Oreste non era un collettivo, non era un sindacato ma, come spesso hanno ribadito i suoi ideatori, era “un insieme variabile di persone”, di artisti che si sono scelti e trovati per un determinato tempo per condividere una certa maniera di vedere il mondo.
Oreste ha agito da precursore, ha sperimentato e anticipato un modus operandi indipendente, alternativo a quello istituzionale, totalmente orizzontale e non gerarchico, ponendo l’accento sul processo e anticipando tendenze oggi date per scontate come la ricerca in spazi non profit e le residenze d’artista. Alla base del progetto vi erano le relazioni, il dialogo e le interconnessioni nella cornice di un “spazio” libero in cui stimolare l’incontro, la discussione, l’aggregazione, l’esplorazione di nuovi territori sentendosi parte di una comunità multiforme accomunata dal linguaggio condiviso dell’arte.
Nella mostra curata da Serena Carbone vengono esposti testi, fotografie, libri, cataloghi, riviste, flyers, locandine, lettere, e-mail, per ricostruire il grande network che l’invisibile Oreste, in pochi anni, ha intrecciato con il mondo dell’arte. Particolare attenzione viene riservata ai momenti e alle relazioni intessute a Bologna, città scelta a caso dal momento che molti degli artisti che gravitavano intorno al progetto avevano frequentato l’Accademia di Belle Arti locale e qui continuavano a risiedere. Nell’ambito dell’esposizione sono visibili inoltre diversi video di documentazione sulle residenze e la partecipazione alla Biennale e due installazioni.
Scritto da La Redazione