Three is a magic number. Mai questa canzone di Bob Dorough è stata tanto calzante come nel caso del power trio dei Metz. Proveniente da quella terra illuminata chiamata Canada che non smette un attimo di sfornare talenti musicali, da Neil Young ai Broken Social Scene passando per gli ultimi arrivati Ought, il combo di Toronto è entrato in gamba tesa nel panorama indie odierno con la sua miscela di hardcore anni ottanta, grunge, noise e shoegaze, il tutto accompagnato con sapienza da una deliziosa salsina “post cose”. Nei loro due album usciti in tre anni mai un calo di tensione, un passo falso, canzoni selvatiche che si risolvono in una furia ed una potenza che sotto certi punti di vista non ci trovavamo davanti da lustri. Tanta “retromania”, è ovvio, ma sempre con personalità, soprattutto in sede live. In poche parole, se dopo Bleach i Nirvana avessero optato per un’ibernazione fino al 2012 invece di far uscire Nevermind, suonerebbero probabilmente così. Prima di loro sul palco gli italianissimi compagni di scuderia in Sub Pop, His Electro Blue Voice, il cui percorso di ricerca sonora è più apprezzato all’estero che tra i confini nazionali (vedi alla voce Jennifer Gentle), a conferma dell’adagio “nemo profeta in patria”.