Chi gliel’avrebbe mai detto a Sean Ragon, quando agitava l’underground noise-industrial di N.Y., che un giorno avrebbe pubblicato dischi per una delle etichette più blasonate del globo indie (Sacred Bones) e che sarebbe riuscito a portare nelle nostre cuffie non solo neofolk ma pure le sue fisse per esoterismo, spiritualità pre cristiana e anticapitalismo? Con l’ultimo Final Days, la mente dei Cult of Youth piazza in copertina un dipinto con la costruzione della Torre di Babele e fa presente che quello che ascoltiamo è stato suonato (anche) con ossa umane e scritto (anche) in carcere. Se l’Apocalisse non è davvero vicina, quantomeno l’aria comincia a farsi un filo asfittica.
Scritto da Chiara Colli