Da un po’ il nome di Flavio Giurato è definitivamente uscito allo scoperto, fuori dalla dimensione di culto sotterraneo amplificato e rimbalzato dalla diffusione di mp3 clandestini frutto di rip più o meno orrendi. Da quando ha cominciato a pubblicare dischi con regolarità sempre più serrata, poi, le distanze si accorciano – soltanto due gli anni che separano il titanico “La Scomparsa di Majorana” dal più recente “Le Promesse del Mondo” – e finalmente si può accettare grati il dono della bellezza non più soltanto dalle casse di uno stereo, ma anche dal vivo, che è la cosa vera e la dimensione più congeniale per un uomo e il suo canzoniere per cui non esistono epigoni né paragoni. Una razza a parte che fa storia a sé. Assistere a un live di Flavio Giurato è come perdersi in una marea: impossibile prevedere quale sarà l’onda successiva, dove porterà, quando e per quanto soffierà il vento. L’ultima torrenziale, irraccontabile occasione da queste parti è stata a fine agosto 2015: tempo di ripetere l’esperienza. Vela e mare e vela e mare e vela e mare e vela e mare e barca da guidare. I marinai continuano a tirare le funi.