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ven 13.11 2015

Deerhunter + Atlas Sound

Dove

Bronson
Via Cella 50, 48124 Madonna Dell'albero

Quando

venerdì 13 novembre 2015
H 21:00

Quanto

€ 20 + dp

C’è questo video su Youtube di un recente live in California dei Deerhunter, in cui dopo aver attaccato da pochi secondi un brano, Bradford Cox urla «Stop!», fermando l’esecuzione. Fosse successo anni fa, il motivo sarebbe stato probabilmente da ricercare nella sua testa: qualcosa che era andato storto nella musica, qualcosa che lo aveva improvvisamente stranito. E invece. Cox vede che in mezzo al pubblico sta accadendo qualcosa di vagamente tumultuoso, persone che litigano, si spintonano. Ferma la musica per sapere cosa stia succedendo, le separa, mentre dal palco commenta dicendo «I’m on everybody’s team!» («Sono dalla parte di tutti!») e «We don’t need violence». Il brano che stavano suonando era Take Care, uno dei più belli del loro ultimo album Fading Frontier, distillato zuccherino di chitarre e synth luccicanti da ingoiare lentamente per raggiungere la pace dei sensi. Sempre un po’ sopra le righe e ironico, Bradford Cox riassume in questo episodio quello che è successo – musicalmente, ma forse non solo – ai Deerhunter con questo album: se fino a qualche anno fa ce lo ricordavamo piegato sulla chitarra e intrecciare viaggioni psichedelici con l’amico di una vita Lockett Pundt e, nel tour di Monomania, sembrava quasi che la sua alienazione lo avrebbe portato a incitare, piuttosto, una rissa al ritmo del garage distorto di quell’album, oggi il quartetto di Atlanta appare in una fase di maggiore armonia, una quiete sempre fragile e umorale, ma comunque in cerca di una dimensione più serena e rilassata. Che, musicalmente, si potrebbe definire più pop e melodica, sicuramente più vicina al progetto solista di Cox, Atlas Sound. Incredibile, se si pensa che l’ispirazione di questo album è arrivata da un (ennesimo) periodo di sofferenza del Nostro bizzarro e dinoccolato, un incidente dello scorso anno in cui fu investito e restò a lungo in ospedale. A suo modo ancora visionario, con una capacità sempre più accentuata nello scrivere canzoni e un chitarrista alla sua sinistra sempre più inconfondibile in ambito indie rock (Lockett Pundt), Cox ha disegnato tempo fa una “mappa concettuale” delle influenze di Fading Frontier: al centro, il suo cane Faulkner, e poi intorno nomi e suggestioni, che vanno da Ligeti, Pharoah Sanders, Caetano Veloso e J.G. Ballard fino a R.E.M. (neanche a dirlo), I.N.X.S, ceramiche giapponesi e le autostrade della costa del Pacifico. Come fai a non volergli bene, a uno così?

Scritto da Chiara Colli