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I migliori film che abbiamo visto a Biografilm 2017

Il nostro personale best of del festival di cinema dedicato ai documentari e racconti di vita

Scritto da Salvatore Papa il 20 giugno 2017

Salvatore Papa e Matteo Cortesi hanno trascorso i giorni dal 9 al 19 giugno chiusi in sala per la tredicesima edizione del Biografilm Festival di Bologna. Ne sono usciti con un po’ di torcicollo, forse un po’ alienati, ma certamente felici di aver visto decine di film che purtroppo sarà difficile ritrovare al cinema, alcuni memorabili, altri molto belli, qualcuno insignificante. Hanno scelto cinque film a testa, anche la lista – sostengono – sarebbe molto più lunga in un mondo meno veloce. Ma questo è.

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SALVATORE PAPA

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Stranger in Paradise
di Guido Hendrikx

Lampedusa, una giornata qualunque nella macchina dell’accoglienza. L’attore olandese Valentijn Dhaenens veste i panni di tre addetti ai servizi sociali: il cattivo, il buono e l’indifferente burocrate. Davanti a lui tre diversi gruppi di immigrati reali per tre diversi tipi di trattamento. C’è l’Europa che non li vuole, quella che li illude e l’altra che decide in base ai requisiti. Quest’ultima, probabilmente, la più crudele e vera. Hai sofferto abbastanza? Dimostramelo. Il tuo Paese non è sulla mia lista degli orrori, mi spiace, devi tornartene da dove sei venuto. Complimenti, la tua storia è stata giudicata da brividi, quindi vinci un permesso di soggiorno; tu no, hai perso. Dall’altra parte un’umanità disarmata in attesa del verdetto. Guardiamoli negli occhi, osserviamo le loro emozioni, paure, speranze, angosce. Poi facciamoci qualche domanda.
Miglior film di Biografilm 2017 per il sottoscritto.

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An Inconveniet Sequel: Truth to Power
di Bonni Cohen, Jon Shenk

Che Presidente sarebbe stato Al Gore? Probabilmente un Presidente degli Stati Uniti d’America e basta, certamente migliore di Bush, ma pur sempre il capo di uno Stato artefice della maggior parte delle cose peggiori che succedono su questa Terra. Molto meglio l’Al Gore paladino dell’Ambiente, un vero eroe. Dieci anni dopo Una Scomoda Verità che aveva allertato il mondo sui rischi del riscaldamento globale, arriva questo sequel, forse ancora più sconvolgente. Il messaggio è forte e chiaro: siamo nella cacca. Il circolo polare artico si sta sciogliendo alla velocità della luce e i disastri dell’innalzamento delle temperature (ovvero anche grandi migrazioni, instabilità, guerre, ecc.) non sono più discorsi che riguardano il futuro, ma verità assolute che ci riguardano già. Vi piace il caldo asfissiante di questi giorni? Bè, è il sintomo del disastro e chi minimizza fa solo seri danni. Per dirne una: Miami è quasi sott’acqua e hanno già iniziato ad alzare la città di 30 cm. Miami, USA, patria di quel Donald che sostiene che se nevica e fa freddo, allora sono tutte cazzate. Come riusciremo a risolvere la situazione? Il film mostra il percorso di quest’infaticabile profeta, dal credo nell’educazione ai massimi sistemi che si celano dietro i grandi summit sul clima. La lezione è evidente: dipende solo da noi.

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Mogadishu Soldier
di Torstein Grude

Qui non si ride e non si piange, non ci si commuove o si diverte. Qui c’è la cruda realtà, quella che a tratti può anche annoiare e poi ti inorridisce, magari ti indigna oppure ti lascia indifferente, dipende da chi sei. E c’è la guerra, camuffata come “operazione di pace”, e i suoi ritmi che passano bruscamente dal “non succede nulla” al caos delle mitragliatrici. Non siamo a Hollywood, siamo in Somalia, e non ci sono “ciak”, solo una videocamera affidata a due soldati burundesi da Torstein Grude (già co-produttore dei due capolavori di Joshua Oppenheimer The Act of Killing e The Look of Silence). Set dello scontro tra gli integralisti islamici di Al-Shabaab e il governo le strade della capitale Mogadiscio, presidiate dai militari della Missione dell’Unione africana (AMISOM), sotto il vessillo dell’Onu. Siamo lì, ma potremmo essere ovunque, perché il male è sempre lo stesso: gli interessi di pochi forti contro l’impotenza di tantissimi deboli. Quasi impossibile vedere una via d’uscita, se non l’estinzione della razza umana.

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Risk
di Laura Poitras

Dopo Citizen Four, Laura Poitras si conferma una regista irrinunciabile dei tempi di internet. Sorprendente il suo rigore metodico, i suoi viaggi verso una verità che non è mai definitiva, ma – come lei stessa ci vuole dimostrare – ha sempre molte sfaccettature. Così Risk, oltre ad essere un strano ritratto picassiano dell’ego di Julian Assange, fa luce sul fenomeno Wikileaks e sui rischi e i vantaggi delle informazioni che attraversano la rete. Garantire l’accesso dei cittadini alle verità governative è lo scopo della piattaforma fondata da Assange, garantire la sicurezza interna attraverso l’occultamento della verità è l’alibi dei governi. Ma in entrambi i casi, sapere è potere e chi rischia siamo sempre noi.

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Gaza Surf Club
di Philip Gnadt, Mickey Yamine

Cosa rimane di una città in macerie, chiusa nei suoi confini come fosse una prigione? Rimangono i sogni e, per fortuna, il mare, sempre lo stesso nonostante le bombe. Da lì l’orizzonte schiude infinite possibilità, riattiva quel naturale desiderio di libertà di cui tutti abbiamo bisogno. Il mare è l’unica certezza, unica fonte di gioia per i surfisti di Gaza, disposti a tutto pur di cavalcare le onde. Non solo uno sport, ma una ragione di vita, lì dove la speranza fa fatica a sopravvivere. Il Gaza Surf Club non esiste ancora, ma beati i puri di spirito, perché ne fanno già parte.
Qui tutte le notizie e il seguito della storia.

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MATTEO CORTESI

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Chasing Trane
di John Scheinfeld

Lui suonava la vita.
(Carlos Santana)

Nessun vincolo di copyright da aggirare con palliativi di fortuna, la musica c’è: basterebbe questo a rendere Chasing Trane obbligatorio per chiunque abbia le orecchie. La storia è di quelle che varrebbe la pena raccontare all’infinito. Come passare al livello successivo? La differenza la fanno gli intervistati: Santana vero uomo, John Densmore devozionale da far piangere i sassi, Sonny Rollins verso l’infinito e oltre, Bill Clinton sembra perfino rispettabile. Miracoli innescati dalla pura luce che i dischi e i pezzi qui raccontati non smettono di emanare. Il film che più di ogni altro qui riconcilia con l’esistenza, dopo il quale stare al mondo diventa qualcosa di lontanamente sensato.
Parafrasando Cioran, se c’è qualcuno che deve tutto a John Coltrane, quello è Dio.

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Coeurope
di Giovanni Troilo

La solitudine è così: vivere abbandonato, lasciare tutto così.

Quello che non vedi quando scendi dal Ryanair infrasettimanale dritto verso le parti belle del Belgio. Charleroi non è solo un aeroporto per voli low cost da e per la sorgente del male assoluto a queste latitudini; è anche abbrutimento, vite a perdere, cieli grigio piombo eternamente sospesi nel preludio di un temporale che non arriva mai, disperazione settata ai massimi livelli, brutta umanità, modi sbagliati per uscirne, Giovanni Verga alla N. Viene da ringraziare la sorte per essere solo turisti in questa stazione, non essere nati qui, non doverci stare. Chi ha detto che si debbano raccontare soltanto le vite degne di essere vissute? Vincitore personale di Biografilm 2017 ex-aequo con Quand j’etais cloclo.

coeurope

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Quand j’étais Cloclo
di Stefano Knuchel

Chiunque sia convinto di essere cresciuto in una famiglia disfunzionale non ha visto nulla finché non ha visto questo. È troppo pretendere di saper dirne, bisogna vederlo se siete figli di un padre e una madre, bisogna farci i conti; trarne le conclusioni poi.
Da un punto di vista etico, una lezione. Nessuna remora, nessuna resistenza: la vita con tutti i momenti sgradevoli da uno che è riuscito a uscirne con le ossa intatte. È poco, è tutto.
Pazza Svizzera amala.

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Rumble: the indians who rocked the world
di Catherine Bainbridge, co- director: Alfonso Maiorana

Nativi americani autentici detentori del rock’n’roll, qui la dimostrazione. Da Link Wray, che ha fatto per la chitarra elettrica quanto Dark Was the Night, Cold Was the Ground per tutto quel che è venuto poi, a Jimi Hendrix, che ha portato il discorso a livelli irraggiungibili da chiunque, a una pletora di musicisti metal finalmente trattati con il rispetto dovuto, alle istituzioni Buffy Sainte-Marie e Karen Dalton (quest’ultima solamente accennata nei titoli di coda, sgamabile soltanto da orecchie ultrapreparate, unico difetto di un lavoro comunque assolutamente ineccepibile), c’è perfino George Clinton che per l’occasione dismette le vesti di ambasciatore ultrasonico del funk svelandosi dopotutto umano il che disorienta a dire il meno. La terra gliel’hanno già rubata e strarubata: almeno il riconoscimento di una verità ovvia.
Da affiancare idealmente alla visione di Verso il sole, l’ultimo film di Michael Cimino, l’ultimo film americano.

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Bill Frisell: a portrait
di Emma Franz

Un uomo assolutamente “normale”, con una vita normale, una famiglia normale, abitudini normali; perfino il titolo – “Un ritratto” – è understatement elevato al prossimo livello. Perché vedi, è dove e come si posano le sue dita sulla chitarra a essere anormale. L’entusiasmo con cui abbraccia ogni nuova sfida, la nonchalance con cui produce suoni mai visti, tutto questo emerge in ogni secondo di un film che vorresti non finisse mai, alimentando in maniera spasmodica l’attesa di vederlo all’opera la prossima volta sul palco. Che sarà vicina, e tante altre ne seguiranno, e non saranno comunque mai abbastanza. Che gli dei conservino quest’uomo meraviglioso.