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L I M

Dalle colonne sonore di Pietro Umiliani al suono del Passante Ferroviario, passando per il corno francese e le nuove tecnologie applicate all'arte, L I M non poteva mancare tra i talenti scelti da Apple per suonare raccontarsi

Scritto da Virginia W. Ricci il 13 agosto 2018

Luogo di nascita

Milano

Attività

Musicista

Ci sono un bel po’ di motivi che hanno portato a scegliere L I M come act di apertura del nuovo Apple Store di Piazza Liberty. Uno di questi è che le tracce nate da Sofia Gallotti e dalla sua collaborazione con RIVA sono in grado di creare atmosfere di sogno e magia come poche altre, soprattutto in Italia. Un altro è che Sofia, per l’occasione, ha deciso di riarrangiare i brani contenuti nei suoi lavori (dal primo EP “Comet” all’ultimo singolo “Queen”, passando per Higher Living) e di esibirsi, oltre che con il suo batterista Elia Pastori, insieme a una formazione di cinque elementi — due viole, due violoncelli e un corno francese “perché ha un suono meraviglioso”. Ci siamo fatti raccontare da Sofia com’è stato saltare da un basso a un synth a un computer a un violoncello, e le abbiamo chiesto di parlarci del suo rapporto con la tecnologia e con la propria immagine — spesso teletrasportata in realtà virtuali dalla squadra di videomaker, fotografi e grafici con cui collabora da sempre (Karol Sudolski, Giorgio Calace, Anna Magni) e della sua relazione con Milano, città in cui è nata e cresciuta due volte, come persona e come musicista.

ZERO: Nasci come bassista, la tua formazione musicale è legata a uno strumento del tutto analogico. Come è stato il processo di avvicinamento alla produzione in digitale?  
Sofia: Credo che il primo avvicinamento alla produzione musicale digitale sia stato con Reason e poi successivamente con Ableton. Però sono sempre stata un po’ nerd, da quando ho avuto il primo PC e ho scoperto i videogiochi, fino a studiare in maniera un po’ più “seria” a Brera a Nuove Tecnologie per l’Arte. In parallelo, ho sempre approcciato molte cose da autodidatta (grazie ai tutorial e a tanti amici che mi hanno insegnato).

In occasione dell’inaugurazione dell’Apple Store di Piazza Liberty hai suonato insieme a una formazione classica di cinque elementi. Come è nata questa idea e come hai gestito il processo inverso, di ritorno all’analogico, a partire dalla struttura dei tuoi pezzi?
Alla produzione e arrangiamenti del live con l’ensemble ho lavorato con Stefano Riva (che ha prodotto entrambi i miei dischi) ed è stato davvero molto interessante. Come prima cosa siamo partiti dalla scelta timbrica: ci siamo concentrati su timbri più caldi, bassi e medi, eliminando totalmente i violini e dando più spazio a viole e violoncelli. Poi abbiamo integrato il corno francese perché ha un suono meraviglioso ed era già presente nelle
produzioni di alcuni pezzi. Infine Elia Pastori, il batterista che è con me nei live da un po’ di tempo, ha potuto dare spazio ad alcune parti suonate con le campane. Una volta scelti strumenti e timbrica siamo passati all’arrangiamento andando a sottolineare alcune parti, integrarne altre o andando a riprodurre in una versione totalmente diversa altre ancora.

Raccontami come è stato suonare per la prima volta con una formazione del genere.
È stato molto divertente e affascinante. Anche faticoso, certo, perché è stato un lavoro lungo e complesso, ma il risultato è per me qualcosa di incredibile. Apple ci ha dato la possibilità di fare una cosa che volevamo fare da tempo e che in un certo senso era già connaturata alla mia musica. Credo che i pezzi in questa nuova veste siano ancora più avvolgenti e profondi, oltre al fatto che è stato bellissimo lavorare con dei musicisti classici e trovarci a confronto con una modalità diversa di approccio e davanti a una possibilità di lettura nuova. Poter impostare le dinamiche e l’interpretazione di uno strumento suonato da un musicista dal vero è qualcosa che ti fa entrare ancora più dentro ai pezzi.

Il tuo progetto prende grande ispirazione dalle colonne sonore e dal cinema. Ci sono scene o film in particolare che avresti voluto sonorizzare? 
Domandina importante. Non saprei, ci sono sicuramente film che ho amato per le loro colonne sonore o comunque per come erano connesse con le immagini. Potrei citarne molti, ma al momento mi vengono in mente My Own Private Idaho, Under the Skin, o autori come Piero Umiliani o Henry Mancini.

Una volta mi hai detto che le tue canzoni nascono di notte, in solitudine. Qual è il Setting ideale per poterti concentrare? 
Sempre di più ho scoperto di aver bisogno di molto spazio in cui stare da sola. È una condizione in cui mi trovo a mio agio per scrivere e riflettere. Non che durante il resto del tempo mi piaccia stare da sola, anzi, ma comunque mi rendo conto che a un certo punto devo un attimo isolarmi per ascoltare i pensieri e il materiale che ho raccolto nel frattempo.

Qual è il tuo suono preferito in assoluto? Sono validi anche suoni naturali, non per forza musicali.
Davvero difficile, non credo di aver un suono preferito, anzi generalmente mi ritrovo a collezionarne molti, anche in giro semplicemente con l’iPhone. Un po’ in metro, un po’ mentre cammino, oppure a casa, dipende. Il prossimo suono che voglio registrare — che è la cosa più vicino a un horror o un thriller — è il rumore del Passante Ferroviario quando frena. Infernale!

lim tunnel
Da quando hai deciso che avresti utilizzato la tua voce, l’hai sempre considerata uno strumento al pari di un synth. Quando arrivano i testi? A lavoro totalmente finito oppure nascono contemporaneamente alla loro vocalizzazione?
Più o meno ci sono già nelle prime linee di voce. Nel senso che spesso ascoltando una melodia si mischia quello che vorrei dire in quel momento e quello che mi ispira la melodia stessa. È un po’ sinestetica o sincronica come cosa. O per dirla semplice, abbastanza spontanea.

Nonostante il tuo approccio poco egoico, la tua figura è molto presente nella realizzazione visiva della tua musica. Come ci si sente a vedere il proprio corpo modellato e ridisegnato in digitale? È una sensazione straniante o dopo un po’ ci prendi gusto?
Quando gli schermi su cui sono proiettata sono molto grandi mi fa anche abbastanza ridere. Lo trovo buffo. È un gioco, sia per me che per la persona di turno che si diverte a interpretare la mia estetica.

Come ti ha cambiata vivere a Milano e come vorresti che cambiasse la città?
Sono cresciuta a Milano e credo che questo abbia influito molto sia sul mio carattere che su quello che mi piace fare o su come penso a certe cose. Sempre di più mi rendo conto che Milano negli ultimi anni si è dimostrata una “bolla” fortunata per quanto riguarda il rispetto dei diritti civili e delle persone. Non dico che sia perfetta, perché non lo è, ma negli ultimi anni ha dimostrato di avere un respiro e uno sguardo più ampio, che cerca di evitare i livelli di bassezza che la discussione politica italiana sta raggiungendo ultimamente.

Quali sono i luoghi di Milano che più ti appartengono e perché? 
Sono legata a diverse parti della città, ognuna a una fase diversa della vita. Quando ero piccolina un po’ di più a Via Lorenteggio, un po’ più grande a De Angeli e poi sono stata a lungo una ragazza di Sant’Agostino. Ora sto scoprendo la bellissima Chinatown di Paolo Sarpi che mi fa sentire meno la mancanza di Sant’Agostino. Poi vabbè Porta Venezia la do per scontato!

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