Se, come diceva William Blake, nell’universo esistono realtà conosciute e sconosciute separate da porte, per attingere alla Conoscenza serve pure qualcuno che le apra. Fin dagli inizi, nel 2017, gli Altın Gün si sono posti su questa sorta di piano psichedelico-visionario-consapevole, in forma di “porta scorrevole” tra oriente e occidente, tra passato e futuro, tra dimensioni parallele possibili, lontane o davvero esistenti.
Volendo traslare il discorso e prendere le misure di ciò di cui stiamo parlando, nonostante siano una delle band che meglio ingloba la contemporaneità tra contaminazioni, storia e divertimento, gli Altın Gün sono relativamente conosciuti in Italia rispetto ai riscontri all’estero, dove la loro porta è stata aperta da Mr. Kevin Parker – l’uomo dai dischi d’oro dei Tame Impala – per aprire i concerti della sua band negli USA. È quindi impossibile non accogliere con giubilo questo ritorno in città della formazione guidata da Jasper Verhulst e dalla voce “arabescata” di Merve Daşdemir per presentare i loro due album del 2021, con il suono mediorientale del dancefloor di “Yol” e il più recente “Âlem”, autoprodotto e uscito solo in versione digitale e i cui proventi andranno totalmente devoluti al progetto di tutela ambientale Earth Today.
Con gli Altın Gün la storia poteva tirare fuori il solito cliché: una cricca di olandesi con background disparati che va in tour (con Jacco Gardner), si innamora della musica tradizionale turca e la reinterpreta a modo proprio per gli occidentali ignari. Il risultato però non è un hype posticcio per danze scomposte, ma una visione rispettosa, originale e freschissima, talvolta acida, altrove sintetica, sempre estremamente godibile della musica folk turca, passata di generazione in generazione a botte di funk, elettronica analogica e chitarre elettriche. Benvenuti nel Nuovo Mondo.
Written by Chiara Colli