Il culto di Luigi Ghirri non conosce ostacoli o rallentamenti. Questa mostra alla Triennale a cura di Michele Nastasi ha il merito di ricostruire il lungo legame con la rivista Lotus International, partito nel 1983 con la commissione di una campagna fotografica sul cimitero di Modena progettato da Aldo Rossi. Contrariamente all’iconografia metafisica di quel cubo rosso a cui siamo abituati, che lo vede emergere dalla bassa padana, le foto di Ghirri lo inquadrano dai cespugli disordinati e dai terrains vagues che lo circondano (oggi diremmo dal terzo paesaggio), o in un inconfondibile quarto di una quadrata finestra rossiana, oppure, in uno scatto fulminante, da dentro. È qui che produce una sconvolgente inversione tra morte e vita, con i cellari vuoti in primo piano che danno una sensazione di angoscia kafkiana e fanno apparire rassicuranti e festosi quelli pieni di fiori (e quindi di cadaveri) in fondo alla prospettiva.
Insieme alle fotografie di luoghi di Carlo Scarpa, al lungofiume di Lubiana di Jože Plečnik, e alle foto degli altri fotografi che aveva chiamato per l’Atlante Metropolitano (sempre su Lotus), queste foto si alternano in delle grandi proiezioni a parete che simulano il rumore del proiettore di diapositive. Una marea di piccole stampe, del formato originale di Ghirri, è montato su pannelli ad altezza d’uomo (con delle quasi illeggibili didascalie in corsivo a matita), in modo che è possibile guardarle da vicinissimo o come un grande paesaggio per frammenti. Sono le meraviglie di Paesaggio Italiano, dove per la prima volta Capri o Trani venivano rappresentate assieme al turista, alle giostre, al kitsch che inquadra l’immagine dell’Italia. Immagini assolute.
Scritto da Lucia Tozzi