NICOLA CASALINO
(Fish’n’Chips)
Belle and Sebastian – If You’re Feeling Sinister (1996)
Credo che non ci sia un brano di quest’album che non amo. Mi piace ascoltarlo in momenti di tranquillità e di intimità, in casa. Stuart Murdoch ha una capacità narrativa sorprendente, nei suoi bozzetti folk dipinge storie tristi e dolorose nelle quali calarsi in maniera empatica. Per certi versi, forse scontato da dirsi, i Belle and Sebastian potrebbero essere gli Smiths degli anni 90. Tra tutti, scelgo Get Me Away From Here I’m Dying: commovente.
Blur – Parklife (1994)
Quell’estate andammo in vacanza in Grecia e il mio amico Giorgio, tra le varie cassette da ascoltare durante il viaggio, portò anche Parklife: la consumammo. Girls & Boys era una mega hit e la title track, con Phil Daniels – l’attore protagonista di Quadrophenia – che quasi rappava con accento cockney su una base in stile Madness, era il link perfetto tra il britpop e la cultura mod. Lo ricordo come uno degli album più emblematici per Cool Britannia e del quale ho imparato a distinguere le sfumature durante gli anni. È una bella lotta ma, facendo le somme, scelgo tra tutte la canzone Parklife.
Elastica – Elastica (1995)
Avrei potuto scegliere un disco dei Charlatans o dei Supergrass, piuttosto che dei Kula Shaker. Alla fine ho optato per questo debut delle Elastica, soprattutto perché Justine Frischmann – che ebbe una storia con Damon Albarn dei Blur – è la voce femminile del britpop e questo album – che la stampa aveva catalogato nel sottogenere della “new wave of new wave” e che ha saccheggiato qui e là nel calderone punk tra Stranglers e Wire – è zeppo di singoli irresistibili. Tra tutti, quello a cui sono più legato è sicuramente Connection; ricordo che era una delle hit più ballate nei club indie di Londra. Ovviamente immancabile nei nostri set a Cool Britannia e anche a Fish’n’Chips.
Happy Mondays – Pills’n’Thrills and Bellyaches (1990)
Madchester: i rave, l’Hacienda, l’ecstasy, la Factory Records e gli Happy Mondays. Shaun Ryder, giovane sbandato e drogato dei sobborghi di Manchester e pupillo di Tony Wilson, aveva già conquistato il Regno Unito con il suo anthem 24h Party People; qualche anno dopo sorprende pubblico e critica con Pills’n’Thrills and Bellyaches. Il titolo lascia poco all’immaginazione: è una bomba che fonde house music, disco, soul, funk e rock. Il pezzo che scelgo è Step On, ottima reinterpretazione di He’s Gonna Step on You Again di John Kongos, del 1971. Il piano house iniziale e Shaun che intona con accento mancuniano «You’re twisting my melon man»: è subito party.
Oasis – Definitely Maybe (1994)
L’esordio degli Oasis è certamente uno degli album più rappresentativi del britpop e il disco al quale sono più legato per motivi affettivi. Il suo sapore acerbo, il suo piglio punk, l’arroganza e lo stile di due fratelli che volevano conquistare il Mondo, hanno contribuito a diffonderne il riverbero per generazioni. Un mio amico mi fece ascoltare in radio il primo singolo Supersonic, il giorno dopo il cd era nel mio lettore e ci rimase per molto tempo facendomi addentrare nei meandri della Creation Records e del brit. Il brano che scelgo è Cigarettes & Alcohol: nonostante sia un plagio di Get In On dei T-Rex, trovo che sia uno dei pezzi più riusciti degli Oasis. Immancabile nel dj set di Cool Britannia, con il led del mixer che segna rosso.
Ocean Colour Scene – Moseley Shoals (1996)
Gli Ocean Colour Scene, nonostante qualche anno di gloria, non vengono ricordati tra le band più importanti del britpop, ma ho ascoltato molto i loro primi dischi, soprattutto durante il mio periodo mod. Avevano una forte influenza 60s e i loro testi contengono riferimenti al Modernismo, «Like Jimmy heard the day he caught the train», canta Simon Fowler nel singolo The Day He Caught The Train. E comunque, è bene sempre ricordarlo, Cesare Cremonini copiò spudoratamente A Better Day – dell’album successivo, Marchin Already, del 1997 – nel singolo dei Lunapop Un giorno migliore: sfigato.
Primal Scream – Screamadelica (1991)
Mi sembra superfluo sottolineare l’importanza musicale che riveste quest’album. Screamadelica è uno disco che ho assimilato, compreso e riscoperto con il tempo, che mi ha aperto nuove prospettive e mi ha fatto approcciare all’elettronica nel verso giusto. C’è l’acid house, la techno, la produzione fondamentale di Weatherall, la carica sexy degli Stones e un Bobby Gillespie che faceva strage di cuori. Il brano che scelgo è senza ombra di dubbio Loaded. Ricordo quando, in un noto pub di Londra, qualcuno la suonò nel juke boxe: tutti i presenti cominciarono a muoversi e la birra scorreva a fiumi.
Pulp – Different Class (1995)
Tra tutte le icone di Cool Britannia, credo che Jarvis Cocker sia nel complesso il personaggio che apprezzo maggiormente. L’ironia, lo stile, l’intelligenza, la sensibilità e la leggerezza che lo contraddistinguono, lo rendono una delle figure più amate nel brit Pop e sono le stesse peculiarità che ritrovo in questo lavoro. Disco 2000 e Common People sono diventate veri e propri inni generazionali, storie in cui perdersi e su cui sognare. “Cut Your Hair and Get a Job” potrebbe essere il mio prossimo tatuaggio.
Suede – Suede (1993)
Il lato glam rock del brit pop, quello da giacchetto di pelle nero. Lo stesso che ho ancora nell’armadio e non ho mai smesso di mettere. Quello che, fino a qualche anno fa, vedevi ancora indosso ai vari, presunti, sosia di Brett Anderson in giro per Londra. Benché inizialmente amassi di più Coming Up – che contiene Trash, la loro hit che diede il nome anche alla club night londinese fondata da Erol Alkan – il debutto dei Suede è uno degli album che ho ascoltato di più. Le chitarre di Bernard Butler, l’androginia di Anderson, la teatralità e il pathos di cui è impregnato ne fanno, a mio avviso, il loro disco migliore. Scelgo, senza pensarci un attimo, il loro primo singolo capolavoro, The Drowners. «So slow down, slow down, you’re taking me over»: mi sciolgo.
The Stone Roses – The Stone Roses
Album seminale per il britpop, must have per tutti i cultori dell’indie, nella top 10 dei miei dischi preferiti di sempre. Manifesto del suono di Madchester, assorbe la brezza psichedelica dei 60s e il sapore junkie dei rave all’Hacienda, confezionando melodie pop che ti si incollano all’orecchio. Ian Brown all’apice della sua forma: carismatico, magnetico e strafottente come pochi frontman dell’epoca hanno saputo essere. Cantare I’m The Resurrection e ballarla fino all’ultima nota della sua lunga coda strumentale è uno dei motivi per cui da 10 anni faccio Cool Britannia.