ci hanno cambiato la vita e così l’anno dopo ci mettemmo ad organizzare il Festival delle Arti nelle celle dei sotterranei, invitando quelli che avevamo conosciuto. È stato bello, lo abbiamo rifatto più volte in momenti diversi e con nomi diversi in tutti i novanta. Poi, all’inizio degli anni duemila, con un altro gruppo di disegnatori e autoproduttori di immagini decidemmo di farlo con una maggiore continuità.
Ti ricordi della prima edizione del Crack!? Come andò?
Fu organizzata in una settimana nel novembre 2003, si chiamava Celle Animate. Organizzavano Infoshop e la Sala da The del Forte. Gianluca Romano fece il manifesto. Io a qui tempi facevo Accattone – un giornale seminale – e c’era tutta una rete di artisti che si muoveva intorno. Ci sentimmo anche con Alessio Spataro e mettemmo in moto tutti gli autori che erano a Roma in quel momento, uno o due per cella. Appesero quello che avevano, io attaccai solo due mie vignette prese da un fumetto, ma stampate giganti. Altri riempivano le celle di storie. La gente rimaneva per ore a leggere tutto, a parlare con gli autori. Era una cosa che aveva una sua forza. Qualche tempo prima un editore voleva che scrivessi un libro che si intitolava il fumetto è morto. Lo mandai a cagare: con Crack! capivo che avevo fatto bene.
Ti ricordi come e perché fu scelto il nome Crack!?
È il suono dello sparo del fucile nei fumetti. Se vedi le storie di Hugo Pratt è scritto anche con il punto esclamativo. L’ho proposto perché era uno squarcio nel silenzio che c’era. Dopo Genova il silenzio era assordante. E proposi pure “fumetti dirompenti”. Il lampetto lo ha disegnato Alessio Spataro, il font del logo fu scelto da Gianluca Romano e io lavorai sulle due cose per farne un marchio. Gianluca Romano che poi ha fatto anche il disegno del torchio di Fortepressa, la nostra edizione fantasma.
Il sodalizio tra il Forte Prenestino e il Crack! Funziona molto bene: qual’è il suo segreto?
Il Forte è lo spazio del desiderio, dell’immaginazione che si fa spazio fisico. È disallineato sempre rispetto a tutto quello che dovrebbe essere messo a posto in qualche modo. E questa è la sua grandezza sconfinata. Crack! non si poteva immaginare in un altro luogo e con nessun’altro gruppo di persone. È uno spazio nato su una festa e sull’idea del non-lavoro. Ovvero sul tempo che non può essere contabilizzato. È un luogo dove il progetto è sostituito dalla processualità. Ho sempre pensato che il festival doveva essere uno spazio per fare networking, come era stato l’hackmeeting per esempio. Crack! non convoca, non sceglie, non cura, non guadagna: è totalmente autorganizzato. È sostenuto con molta passione dal non-lavoro di tutte le persone che occupano il forte e lo fanno vivere. e ogni anno si rimette in discussione come patrimonio collettivo di questa comunità. E così mutando e deragliando, continua a trovare una forma condivisa.
Oltre al Crack!, quali sono gli altri festival di fumetti, sia in italia che all’estero, dove consiglieresti di andare?
in Italia ci sono tanti festival che condividono la visione di Crack!: il Ratatà, il Ca.Co., il Bordafest e fuori dall’Italia c’è tutta una rete di festival cui facciamo riferimento: Tenderete, Gutter Fest, F.Off, Altcom, Škver!, Grrr! Novo Doba, Ohoho. Molti hanno vita intensa e breve, altri perdurano nel tempo. Comunque è una rete fortissima che continua a produrre luoghi e momenti di incontro in tutta Europa. Anche realtà più istituzionali come il Comicon o Le Strade del Paesaggio hanno un forte legame con noi.
Ne esiste uno simile al Crack! secondo te?
Non esiste nulla al Mondo come il Crack!. Se vengono artisti da tutto il pianeta è solo perché veramente non c’è un’altra situazione come questa.
Qual è l’artista portato al Crack di cui sei più orgoglioso?
Credo Joakim Pirinen, che è uno degli inventori del nostro universo. È con la sua presenza che si è aperta davvero l’internazionalizzazione di Crack!. Ma anche Mac McGill, artista di WW3. ogni collettivo con cui collaboriamo porta qui il meglio che ha. La lista dei maestri del comix underground che abbiamo visto qui è lunghissima: ci sono storie così intense che ho vissuto con tantissimi artisti che fanno parte di Crack! in un modo o nell’altro. Penso a Sebastian Borkenhagen o Tony Cheung, MP5, Maya Mihindou, Anna Ehrlemark, Zograf, Markus Nyblom, Prof Opacic e Radovan Popovic, Craoman e i Guedin Bros e Pakito e Bad Trip e…. Aiuto come ci si ferma?
Quali sono i tuoi 5 disegnatori preferiti di sempre?
I primi cinque maestri che immagino? Feininger, Herriman, Masereel, Segar, Breccia.
I 5 italiani preferiti di sempre?
I classici: Magnus, Bad Trip, Tamburini, Pazienza, Pratt. Già finito? e tutti gli altri che amo?
I 5 internazionali e italiani emergenti da tenere d’occhio? A Roma ci sono delle matite valide?
Io lo so che a tutte queste domande si DEVE rispondere anche perché i motori di ricerca amano le classifiche, ma non ci riesco, sono tre giorni che ci penso. Crack! è elaborazione collettiva, un festival autoconvocato: i collettivi sono fondamentali Punx23 Dernier Cri, Komikaze, Studiostrip, Wormgod, Garage L, Arara, HSH, Trayectos, Kus, CCC e quanti altri! E i gruppi italiani da Canicola in poi fino a Zerocalcare, che viene dal primo anno e siamo gli unici che non sparano il suo nome grosso così o gli chiedono un manifesto. Insomma, abbiamo avuto 3500 artisti ospiti fin qui, come si fa a fare una lista in cui mi senta a posto? Vorrei però nominare e ringraziare le artiste che hanno fatto i nostri poster (sempre disegnati da donne), in ordine di apparizione e che erano le artiste di punta di ogni anno di Crack!: Hanna Petersson, MP5, To/Let, Nina Bunjevac, Maya Mihindou, Shahbaz, Inechi, Bambi Kramer e quest’anno Veronica Felner. Aggiungerei Chiba e Ivana Armanini, che fecero due immagini storiche per il nostro festival.