Il calendario dice che fra cinque giorni è autunno. A Roma probabilmente sarà ancora caldo per un po’, ma i colori della città cominceranno a cambiare dalle tonalità del verde a quelle tra il giallo e l’arancione. E ad avvolgerci, ci sarà quel solito senso di malinconia per l’estate che lotta con la volontà di non cedere all’abbrutimento dell’inverno. Non potrebbe esserci momento migliore dell’anno per un live di Ryley Walker: venticinquenne, musicista di Chicago al secondo album e già stra-quotato come autorevole erede della tradizione americana, Walker è in grado di passare dal lirismo commovente di Nick Drake a un fingerpicking inquieto e vagabondo, da un cantautorato classico e virtuoso a un folk-jazz stratificato e coi nervi tesissimi. Sul comodino è probabile abbia i santini di Van Morrison (neanche troppo vaga la somiglianza tra la copertina del suo ultimo album Primrose Green e Astral Weeks) e John Fahey. Ma nel cuore, Ryley porta ancora il ricordo delle tumultuose serate passate in uno scantinato a suonare noise.