“ What I do, it’s called art-shit/ And don’t you dare make fun of me/ Cuz everything I do was featured on pages of i-D/ ” Casei De Ser Sexy
Quando si tratta d’arte generalmente sto zitta. Una delle poche cose su cui non esprimo opinioni in pubblico. Provo sempre un certo timore reverenziale nel dovermi esprimere su un’opera, una o un artista. Dopo una mostra temo sempre quel momento di scambio di opinioni che poi diventano veri e propri manifesti. Cosa dovrebbe essere oggi l’arte, chi dovrebbe essere oggi l’artista. Lunghe sessioni orali per saldare le nostre convinzioni su ogni cosa esposta. E nell’aria dopo tante parole rimane sempre quell’insopportabile odore di Chanteclair. Eco di informazioni inutili all’aroma di marsiglia. Ci sarà l’entusiasta. Ci sarà lo schifato. Sulle competenze e opinioni si costruiscono telefoni senza fili social. Le nostre città offrono eventi, vernissage ed esposizioni, a noi basta solo partecipare. Tra dj set, flute di plastica. Esponiamo, beviamo, mangiamo. Voulevant e bollicine. Immagini, opere, ciarpame, genialità, tutto sul nastro trasportare. Bagagli di prima e seconda classe. Tutto sul rullo del sushi fluorescente. Si rimane in superficie, è così bello essere nel posto giusto. Voulevant e bollicine. Blu, Banksy e i muri strappati alla periferia. Le polemiche si trascinano, si consumano. Cosa ne avrebbe detto uno dei massimi rappresentanti della street art Jean-Michel Basquiat? Prima che arrivasse Warhol a farne una star, prima che arrivassero i soldi, i musei e le gallerie, prima della sua storia lampo con Madonna e prima dell’eroina, prima di tutto questo Basquiat è stato catturato dalla macchina fotografica di Lee Jaffe, artista poliedrico americano, che ha immortalato il geniale pittore in una serie di scatti esposti alla Ono. La popolarità sarebbe arrivata poco dopo. La popolarità arriva sempre quando il genio si è mangiato l’anima. Finisce tutto sullo stesso vassoio. Con eroina allora. Voulevant e bollicine oggi. A voi la scelta.
Scritto da Paolo Santoro