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Torna il MIX 2021: le chiamavano diversità ma erano disuguaglianze

Dal 16 al 19 il festival internazionale di cinema LGBTQ+ e di cultura queer sotto il claim di

quartiere Porta-Venezia

Geschrieben von Piergiorgio Caserini il 15 September 2021
Aggiornato il 23 September 2021

"Swan Song" di Todd Stephens

È cominciata l’ultima edizione del MIX, il Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer, che si divide tra il Piccolo Teatro di Milano, nel cortile di Palazzo Reale con la Flying Tiger Mix Young Arena e online su Nexo+.

Quest’anno il MIX è doppio – simultaneo – e in presenza: dal 16 al 19 settembre si sta fisicamente assieme e dal 17 al 19 ci saranno un bel po’ di titoli in streaming; come sempre si compone di tre concorsi internazionali (Lungometraggi, documentari e cortometraggi) che presentano opere nazionali e internazionali tutte raccolte sotto il cappello di Love Matters, claim ufficiale di questa 35° edizione.

Le basi: perché “Love Matters”? Dal manifesto del festival, scritto a quattro mani da Federico Zappino e Fabio Bozzato, risultano chiari gli intenti: l’amore è quello che è – conta –, ma alcune forme d’amore sono necessariamente territori di conflitto. Di lotta, di rivendicazione dei propri diritti ad amare e delle proprie libertà; di affermazione delle possibilità dei propri corpi. Che significa poi sentirsi liberə di poter essere espressione di ciò che si sente, costrutti delle affezioni che in fondo compongono in continuazione anime e corpi. Gli autori del manifesto cominciano dalle origini del MIX: erano gli anni Ottanta, e un’altra pandemia era in corso: quella dell’Hiv e dell’Aids, che fu forse più terrificante. E catastrofica. Si aveva paura del sesso, del contatto. Quel virus attaccava non soltanto dei corpi ma un’idea, una lotta.

La macchina del neoliberismo ha appianato le differenze, «chiamandole diversità invece che disuguaglianze».

Quindi ancora, perché “Love Matters”? Perché anche a seguito del disciplinamento sociale che quella pandemia aveva instaurato, la macchina del neoliberismo ha appianato le differenze, «chiamandole diversità invece che disuguaglianze» (magistrali Zappino e Bozzato), inserendole in programmi di visibilizzazione e facendone capitale umano, cognitivo, di immagine e legittimizzazione dei brand scritti a grandi lettere sui carri dei Pride. E oggi, che vecchi (ma mai estinti) fondamentalismi si esacerbano – o forse si mostrano per quello che sono sempre stati: i mostri identitari sotto i tappeti, nascosti nelle anticamere della retorica della “normalità” e della “naturalità”, ma anche della falsa solidarietà. Tornano le identità chiuse, i Family Day, e intanto i corpi dellə altrə vengono trattate come sacchi di spazzatura alle coste del mediterraneo, nelle carceri e anche per le strade. Abbiamo visto tutto.

Insomma, Zappino e Bozzato sono efficacissimi, taglienti e lucidissimi nel loro manifesto. E questo dovrebbe rendere conto del livello e dell’impegno della programmazione del MIX festival, degli intenti che accompagnano le giornate.

I film da citare selezionati dalla giuria sono tantissimi, con molte anteprime italiane, e tutti ben collocati nei piani espressivi e politici che il MIX da sempre si pone. E oggi con ancora più forza. Ve ne citiamo soltanto alcuni. Sui lungometraggi, che sono quattordici, vi diciamo di Swan Song del celebre Todd Stephens, con protagonista Udo Kier: un’odissea agrodolce di un celebre hairdresser che si trova a fare i conti col suo passato; The Surrogate, di Jeremy Hersh , un ritratto toccante di una famiglia queer che affronta le vicissitudini emotive e di vita di qualunque altra famiglia. O Feast, dell’artista visuale, fotografo e regista Tim Leyendekker (che sarà presente al festival) che riprende il famigerato caso delle iniezioni di sangue infetto di Hiv a Groningen.

„Feast“ di Tim Leyendekker

Tra i documentari (undici), The Pink Revolution del regista belga marocchino Jawad Rhalib, un’anteprima italiana che racconta le vite di giovanə in paesi in cui l’omosessualità è ancora perseguita e punibile con la morte. O ancora Workhorse Queen di Angela Washko, altra anteprima che traccia l’impatto dei reality show sulle comunità drag nelle piccole cittadine americane. Mentre i corti, che sono trentanove, li troviamo suddivisi in sette sezioni: New Routes, Upstream, Take That Chance, Real Life, The Times They Are a’Changing, Forever Young e Do You Know What I’m Seeing?, che nel complesso affrontano il campo largo dei temi del festival.

In esterna, il MIX ci fa vedere al Teatro Strehler i primi due episodi di Veneno, la serie tv spagnola sull’icona transgender spagnola Cristina Ortiz, assieme ai due registi e a una delle protagoniste, e ci propone nel Fuori Concorso il primo cortometraggio dell’artista Jacopo Miliani, La Discoteca (che qui l’anno scorso ci aveva scritto un piccolo testo a riguardo).

In tutto ciò Porta Venezia rimane un caposaldo caldo, e ritroviamo volti amici e noti. C’è Stephanie Glitter con Pierpaolo Astolfi per DRAMA Milano, e sul reparto fuori dal cinema ne troviamo altri, perché come nelle scorse edizioni il Festival off cerca tutte le espressioni possibili. Dalla musica all’arte alla letteratura, tutto concentrato al Teatro Studio Melato. Incontri letterari che vogliono cartografare la letteratura queer italiana per una fotografia del presente, o l’evento Tutt* Italian* (entrambi sabato alle 18), che coinvolge persone di seconda generazione e ne racconta le situazioni, nel bene e nel male – tra questi anche David Blank, che suonerà anche al MiX Music! (con programmazione a cura di Simone Bisantino e Stefano Protopapa, come alla scorsa edizione) assieme a Melancholia, Sem & Stenn, Thomas Costantin, NAVA, Vergo e Blue Phelix.

Qui trovate per intero il programma del MIX Festival 2021