Dovendo stilare una (personale) lista dei gruppi più imprevedibili mai visti dal vivo, sul podio ci sarebbe certamente un posto per i Gnod. Una volta in versione space-kraut-rock, un’altra weird techno, un’altra ancora a metà tra free jazz e mattanza elettronica, più o meno sempre con live che prendono una brutta piega e si trasformano in lunghe tirate trance-sciamaniche con effetti simili a un hangover. Per molti versi, il gruppo perfetto per la congrega della Società, in cui “psichedelia” non è sinonimo di un suono specifico ma di un approccio da “allargamento della coscienza”. Il collettivo di Salford è fatto così: dipende da chi c’è in tour (41 sono i componenti che hanno fatto parte dell’organico nei dieci anni di attività), dipende da quale anfratto della devianza è andato a perlustrare il loro ultimo album. Dopo l’ultimo, mastodontico Infinity Machines dello scorso anno, la formazione più matta di Rocket Recordings è appena tornata con Mirror, rabbioso e metallurgico agglomerato di suoni che incrociano Swans e PIL alla maniera acida dei Gnod. Come guardarsi allo specchio e trovarsi sempre a disagio con la faccia riflessa.