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Fulvio Piccinino

«I futuristi erano geniali, anarchici e spiriti liberi e privi dai preconcetti tipici dei barman. Le polibibite rappresentano la massima espressione dell’italianità nella miscelazione, con l’uso di prodotti di territorio e abbinamenti azzardati e provocatori»

Scritto da Simone Muzza il 24 febbraio 2016
Aggiornato il 2 marzo 2017

Sabato 19 marzo abbiamo organizzato una tavola rotonda sulla Miscelazione Futurista all’interno di Zero Design Festival, quest’anno al Plastic.
Come relatore della chiacchierata abbiamo invitato Fulvio Piccinino, autore del libro “La miscelazione futurista” e del sito Saperebere, la cultura del bere responsabile, che in questa intervista ci racconta tutta la sua storia professionale e la passione per le polibibite, oltre che il suo punto di vista sulla miscelazione italiana e la figura dei baristi contemporanei.

Ciao Fulvio, puoi presentarti e raccontarci la tua storia professionale?
Torinese, classe 1967, ho lanciato Gatorade in Italia nella seconda metà degli anni 80, per poi passare dopo 3 anni al mondo della birra, lavorando per la Moretti e Heineken. In queste aziende ricopro più ruoli dal lavoro promozionale dei primi pub brandizzati, sino alla vendita nel canale del mass market. L’amore per il lavoro in birreria rimane ed aiuto alcuni clienti amici nelle loro serate. Giro l’Europa per visitare birrifici e birrerie sia per lavoro che per piacere. Per assonanza merceologica alla birra mi appassiono ai whisky, in special modo Scozia ed Irlanda, dove ho vissuto brevemente a Cork, per imparare bene l’inglese. Passo definitivamente dietro al banco, alla fine degli anni 90, con esperienze sia in Italia che in Inghilterra. In Italia inizio come barman per poi diventare sommelier professionista in un ristorante d’albergo. Spesso, con il proseguo della carriera, mi sdoppio, ad inizio serata sommelier, e nel dopo cena dietro al banco a miscelare cocktail. La passione per la merceologia è forte, inizio a studiare oltre che il vino e i suoi distillati, i prodotti a esso collegati come i vermouth, e in seconda battuta i liquori. Nel 2008/09 inizio a insegnare nelle scuole alberghiere per progetti di terza area e alla cessazione degli stessi, per volontà del ministro Gelmini, passo a insegnare stabilmente in una scuola alberghiera salesiana, insegnando il mestiere del barman a ragazzi a rischio, con disagio o negli ultimi tempi, semplicemente disoccupati o in mobilità. Nel 2011 concepisco, grazie all’insegnamento ed ai miei ragazzi che necessitavano di studiare i concetti anche a casa, il progetto Saperebere.com. Ad oggi l’insegnamento è la mia unica attività lavorativa ed ho abbandonato, tranne che per serate tematiche e seminari, l’attività di miscelazione dietro al banco.

Perché il futurismo?
Ho fatto il magistrale e quando facemmo il futurismo per storia dell’arte mi colpì molto il loro modo di essere e di dipingere. A 21 anni invece di andare in vacanza con i miei amici sono andato a Venezia a vedermi la biennale sul Futurismo, tornandone completamente folgorato dal loro stile di vita e di pittura fatto di colori accesi. Non ero un secchione eccessivamente studioso, anzi, fui anche bocciato in terza superiore con il 7 in condotta. Il mio era una passione vissuta d’istinto, a pelle. Comprai una delle prime ristampe della Cucina Futurista di Marinetti e Fillìa e scoprii che facevano anche cocktail, le famose polibibite che a distanza di anni avrei riproposto. Erano geniali, anarchici e spiriti liberi e privi dai preconcetti tipici dei barman. Il libro “Serate Futuriste” di Cangiullo fa ben capire cosa voglio dire. Rappresentano, a mio giudizio, la massima espressione dell’italianità nella miscelazione, con l’uso di prodotti di territorio e abbinamenti azzardati e provocatori. Nel 2005 ho fatto la prima serata futurista a Torino. Era un aperitivo a tema, con un colore diverso ogni sera, dal cocktail al cibo, con musica abbinata. Nella carta dei bar dove ho lavorato c’era una polibibita futurista che includevo. In un’ottica progettuale, nelle ultime gare Aibes e non a cui ho partecipato ho portato sempre una rivisitazione di una polibibita futurista. Ovviamente non sono mai arrivato primo.

Che cos’è la miscelazione futurista?
La massima espressione della fantasia nella miscelazione, un forma d’arte temporanea con elementi plastici che deve stupire e suscitare commenti nel bevitore.

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Quali sono gli spiriti futuristi?
La grappa, vanto d’Italia, il distillato più vicino alla teoria alchemica poiché ottenuto da materia solida. Frutto dell’ingegno contadino, sunto di terra, sole e fatica. A torto bistrattato e poco conosciuto, ed aggiungo proposto, dai barman italici che conoscono anche l’ultimo biotipo di canna da zucchero per produrre il rum e non sanno nulla del nostro distillato. Un vero problema aggravato dalla nostra esterofilia cronica che ci fa sempre guardare al di la dei nostri confini. Abbiamo grandi eccellenze liquoristiche che non conosciamo. Molti barman italiani hanno magari 80 referenze di gin (un prodotto a caso fra i più gettonati del periodo) a scaffale e solo 5 amari, magari i più commerciali. In America invece impazziscono per i nostri prodotti; magari – come fu per il vermouth – saranno proprio loro a ricordarcelo. Le mode arrivano dall’altra parte dell’oceano anche se sono di casa nostra.

E le polibibite più bevute?
Quelle che hanno maggiore consenso quando miscelo durante le serate futuriste sono Giostra d’Alcol, Avanvera e Rosa Bianca. Le ricette le trovate sul mio libro o sul mio sito al paragrafo “la miscelazione futurista”.

Puoi darci la ricetta di quello che preferisci?
Non ne ho uno mio favorito, li amo tutti, ognuno ha un messaggio preciso da comunicare. Sono miscele artistiche che volevano comunicare un messaggio a partire dal nome, pensate ad esempio al “Guerra in Letto”… o allo “Snebbiante”…

Che polibibita preparerai al bancone del Plastic per Zero Design Festival?
Le polibibite emblematiche della miscelazione futurista: Avanvera dell’ing. Cinzio Barosi, torinese come me, amante del volo e visionario della rivoluzione industriale torinese. Questa polibibita contiene il vermouth simbolo della nostra città ed è abbinato a un caposaldo della liquoristica meridionale, lo Strega. un’ideale unione dell’Italia sotto il pensiero futurista.
A questa aggiungerò La giostra d’alcol, la polibibita a base di Barbera d’Asti, Campari e cedrata che venne presentata con successo a Parigi e che sconvolse i visitatori dell’Expo del 1931 in questa capitale. Anche qui un’ideale unione con l’Expo di Milano appena concluso. La genialità di questa polibibita è legata alla presenza di elementi plastici edibili all’interno della stessa, un cubo di formaggio e uno di cioccolato. Se pensiamo che negli anni 30 al massimo si metteva una scorza di limone o di arancia in un cocktail possiamo ben capire lo stupore..

Qual è l’oggetto a cui non rinunceresti mai mentre lavori? Puoi parlarci del rapporto tra il tuo lavoro e il design, inteso come oggetti/bar tools, ma anche come lifestyle/arredamento/abbigliamento?
La miscelazione futurista eè esattamente il contrario della miscelazione odierna fatta di decine di oggetti. Nasce agli albori della miscelazione italiana e si compone di miscele eseguite direttamente nel bicchiere, come lo erano Americano e Negroni. Io uso solamente un bar spoon detto anche cucchiaio da miscelazione degli anni 30. Aboliti jigger e metal pour. Si ritorna indietro alle origini. Bandito anche lo shaker, detto agitatore che apparteneva alla cultura anglosassone. Oggi però i neo miscelatori futuristi lo possono usare perché necessario per alcune miscele, mentre restano vietati i dosatori perché il polso fermo deve essere l’unica unità di misura. In questo modo potenzialmente ogni mistura sarà diversa dalla precedente, introducendo un tipico concetto artistico nella miscelazione.

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Uno degli altri temi di Zero Design Festival è la possibilità di bere bene di notte, nei club e nelle discoteche. Molti a Milano stanno lavorando in questa direzione, migliorando pulizia, bottigliere, ghiaccio e bicchieri. Altri ancora cercano di proporre drink molto difficili (dal Sazerac al Martini per fare due nomi). Come la vedi? 
Hai dimenticato Boulevardier ed Hanky Panky, le nuove frontiere dei barman alla ricerca di verificare se i colleghi hanno studiato. Mi auguro che presto chiedano un Avanvera per lo stesso motivo. Il progetto è possibile ed auspicabile. Il recupero della miscelazione tradizionale, di cui il Futurismo, fa parte della storia della miscelazione. Se notiamo erano cocktail con pochi ingredienti, scarni di decorazioni, veloci da preparare. Ben vengano in sostituzione di una certa tendenza ad aggiungere troppi ingredienti, spesso fatti in casa, che rendevano oltremodo complicata la sua preparazione. Non ho mai amato attendere 10 minuti per bere perché il barman deve affumicare, arrostire o macerare il mio drink. Il mio ideale di bevuta è il Milano-Torino o l’Americano. Facili, veloci e buonissimi.

Qual è il tuo drink da discoteca?
Mi spiace ma non vado in disco da moltissimi anni, non so cosa potrei bere. Ai tempi bevevo gin tonic, talvolta gin lemon, anche qui facile, veloce e dissetante.

Puoi presentarci i contenuti del tuo libro?
Un libro storico che vuole ridare la giusta importanza ad un periodo storico fondamentale della nostra miscelazione. 18 polibibite spiegate e contestualizzate nel periodo storico, con importanti accenni al mercato di allora, ai prodotti e agli stili di consumo degli anni 30. A livello iconografico e di contenuti la ricerca è durata parecchi anni di mercatini ed archivi. Ritengo che per chi voglia approcciare il periodo, questo libro sarà da ritenersi, immodestamente, una pietra miliare per i suoi contenuti. L’autarchia e la fantasia dei futuristi crearono i presupposti per la nascita di uno dei momenti più importanti per la nostra storia del bar che fu poi a torto dimenticato, poiché associato ad un periodo storico che ci vide soccombere nella tragedia della seconda guerra mondiale.

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Leggiamo spesso e con vivo interesse il tuo sito Saperebere (“La cultura del bere responsabile”). Puoi parlarcene?
L’idea era quella di creare un progetto interdisciplinare dove insegnare, tramite i distillati e i cocktail, anche la storia umana. La Cultura del Bere si esprime anche tramite letteratura, cinema, poesia se si è in grado di leggere fra le righe. Insegnando la storia dei cocktails e dei distillati si possono fare passare molti concetti ed avvenimenti storici e culturali contestualizzandoli, poiché il mondo del bere è strettamente collegato alla storia. Il sito inizialmente era solo comunicato ai ragazzi che facevano scuola da me. Era una forma di ripasso multimediale, visto che con i libri i ragazzi avevano poca dimestichezza. Quindi contavo 22 visite al giorno… Poi con il passaparola sono diventate 50 poi 100 ed ad oggi, a distanza di 3 anni ogni giorno circa 1000 persone vanno su Saperebere. Ne è nato poi un libro edito dalla Graphot di Torino che è già alla terza ristampa. Sto creando un sito nel sito, ovvero un “saperebere per tutti” che in una pagina condensi le informazioni più importanti per ciascuna classe di prodotto, come whisky, gin, vodka, vermouth, eccetera con i rimandi poi agli approfondimenti del sito “grande”.

Purtroppo in Italia (e non solo) si comincia a bere presto, tanto e soprattutto male. Secondo te come si può fare ad avvicinarsi ai ragazzi che cominciano a bere e insegnare loro a a bere responsabilmente?
Ci vorrebbe un’educazione civica a scuola ed al di fuori di essa. In passato il Comune di Torino mi aveva chiesto di fare un progetto in tal senso, ovvero una presentazione che includesse storia, cultura e conoscenza del bere con alcuni dati sull’alcolismo e sui suoi danni. Il “seminario” aveva anche uno scopo orientativo professionale. Sfortunatamente si fecero solo un paio di incontri e poi furono tagliati i fondi.

Che cosa si intende per bere responsabilmente? Quante volte è consigliabile farlo al mese?
Uno può bere tutti giorni un bicchiere di vino e beve responsabilmente. Attenzione che bere responsabilmente non vuol dire solo bere poco ma anche sapere cosa si beve. È inutile bere poco se non si beve bene.

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Quali sono i tuoi locali preferiti in Italia?
Diciamo che ho qualche amico di cui mi fido, e che ogni tanto vado a trovare, ormai sempre più raramente, ma non voglio fare nomi. Ultimamente, dopo un periodo Mint Julep e Martinez, sono tornato al primo amore ergo vino e birra, quindi per non offendere l’ego di nessun collega nel chiederci un “banale rosso” vado in posti dove non mi conosce nessuno (fortunatamente ancora moltissimi) dove so che si può bere qualche vino buono e mangiare qualche salume speciale. Saperebere deve rimanere super partes, sia con le aziende che recensisce, sia con i locali. Volutamente non ho mai voluto partecipare a guide o cose simili. Il mercato è fatto di molte aziende che hanno prezzi e proposte qualitative diverse. Io le recensisco tutte, più o meno lungamente. Sarà il consumatore a decidere, in base al suo contesto operativo ed alle sue necessità ed esigenze quale prodotto scegliere. Così come il locale è una scelta personale, non è certo perché piace a Piccinino che un locale diventa migliore di un altro. Ognuno deve maturare i suoi gusti che non devono essere influenzati da guide o guru. Quando mi chiamano o mi scrivono e mi chiedono quale sia un vino o un liquore buono rispondo sempre “quello che piace a te” e soprattutto quello che una volta finita la bottiglia ne vorresti ancora un bicchiere…

A Milano è un periodo di grande fermento per l’apertura di nuovi cocktail bar. Qual è il tuo punto di vista?
La concorrenza di qualità è sempre uno stimolo. Il periodo è molto vitale. Ogni giorno ci sono seminari e tutorial (o come li chiamano) su distillati, cocktails e vermouth in giro per l’Italia, e di cui anche io faccio parte con il futurismo ed i liquori. È sicuramente un bene, siamo passati dall’immobilismo e dalla cultura detenuta da pochi eletti e da un’associazione a un grande fermento. Quando il polverone si sarà abbassato e la selezione sarà avvenuta rimarrà sicuramente qualcosa di positivo. Noi italiani siamo fatti così: o facciamo le cose molto bene o molto male, non abbiamo vie di mezzo. Se c’è un trend lo seguiamo tutti. Guardate il fenomeno dei micro birrifici o di certe categorie merceologiche.

Che città consiglieresti per un weekend dedicato al bere bene?
Sono di Torino e dico Torino. Consiglierei una bella passeggiata per i portici a riscoprire i bar storici bevendo vermouth con uno schizzo di soda e scorzetta di agrume. Il famoso vermuttino bevuto durante la famosa “ora del vermut” dalle sei alle sette nata all’incirca nel 1880 e durata sino al 1915. Poi alla sera alla riscoperta dei luoghi della movida come San Salvario, il quadrilatero e piazza Vittorio. Perché Torino dopo il 2006 ha ritrovato il suo fascino di prima capitale d’italia. Abbiamo recuperato castelli e reggie come la Venaria, che è stupenda. Si respira un’aria nuova. Adesso speriamo che ritorni anche l’ora del vermut e il vermut in quanto tale. Un vero patrimonio per tutti noi “che tanto prestigio diede all’italia nel mondo” per citare la frase della famosa iscrizione in piazza Castello.

Pensi che il grande pubblico sia pronto o che i bevitori che preferiscono la qualità alla quantità siano comunque una nicchia?
Dipende tutto dall’età. Da giovane hai delle priorità e da meno giovane altre. È così con tutto. Si matura e si cambia. A 18 anni il mio consumo non era certo quello di oggi, anche se non mi sono mia ubriacato fino al detrimento totale.

E se proprio non dovessi aver bevuto responsabilmente, o ti è scappata la mano, qual è il rimedio per il dopo sbronza?
L’unica volta che mi sono ubriacato per il mio 18 esimo compleanno ho bevuto acqua per due giorni. Altri dicono il succo di pomodoro e birra come insegna il film “Cocktail”. L’unico rimedio è non esagerare.