Dallo scorso settembre c’è una novità: si chiama Standards ed è un nuovo posto per la musica dal vivo a Milano. O meglio, è anche un nuovo posto per la musica dal vivo a Milano. In un periodo storico in cui ci siamo perlopiù abituati a sentire che gli spazi culturali chiudono e le realtà virtuose faticano ad andare avanti, l’idea di Alberto Boccardi e Nicola Ratti – entrambi musicisti (e non solo) con base a Milano, di cui spesso abbiamo parlato da queste parti – non è soltanto in controtendenza e di buon auspicio, ma pure merce rara per lo sguardo ampio e attento che si propone di avere verso la materia sonora. Uno sguardo che potrebbe andare molto lontano, non solo per la qualità della proposta ma pure per la quantità di declinazioni che Standards sta esplorando fin dai primi mesi della sua attività.
Per chiarirci le idee su cosa sia Standards, abbiamo parlato con le due menti a loro modo “complementari” del progetto, partito con una data zero nel maggio 2015, divenuto effettivamente operativo alla fine della scorsa estate e giunto a un appuntamento importante – quello di Matinée Più, “full day” da mezzogiorno fino a sera in arrivo domenica 6 marzo.
Zero: Entrambi scultori di suono con estrazione sperimentale, conosciamo Nicola soprattutto come “uomo dell’elettroacustica a Milano” – sia per la sua attività di musicista che per appuntamenti organizzati in città come The Variable Series e Auna – e Alberto per la sua capacità di coniugare avanguardia, intensità emotiva… E un lavoro da ingegnere in giro per il mondo. Raccontateci il percorso attraverso cui arrivate a Standards.
Alberto: Come musicista ho cominciato a quattordici anni suonando basso e batteria in gruppi punk hardcore, per poi interessarmi all’elettronica circa dieci anni fa; ho composto musica per il cinema, la danza e il teatro, ma effettivamente lavoro perlopiù all’estero… Come ingegnere: per circa due anni sono stato in Kazakistan – lavoravo un mese e ne avevo uno di risposo – e ora faccio una cosa simile ma in Egitto. Diciamo che Standards è stato pagato da questa mio primo impiego (risate, NdR). Ho sempre cercato di portare la mia attività di musicista nei vari Paesi in cui ho lavorato e ho suonato in tanti posti in giro per l’Europa e non solo, ma la mia esperienza all’estero è soprattutto come ingegnere.
Nicola: Arrivo a Standards proprio perché da un po’ di anni organizzo cose (concerti, incontri e con Auna anche un festival, NdR) a Milano – non ho mai lavorato per nessuna agenzia, ho sempre portato avanti questa attività parallelamente alla mia carriera di musicista – e nel corso del tempo ho sentito l’esigenza di strutturare questi appuntamenti. È così che allo Spazio O’ sono nate The Variable Series, rassegna partita nel novembre 2013 con l’intento di far ragionare i musicisti più in termini di suono e spazio che di performance musicale (in nuce, una delle coordinate fondamentali di Standards, NdR): per quanto mi riguarda, la cosa a cui tengo di più è che dietro ogni evento ci sia un pensiero. Coincidenza ha voluto che il primo concerto che abbia organizzato, circa dieci anni fa nel vecchio studio di Die Schachtel in via Badino, fosse con Dean Roberts, chitarrista che è stato nostro ospite anche per la data zero di Standards; più di recente, a novembre 2014 mi sono occupato di Auna, festival dedicato all’elettroacustica nato come incontro privato fra musicisti e divenuto pubblico e itinerante da qualche anno… Ma che purtroppo a Milano è stato tormentato dalla pioggia. «Uomo dell’elettroacustica», comunque, mi fa sorridere, se penso che il mio ultimo album, Pressure Loss, è uscito per una piccola etichetta techno londinese (Where To Now?, NdR). Diciamo che per me l’elettroacustica è stato il campo di crescita perfetto, perché musicalmente mi stufo facilmente e come ambito ti permette di esplorare, ha un campo di azione slegato dallo strumento in sé e vicino a un più ampio concetto di suono. Del resto siamo nel 2016 e sarà anche il caso di considerare la musica più in relazione al suono che rispetto a un genere o a uno strumento.
Passiamo a Standards: per cominciare, è importante non intenderlo semplicemente come un posto per la musica live. Cos’è allora?
N: Standards è uno spazio aperto a incontri ed eventi legati al suono nelle sue molteplici declinazioni, come materia di ricerca, di condivisione e confronto. L’intento è creare occasioni per osservare con sguardo più attento e vicino le forme possibili del suono sia nella sua resa e presentazione pubblica attraverso concerti e diffusioni sia nella sua creazione o ascolto attraverso incontri e workshop. Alcune attività sono organizzate direttamente da me e Alberto in un’ottica curatoriale, che segua gli interessi e le tensioni portate avanti nelle nostre rispettive ricerche e pratiche. L’idea non è di creare un nuovo luogo per la musica dal vivo a Milano, ma far rientrare la performance live all’interno di un discorso più ampio focalizzato sul suono e le sue sfumature. Il calendario o “Stagione” è, quindi, puntellato di concerti tanto quanto incontri e momenti più divulgativi e di studio, i concerti stessi sono organizzati con un’attenzione particolare ad alcune tematiche. Non a caso il nome è al plurale: ci saranno approcci diversi, il tentativo è di non chiudere una nicchia ma fare qualcosa che abbia le maglie più larghe, le persone che ho chiamato a suonare sono musicisti accomunati da un percorso di ricerca e un’attenzione alle musiche del mondo. E poi quello che succede nel calendario di Standards non è casuale, c’è un ragionamento che è anche a lungo termine.
Il nome è al plurale, ma da dove arriva?
A: Ovviamente eravamo tutti in difficoltà circa la scelta del nome… Personalmente ho una passione molto forte per i Tortoise, per tutti i loro dischi ma in particolare due, TNT e… Standards. Un nome che mi sembrava potesse suonare come provocazione – un po’ come a ribadire che è evidente che non ci saranno degli standard nella nostra programmazione e che non faremo mai, probabilmente, jazz. Piuttosto, l’identità di Standards si costruirà strada facendo con gli artisti che ci suoneranno, le persone che lo vivranno, il pubblico che parteciperà. Siamo molto aperti ad accogliere proposte, ovviamente in base alla compatibilità della linea artistica, e già ne abbiamo ricevute.
Matinée, Ombre, Incontri, Journal: lungo queste quattro sezioni, per ora, si snoda l’attività di Standards. Ce ne parlate?
N: I Matinée avvengono nel momento di maggior luce della giornata, che facilita una messa a fuoco più efficace e con essa i bordi, i limiti sono più definiti. È richiesta una riflessione più accurata se l’intenzione è percorrerli stando in equilibrio tra ciò che si vede e ciò che si vuole immaginare. Poiché mi interessava organizzare cose con un’ottica un po’ curatoriale, ho proposto questo tipo di incontro mattutino per sondare la temperatura al di fuori della situazione solita – che per i concerti è quella notturna, quindi in un certo senso anche la relazione con lo spazio si trasforma. Ho voluto spingere in maniera anche forzata sia il musicista che il pubblico a confrontarsi con una situazione diversa, dovuta al fatto che c’è la luce, che non hai bevuto… Sembrano banalità, ma influiscono nella fruizione. E un po’ c’è anche un discorso legato alla concentrazione: ero curioso di fare questo esperimento con alcuni musicisti, il primo peraltro sarà Giuseppe Ielasi (il 13 settembre, NdR), che conosco molto bene e che di solito suona completamente al buio, ma in questo caso dovrà suonare alla luce del sole. A Milano ci sono un sacco di posti e roba da andare a sentire, ma credo sia necessario provare a proporre cose con un’attitudine diversa, e anche l’intenzione di fare network sono convinto che a questo proposito possa contribuire positivamente.
A: Ombre è una serie di incontri con i musicisti che suoneranno a Standards – ma non solo, potrebbe trattarsi anche di un artista che suona da O’ o TRoK e poi passa da noi – per una chiacchierata informale prima o dopo il live per capire e discutere, anche sorseggiando un té, le dinamiche del processo compositivo: l’evoluzione, le collaborazioni e la tecnica, per focalizzarci poi su quell’area dai contorni sfumati e indefiniti che determina la fine e l’inizio del processo. In questo senso mi interessa la zona oscura in quanto fase che non è esposta agli occhi del pubblico. Gli Incontri verranno organizzati nel corso dell’anno come momenti di studio su tematiche attuali inerenti il suono e la nostra relazione con lo spazio attraverso esso invitando esperti, studiosi e sound artist a presentare le loro ricerche e a discuterne con chi sarà presente. Tali momenti potranno essere costituiti come dei semplici talk o come workshop dalla durata di uno o più giorni, questi potranno trasformarsi anche nell’occasione di costituire delle brevi residenze per artisti che lavorano comunemente sulle tematiche di cui sopra. Un aspetto importante è che nessuna delle attività sarà videoregistrata, si tratterà di occasioni uniche il cui senso è quello di ridurre la distanza tra musicista e pubblico. Infine avremo un Journal: oltre che nella sua realtà fisica, Standards si presenterà anche come uno luogo virtuale che, unitamente a promuovere le proprie attività e calendari, sarà costruito in modo da accogliere al suo interno alcuni lavori che esplorino attraverso modalità differenti tra loro il mondo del suono/musica. Journal sarà quindi una parte del sito web, come un blog, in continuo aggiornamento e che avrà come contenuti media, mixtape (sezione a cura di Giuseppe Cutrì) e interviste che cerchino di approfondire alcuni aspetti usualmente poco affrontati.
Domanda a questo punto inevitabile: come vi sembra la situazione per la musica dal vivo a Milano? Ci sono delle realtà a Milano che hanno contribuito a formarvi e altre con cui avete intenzione di fare rete con Standards?
A: Personalmente ritengo Milano non solo molto viva, ma credo anche che ci sia una rete di contatti, possibilità e scambi molto forte. La situazione è estremamente positiva. Certo, ci sono i soliti problemi con le istituzioni e i soldi, ma ci sono anche diversi posti che danno spazio a generi diversi e anche una buona rete. L’idea è sicuramente quella di collaborare con altre realtà della città, in particolare abbiamo contatti molto stretti con Sara di Spazio O’, Filippo di Trok! e Luxa (fino a pochi mesi fa attivo anche con l’associazione Neoma, NdR): l’idea è quella di fare network, passarci gli artisti se non abbiamo modo di occuparci noi di una data, evitare di sovrapporre i reciproci concerti.
Cos’è che invece manca per la musica live a Milano?
N: Ho passato anni a lamentarmi dell’assenza di pubblico, del poco interesse e supporto da parte delle istituzioni, ma in realtà ho smesso. Nel senso che sono convinto che se c’è una cosa di qualità la gente viene, se la gente non viene ti devi fare qualche domanda. E poi di solito è un atteggiamento un po’ italiano quello di dare la colpa agli altri. Mi spiego, come altri musicisti italiani so benissimo che le istituzioni non hanno mai supportato e facilitato la musica dal vivo, ma anzi hanno piuttosto messo degli ostacoli, a partire dal fatto che non hai la libertà di organizzare un concerto se non pagando delle tasse. Diciamo che da qualche anno ho smesso di considerarle, di cercare un aiuto sotto questo aspetto e sono abbastanza sereno per dire che a Milano, come nel resto del mondo, ci siano delle cose che vanno e che non vanno, ma sono fermamente convinto che si possa avere dei risultati portando avanti un discorso qualitativo serio e soprattutto sincero. E in questo senso O’, che per me è stata una casa in cui sono cresciuto e lo è tutt’ora, è stato un esempio positivo di come sia possibile andare avanti quando si ha una propria idea, portata avanti con coerenza.
A: Aggiungo un paio di cose, anche se ovviamente con Nicola siamo pienamente in sintonia su questo punto. Non avremo mai dei limiti legati al pubblico, l’idea non è certo quella di parlare a un settore dei nerd della musica, questa cosa è importante. Quello che però credo che manchi in generale Italia nei confronti della musica è l’approfondimento. L’hype, la moda, possono anche andare bene ma il problema è quando la musica viene trattata con superficialità, quando le riviste o le webzine, il sistema che ruota attorno alla musica tratta la materia in base alle mode e non in base alla qualità. Non è un problema di trend in sé, a volte sento piuttosto la mancanza di una profondità nel modo in cui viene approcciata la musica, ed è un discorso indipendente dal concetto di genere musicale. È proprio lottare contro la superficialità in favore di un approfondimento e quindi la coerenza nel proporre qualcosa di qualitativamente valido. Un altro aspetto che a me manca, rispetto alla musica dal vivo, è la relazione con i musicisti: quando vado a un concerto spesso – non sempre, ad esempio questo non succede a Spazio O’, dove c’è un rapporto molto informale con chi fa la performance – non c’è la possibilità di creare una relazione con il musicista al di là del concerto. Con Standards puntiamo molto sul creare la possibilità per dei piccoli incontri o residenze in cui l’artista condivide la propria esperienza in maniera informale con il pubblico. Ad esempio, una cosa che mi ha fatto sempre pensare è che molti di noi sono musicisti solitari, tendenzialmente sarà difficile che verranno band: e allora un punto su cui mi piacerebbe riflettere è come e perché vengono scelte le collaborazioni. Tutte queste riflessioni saranno tema di indagine nelle varie “serie” di cui sopra.
Concludiamo con qualche dritta: in quali posti a Milano vi piace andare a sentire musica dal vivo? E dove comprate dischi?
A: Per la musica dal vivo sicuramente Spazio O’, TRoK!, Leoncavallo, The Lift, Macao, Blue Note (raramente ma di gusto). Compro sia vinili che CD, principalmente da Soundohm a Milano oppure su Internet.
.