Vivo in un’epoca in cui ogni giorno vengo bombardato da informazioni, immagini e chiacchiere che passano senza lasciare traccia.
Idee, opinioni e nomi sovrascritti e contraddetti troppo in fretta per essere afferrati. È una specie di bulimia visiva e mentale. Nessuno ha davvero tempo o voglia di riflettere su qualcosa, oggi. È più importante quello che viene dopo. Qualunque cosa sia.
Non importa più il bello, il vero, il giusto: solo il nuovo.
Vedere qualcosa di concreto, capace di resistere al tempo, è diventato un privilegio. Magari è per questo che le Olimpiadi e lo sport attirano così tanta gente: sai di vedere qualcosa di indiscutibile. Numeri e azioni che rimarranno, come il disco lanciato a 68,82 metri da Jurgen Shult nel 1986. Record mai più eguagliato. I 200 metri piani di Mennea nel 1979, oppure Jesse Owens, 8,06 metri di salto in lungo nel 1936, sotto gli occhi di Adolf Hitler.
Allo sport non interessano mode, ideologie o discorsi sterili. Per questo mi piace. Si appoggia a valori inossidabili che fanno parte di noi fin dall’inizio del mondo. Uguaglianza, amicizia, disciplina, impegno, dedizione, sacrificio. Non sono parole, sono fatti. Il fisico di un atleta è la sua argomentazione. I gesti, la sua dialettica.
Magari è anche per questo che l’estetica del corpo umano è da sempre ritratta come massimo esempio di bellezza e armonia. Dai grandi scultori greci a Leonardo da Vinci, che con l’Uomo vitruviano l’ha addirittura elevato a matrice di bellezza e proporzione assoluta.
Armani, con la mostra Emotions of the Athletic Body, applica la stessa filosofia. Celebra il trionfo, la lotta e la bellezza dei traguardi sportivi attraverso gli occhi e i corpi degli atleti. Toglie le sovrastrutture, i vestiti, le mode, le tendenze, le chiacchiere, per arrivare alla sostanza più pura ed essenziale: l’essere umano.
All’interno della mostra ci sono muri di cemento grezzo e pavimenti di poliuretano rosso, il tartan usato per le piste di atletica. Nell’aria risuonano palleggi, passi pesanti sul parquet, rimbalzi. Suoni dello sport senza voce. Sembra di essere nel sogno di un atleta o sospesi nel tempo, anche perché fotografie e filmati sono dislocati senza logica temporale. La foto iconica del 2001 di Shawn Crawford pronto a scattare è di fianco a Pietro Boselli, che si prepara a lanciare un martello nel 2016.
Il Cristiano Ronaldo del 2010 è vicino al sorriso smagliante di Felix Savon nel 1996. E poi Francesco Totti, Federica Pellegrini, Virginia Recchi.
Volti e muscoli cristallizzati dall’occhio di fotografi del calibro di Kurt Markus, Aldo Fallai, Antoine Passerat,Howard Shatz (suo lo scatto di Sean Townsend, in volo sopra le parallele). È uno spettacolo in bianco e nero di minimalismo e potenza, senza vie di mezzo.
Quando la mostra finisce e ti ritrovi nella hall dell’Armani Silos, hai la sensazione di aver visto qualcosa di importante.
Ai piani superiori sono esposte alcune delle collezioni create da Armani nel corso degli anni e a cui lui tiene particolarmente. Ma alla base, sotto tutte le stoffe, i colori, i tagli e le creazioni, c’è sempre l’essere umano con la sua estetica senza tempo.
È un messaggio coraggioso nel 2016. E bellissimo.
NICOLÒ “NEBO” ZULIANI
Per approfondire:
Due parole sulle tute di Giorgio Armani alle Olimpiadi di Rio
Scritto da La Redazione