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Massimiliano Gioni

Per la kermesse meneghina cura la mostra di Sarah Lucas: occasione buona per ricordare alcune riflessioni condivise con lui ai tempi della curatela di La Grande Madre

Scritto da Angela Maderna il 3 ottobre 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Massimiliano Gioni a Venezia nell'anno della sua Biennale (2013)

Per MiArt, Massimiliano Gioni cura la mostra di Sarah Lucas al Diurno di Porta Venezia. Cogliamo l’occasione per ripubblicare una chiacchierata fra lui e Angela Maderna, tenutasi in occasione de La Grande Madre, altra recente curatela firmata per Fondazione Trussardi.

Quando penso all’espressione “giovane brillante” mi viene sempre in mente lui, che forse ormai così giovane non lo è più ma brillante lo è rimasto di certo. Massimiliano Gioni dalla redazione di Flash Art è finito al New Museum e continua ad essere direttore artistico della Fondazione Trussardi, per la quale – reduce da una Biennale di Venezia memorabile, quella del 2013 – ha appena curato un altro dei suoi capolavori: La Grande Madre. Le sue mostre si possono vedere in molti modi e a diversi livelli di profondità, si può seguire il filo della storia dell’arte (qui parte dalle avanguardie), andare alla ricerca della chicca nascosta (ce ne regala sempre diverse), riflettere sulla tematica (che apre in genere orizzonti più ampi). Insomma quando prepara una mostra Gioni studia, e parecchio, per poi restituire la complessità di un discorso in un modo così chiaro da sembrare semplice pur non essendolo affatto. Questa volta le aspettative erano altissime, non si poteva sbagliare e credo non l’abbia fatto, ha realizzato un’altra mostra (e catalogo) inattaccabile mentre stava per diventare padre del suo primo bimbo.

 

Zero: Sei diventato papà: La Grande Madre quindi è anche tua moglie? Dato il tema e la condivisione della passione per l’arte: ti ha dato qualche suggerimento mentre lavoravi a questa mostra?
Massimiliano Gioni: Ma certo. Purtroppo per lei – o per fortuna per noi – Cecilia (mia moglie) e io ci confrontiamo sempre sui nostri rispettivi progetti e cerchiamo di aiutarci a vicenda: ogni mia mostra è passata al setaccio e distrutta e ricostruita da Cecilia. La coincidenza ancora più singolare è che la madre di Boccioni – che per molti versi ha ispirato la mostra per la combinazione di futurismo e tradizione evocata dai suoi quadri dedicati alla madre – si chiamasse proprio Cecilia…

 

Dopo aver studiato e preparato La Grande Madre ora sarai il compagno/padre che tutte le mamme vorrebbero avere al proprio fianco. Ti è servito anche a prepararti al ruolo di padre?     
Ma non esagererei: anzi, dopo aver lavorato a questa mostra mi è ancora più chiaro che non so pressoché nulla di ciò che possa provare davvero una madre. E da questa mostra i padri non escono molto bene, quindi spero di essere almeno più papà che padre e padrone, nel senso opprimente che emerge da molte opere in mostra.

 

meret oppenheim - angelo sterminatore
Meret Oppenheim, Angelo Sterminatore

Il paragone con Szeemann è facile e immediato, anche se la tua mostra è molto diversa, quanto ha pesato il suo progetto sul tuo?
Beh, prima di tutto devo essere grato a Szeemann non solo perché ha aperto tantissime porte e perché ha sperimentato nuovi modelli espositivi che mi hanno permesso anche di provare accostamenti e inclusioni inusuali, ma in questo caso devo anche essergli grato paradossalmente per non aver realizzato questa mostra, lasciando così lo spazio che mi consentisse di realizzare la mia. In realtà ho deciso di imbarcarmi in questo progetto solo dopo aver parlato con il ricercatore Pietro Rigolo e aver scoperto che l’idea originaria di Szeemann era molto diversa dalla mia: la sua sarebbe stata una mostra senza arte e dedicata a donne che non erano diventate madri. Scoprire che non c’erano sovrapposizioni – se non forse solo Emma Kunz – tra i due progetti di mostra, mi ha dato la tranquillità per sviluppare il mio progetto senza sentire il peso di cotanto padre sulle spalle. Devo dire però che la mostra di Szeemann Le Macchine Celibi, dedicate all’intreccio tra sessualità e meccanica all’inizio del Novecento, riveste un ruolo importante anche ne La Grande Madre, e quindi pago più di un debito al barbuto maestro…

La mostra sta avendo grande risonanza e non hai minimamente deluso le attese, mettendo addirittura d’accordo grande pubblico e addetti ai lavoro: te l’aspettavi? Sei soddisfatto?
Non me l’aspettavo e ne sono molto felice anche perché è una mostra complessa non solo da realizzare (con tantissimi prestiti e materiali) ma anche da leggere… Rispetto però alle aspettative di grande pubblico e addetti ai lavori, be’, quello in realtà è un obiettivo che inseguo sempre nelle mie mostre. Voglio che le mostre siano una sorpresa e un arricchimento intellettuale per i professionisti, ma che il grande pubblico possa entrarvi e viverle con la stessa spontaneità. Non credo sia un atteggiamento populista: piuttosto la convinzione che l’arte debba essere un diritto e un piacere per tutti.

Massimiliano Gioni and Artist Pipilotti Rist attend the 'Parasimpatico' exhibition press preview (Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
Massimiliano Gioni and Artist Pipilotti Rist attend the ‘Parasimpatico’ exhibition press preview (Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Non molto tempo fa è uscito un articolo su ArtNews in cui si tentava di dimostrare il sessismo nel mondo dell’arte, tesi supportata dai dati che mostrano una bassa percentuale di personali dedicate ad artiste donne in alcuni dei musei più noti. Credi che esista una forma di sessismo nel mondo dell’arte o forse influisce il fatto che la donna può soddisfare il proprio desiderio creativo attraverso la maternità mentre l’uomo non può far altro che ricorrere alla creazione artistica? O entrambe le cose?
Temo che esista ancora una certa discriminazione nel mondo dell’arte, che spero tuttavia sia solo il risultato di alcuni comportamenti accettati qualche anno fa, i cui risultati ancora pesano sul presente. Però da più parti mi sembra che si stia lavorando per risolvere o contrastare queste differenze e discriminazioni. Di sicuro non credo affatto che sia la biologia dell’essere donna a far sì che le donne possano soddisfare il proprio desiderio creativo attraverso la maternità: anzi, proprio contro questo concetto si scaglia più volte la mostra. Al contrario, mi sono fatto anche un’idea piuttosto raccapricciante durante la realizzazione della mostra, e cioè che forse l’arte per molti secoli sia stata il territorio in cui l’uomo ha cercato di sottrarre alla donna la magia e il potere di creare dal nulla. È una conclusione forse amara e forse anche naive, ma forse l’arte è la disciplina in cui l’uomo si nutre di deliri di onnipotenza, e sogna di poter creare la vita, come fanno le donne. Devo dire però che è anche una conclusione avventata e piuttosto stupida, se non altro perché ricade vittima di quei pregiudizi biologici contro cui la mostra vuole metterci in guardia, quindi diciamo che è solo un dubbio che mi ha assalito un paio di volte e che spero non abbia alcun sostrato di verità.

Oltre al film di Nanni Moretti (Mia madre), ultimamente in tv mi pare siano comparsi numerosi programmi dedicati alla maternità, alla gravidanza, al diventare genitori, credi sia un caso?
Da una parte succede sempre così: basta un film, una mostra o un libro che attragga più attenzione di altri e all’improvviso ci sembra che in realtà il soggetto fosse nell’aria… Penso sia più che altro una questione di prospettiva e percezione. Detto questo, forse posso aggiungere che in molte nazioni influenti la maternità è sempre più programmata, e forse a questo corrisponde anche un surplus di interesse o di discussione.

 

Jeff Koons, Balloon Venus
Jeff Koons, Balloon Venus

Tra tutte le opere che hai scelto per questa mostra quale regaleresti a tua madre e perché?
Bella domanda, non me l’aveva fatta ancora nessuno. Se pensassi al futuro suo e dei suoi nipotini dovrei cercare di donarle l’opera di Koons, per il suo valore, che sistemerebbe almeno un paio di secoli di famiglie… Scherzi a parte, forse le piacerebbe il quadro di Remedios Varo con la mamma che nutre la luna.

 

Remedios Varo, Papilla Estellar
Remedios Varo, Papilla Estellar

Tua mamma visita le tue mostre?
Sì.

Dove porti o porteresti a cena tua madre per una serata a Milano?
Oddio, di solito quando vengono a trovarmi a Milano andiamo in un posto che si chiama Carpaccio, dove vado spesso.

E il piatto che tua mamma cucina sempre quando torni a trovarla? 
Purtroppo passo di rado per casa e sono i miei genitori che più spesso mi vengono a trovare. E sono sempre indaffarati a prendersi cura dei nipoti e non so più quando trovino il tempo per cucinare… Le torte salate le vengono molto bene però…

Con la Fondazione Nicola Trussardi avete fatto riscoprire ai milanesi (e non solo) luoghi insoliti e a volte dimenticati, ora andate nel centralissimo Palazzo Reale, come scegliete le sedi delle mostre e quale sarà la prossima mossa?
Il bello delle mostre della Fondazione Trussardi è che sono fonte di sorpresa, non solo per le opere ma anche per la scelta dei luoghi. Non c’è una ricetta segreta per sceglierli, né un criterio fisso. In generale però direi che ci piace lavorare in luoghi il cui ricordo è saldamente inscritto nel sistema nervoso e nella memoria collettiva della città. Anche quando lavoriamo in luoghi pressoché dimenticati, è importante che abbiano rivestito un ruolo importante a un certo punto nella storia della città, così che ritornino subito alla memoria con la forza del rimosso e accendendo nuove curiosità e ricordi.
Palazzo Reale – anche se è una sede istituzionale – ne è un esempio: è un luogo ricco di storie e ricordi. E in questo caso in particolare la memoria anche della mostra L’altra metà dell’avanguardia – la leggendaria rassegna dedicata all’arte delle donne di Lea Vergine – popola quasi come un ricordo le sale della Grande Madre.

 

Passiamo a parlare un po’ di Milano: hai iniziato la tua carriera qui nella redazione di Flash Art e poi giovanissimo sei approdato alla Fondazione Nicola Trussardi, com’è cambiata secondo te?
Devo dire che nel frattempo sono andato a vivere a New York, quindi la mia esperienza di Milano è sempre un po’ a distanza, a volte tinta di nostalgia, a volte magari di impazienza. Ciò che mi ha colpito di più in questi anni, è stato vedere come la città sia diventata più aperta e più pubblica diciamo. Nel nostro caso specifico, quando abbiamo iniziato a portare l’arte nella città e a esplorare i suoi luoghi, l’arte era ancora una cosa da soli addetti ai lavori: ormai invece è un fatto sociale, di partecipazione collettiva. E ci piace pensare che sia anche merito della Fondazione Trussardi.

Massimiliano Gioni e Beatrice Trussardi
Massimiliano Gioni e Beatrice Trussardi

Quali sono i luoghi che frequentavi e che frequenti (tempo permettendo) quando torni a Milano?
Purtroppo non molti. Naturalmente sempre il Caffè Trussardi e il ristorante – e non lo dico per fare promozione ma semplicemente perché ci passo sempre. E tanti altri ristoranti: ogni volta in cui torno a Milano, penso al cibo. Qualsiasi salumeria o panetteria, focacceria e pasticceria… A New York ci sono giorni in cui darei chissà cosa per un vero panino al salame, con la rosetta!

 

Ora vivi a New York. Che differenza c’è tra i frequentatori degli opening milanesi e newyorkesi? Come descriveresti i milanesi?
Be’, a New York non ho mai visto nessuno con il loden :) Scherzi a parte, i numeri sono diversi: molta più gente si confronta con l’arte a New York, ma a Milano a me piace sempre vedere tantissimi giovani e ragazzi ai nostri opening in coda. Sarà che forse invecchio, ma almeno si ha la sensazione non solo di lavorare per l’arte ma anche per il futuro della città e – se fossi ambizioso direi anche della nazione.

Massimiliano Gioni, Cecilia Alemani== Opening Celebration for PAWEL ALTHAMER and LAURE PROUVOST Exhibitions at NEW MUSEUM== New Museum on the Bowery, NYC== February 11, 2014== ©Patrick McMullan== Photo - Nicholas Hunt / PatrickMcMullan.com== ==
Massimiliano Gioni, Cecilia Alemanni Opening Celebration for PAWEL ALTHAMER and LAURE PROUVOST Exhibitions at NEW MUSEUM ©Patrick McMullan Photo – Nicholas Hunt / PatrickMcMullan.com ==

Un pregio e un difetto del “popolo dell’arte milanese”?
Per molto tempo il pregio e il difetto coincidevano: l’arte era un fatto privato. Paradossalmente questo è stato anche il motore che ha dato a Milano le sue istituzioni migliori, le fondazioni private e le gallerie: insieme sono riuscite a rendere l’arte cosa davvero pubblica e per lo più sempre gratuitamente.

 

Adesso oltre a Trussardi abbiamo HangarBicocca, Fondazione Prada e un buon Miart: siamo davvero nello scacchiere dell’arte internazionale o ci piace crederlo?
Lo siamo davvero, e speriamo di restarci. Ci vorrebbero anche un paio di musei o di kunsthalle che funzionassero davvero, come accade all’estero, ma ahimè questo è un problema di cui si parla da quando avevo 15 anni, e che paradossalmente almeno ha spronato altre realtà, come le fondazioni private e le gallerie, a rimboccarsi le maniche e a fare il lavoro che avrebbe dovuto fare la politica.

Catherine Opie, Selfportrait/Nursing
Catherine Opie, Selfportrait/Nursing

RISPONDE LA MAMMA DI GIONI

Che bambino era Massimiliano? Ora è un curatore oltre che affermato anche molto preparato, a scuola era un secchione?
No, non era un secchione: era responsabile e studiava, ma non era proprio un secchione.

Da piccolo sognava come gli altri bambini di fare lavori come il veterinario o dava già l’impressione di volersi occupare d’arte? Chi gli ha trasmesso questo interesse?
Gli piaceva il teatro. Ma l’interesse per l’arte si è sviluppato da solo, anche se abbiamo sempre visitato musei d’arte antica e chiese.

Visita le mostre di suo figlio? Qual è quella che le è piaciuta di più e perché?
Mi piacciono tutte perché le ha fatte mio figlio.

Ha già avuto modo di vedere La Grande Madre? Cosa ne pensa?
Mi è molto piaciuta ed è commovente.

Com’è essere nonna da parte di padre?
Sono nonna di 5 nipotini e non c’è nessuna differenza se sono figli di mia figlia o dei miei figli.