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mer 20.01 2016 – sab 26.03 2016

Christian Holstad - "Thoothpick"

Dove

Galleria Massimo De Carlo
Via G. Ventura 5, 20100 Milano

Quando

mercoledì 20 gennaio 2016 – sabato 26 marzo 2016

Quanto

free

In uno stupendo passaggio di Scarti, Jonathan Miles offre una visione, un punto di vista inaspettato in cui dice che «la spazzatura era una sorta di misconosciuto varco che conduceva a un’altra dimensione della società, il lato B, il culo del mondo, dove ogni cosa è pura e genuina perché non è fatta per essere vista; la spazzatura era l’unica cosa sincera prodotta dalla civiltà».
In Toothpick l’artista statunitense Christian Holstad cosparge tre stanze di Massimo De Carlo con ordinata immondizia. Come un bambino che ha fatto un dispetto, troviamo bocconi del suo passaggio sul pavimento le scale e il soffitto.
Lì ci sono “i fascicoli segreti dell’umanità” tutto ciò che vorremmo nascondere e che diventa un simbolo denso di significato: pomodori schiantati su un muro, incrostazioni, stuzzicadenti, uova e serpenti, la vita e la morte, la putrefazione e l’ingordigia. Se il messaggio sembra forte e vario, la forma è fin troppo levigata: la mostra è accogliente e la ceramica si sgretola lasciando un senso di delicata bellezza, quasi rarefatta e sigillata in colori tenui.
Sembra codarda, incapace di imporre la forza scomoda dello schifo, della spazzatura, dell’animale. Si è lasciata corrompere dal lato esteta dell’essere umano e si è fatta soffocare nella terra: «delle biblioteche dell’antichità nemmeno una è sopravvissuta. Solo tombe e mucchi di rifiuti» (J.Miles).

Lo stesso umore scherzoso ma sadico si rimbalza come una pallina da ping pong da un tavolo all’altro nella mostra a cura di Rita Selvaggio, The Pagad.
Il tavolo è il punto zero, la superficie vuota per eccellenza sulla quale prendono vita gran parte delle attività dell’uomo. Per istinto se ci troviamo in prossimità di un ripiano, ci appoggiamo, lo usiamo e interagiamo fisicamente con esso, il vuoto che offre è una richiesta succulenta che non possiamo non soddisfare.
Quindi riempire una stanza di tavoli realizzati da grandi artisti contemporanei, equivale a castrare questa pulsione, gettando un’ombra irrequieta sulla sala. Passare nei sottili corridoi che si creano tra un tavolo e l’altro, facendo attenzione a non sfiorare quelle superfici su cui, nella quotidianità, facciamo di tutto, è una costrizione pruriginosa che, al di là delle singole opere, si impone nel suo insieme.
I tavoli giocano a torello e lo spettatore è quello in mezzo: si vede sfrecciare la palla in ogni direzione ma non l’afferra mai. Tutti si divertono tranne lui

Scritto da Annika Pettini