In occasione della X edizione di La Terra Trema, appuntamento dedicato a vini e vignaioli autentici e indipendenti, agricolture periurbane, cibo e poesia dalla terra, abbiamo fatto una chiacchierata con alcuni tra gli espositori, scelti con gli organizzatori, dell’evento novembrino al Leoncavallo perché tra i più rappresentativi della manifestazione: oggi è la volta di Daniele Marziali (Riccione, 7 ottobre 1966) de Il Piccolo Forno, produttore e panificatore resistente.
Zero – Hai un ricordo d’infanzia legato al vino e uno legato ai prodotti che produci?
Daniele Marziali – Tutto! Mio babbo ha cominciato a fare il fornaio a 12 anni a Riccione, e in quel piccolo intermezzo di vita a Fermo (nei miei primi 3 anni) ha gestito un panificio. Quindi sono cresciuto in mezzo alla farina e certe volte ci cadevo anche dentro. Ricordo perfettamente ogni angolazione di quell’epoca: ho conosciuto la farina così, cadendoci letteralmente dentro, come fosse una pozione magica.
Il vino invece me l’ha insegnato mio nonno. Ricordo ancora le vendemmie da bambino con tutta la famiglia raccolta sulle colline riccionesi, le cassette di legno, la cantina in terra battuta e noi cuginetti che raccoglievamo l’uva come i grandi. Però duravamo poco, ci perdevamo sempre a far capanne e ad accendere un fuocherello per metterci due pomodori sopra! Nel 1996 poi, io e la mia morosa siamo riusciti ad avere una nostra piccola vigna vera, e mio nonno negli ultimi anni della sua vita ci insegnò tutto quello che c’era da sapere sulla vinificazione casalinga. Fu così che finalmente cominciammo a fare anche il nostro vino. E per scherzo e per gioco lo facciamo ancora.
Puoi presentare la tua azienda e la sua filosofia? Come hai iniziato?
Ho aperto il mio Piccolo Forno Marziali nel marzo del 2000, dopo quasi 20 anni di notte a fare il pane con mio babbo e poi anche con mio fratello e mia mamma sempre in negozio: una tipica azienda di famiglia. Mio babbo accese questo fuoco il 2 febbraio del 1977 e tra qualche mese questo fuoco, di cui io sono rimasto l’unico guardiano, compirà 40 anni. Ho cominciato professionalmente a 15 anni dopo un paio di anni di Perito Turistico, ma la farina mi chiamava e a un certo punto non ho resistito. Di certo all’epoca non esisteva il lavoro minorile, quindi d’estate, durante le vacanze della scuola media, alle 6:30 di mattina ero già in laboratorio a preparare le ultime forme di pane e poi a sistemarlo tutto in bottega. Nel 2000 ci fu una scelta familiare: io volevo continuare, gli altri no e allora da un pollaio e una legnaia in pieno restauro, ci ricavai un piccolissimo laboratorio. Trasferii le poche attrezzature che mi servivano e finalmente riuscii a realizzare il mio sogno… un forno tutto mio. Qui sono riuscito a dar valore a quello a cui ho sempre creduto: la pasticceria da forno. Una pasticceria semplice, di quelle che facevano le mamme e le nonne in casa, fatta di ciambelle, biscotti e pagnotte dolci, rivendicavo il ritorno di una tradizione e di una manualità che si stava perdendo contro l’immane invasione dei premiscelati industriali, miglioratori, conservanti che ormai avevano riempito anche i forni artigianali, e anche il mio. Ho voluto soltanto riprendere quello che mi aveva insegnato mio babbo nei primi tempi di lavoro insieme, anche contro il suo parere, oramai incastrato anche lui dentro la tipica filosofia produttiva del «produci di più, con meno fatica». Ora mio babbo ogni tanto mi viene a dare una mano e si illumina a vedere in pratica il frutto dei suoi insegnamenti. Ogni tanto discutiamo ancora, ma in versione folkloristica. Quindi la mia è stata una volontaria e prepotente R.Esistenza da fornaio in purezza!
Cosa producete e com’è il lavoro in un forno?Spiegaci la tua giornata tipica.
Non avendo un negozio fisso e non producendo più il pane, mi posso gestire la giornata come desidero. Normalmente, dopo aver organizzato i bambini per la scuola, verso le 9:00 comincio a impostare il lavoro, butto giù i primi impasti e vado avanti quasi sempre fino alle 13 abbondanti. Poi ricomincio verso le 16:00 perché, anche se non lavoro più di notte, il mio classico riposino dopo pranzo da fornaio me lo devo sparare e spesso e volentieri alle 20 sono ancora in laboratorio. Lavorando a casa sono circondato anche dai miei bimbi, che chiamano, che devono fare i compiti, che scassano i maroni ma alla fine giochiamo sempre insieme perché mi piace troppo.
Come dicevo prima produco principalmente biscotti secchi e poi ciambelle e tortine, sempre in versione tipica da dolce da forno, niente creme, né glasse! Una crema in realtà c’è, la crema enorotica ma quella ha una storia a sé. Gli impasti li faccio con una piccola planetaria del vecchio forno, poi taglio i biscotti tutti a mano uno per uno ancora sul vecchio banco di marmo di mio babbo, un marmo di 35 anni di età. La ciambella romagnola invece la impasto a mano, con la tipica fontana di farina sul banco e poi c’è il mio Bustreng, un dolce tipico delle colline riminesi che nasceva dal recupero del pane avanzato macerato nel latte o nel Sangiovese in una mia versione personalizzata. Al di fuori della Ciambella Romagnola e del Bustreng, produco solo mie ricette d’autore. Io considero gli ingredienti come dei colori per poi dipingere ogni volta un quadro nuovo buono da mordere che parla di tradizione, amore e sensualità: infatti la principale tematica delle mie creazioni è per l’appunto l’erotismo enogastronomico! Anche in un semplice impasto di farina c’è storicamente racchiusa tantissima sensualità.
Che tipo di ingrendienti utilizzi nel tuo forno? Dove li prendi e chi sono i tuoi fornitori?
Cerco il più possibile materie prime del mio territorio fatte da uomini e donne che faticano e sudano come me. La mia farina è biologica e macinata a pietra da un contadino che semina e macina direttamente a 15 km da casa mia, l’olio extravergine, il miele, il vino (ossia il mio secondo ingrediente principale subito dopo la farina), la confettura, sono tutti prodotti da contadini o artigiani dei paesi limitrofi. Poi tutto ciò che non è territoriale cerco sempre di procurarmelo da esseri umani che conosco personalmente. Sono un credente ferreo della microeconomia.
Quanti siete nel tuo laboratorio? Ricevi richieste di giovani che vogliano lavorare in un forno?
Sono io da solo. Con ogni tanto il supporto dei miei genitori per i piccoli aiuti sul fianco, tipo la spesa, le pulizie, il confezionamento, ma impasto, formo e cucino solo io. Nessun’altro può farlo altrimenti non riuscirei nemmeno a proporre i miei prodotti. Qui non è un fattore produttivo o economico, è la mia passione e la mia poesia al sapore di farina. Non riuscirei a fare altrimenti. Solo mia moglie ha potuto farlo (una volta) e ogni tanto i miei bimbi giocando a fare i fornai. Loro sono gli unici che conoscono alla perfezione cos’è la mia passione per il mio mestiere.
Ti definisci un fornaio anarchico: cosa vuol dire?
Più o meno la definizione del fornaio anarchico richiama quanto detto sopra. A un certo punto non ne potevo più di vedere il mio mestiere inflazionato, superficializzato e occupato dai sistemi e dagli ingredienti delle multinazionali. Sono andato sempre poco d’accordo anche con gli altri fornai, e a un certo punto il primo di tutti è stato proprio mio babbo (poretto). Colpevoli a mio parere anche loro, di concedersi ai grandi fornitori e alle comodità delle produzioni moderne. Io volevo e pretendevo qualcosa di differente! Volevo di nuovo il suo valore, la sua forza, la sua storia, desideravo ancora le parolacce da sostentamento per il sudore, le mani, le braccia, la schiena e le gambe che fanno male per la sacra fatica. Volevo il rispetto dei tempi di lievitazione, le magie e le superstizioni negli impasti, volevo la tradizione prima di ogni altra cosa, perchè solo così poi puoi guardare la tua creazione con fierezza e con soddisfazione. E allora mi sono staccato letteralmente da tutti e attaccai l’aggettivo “anarchico” al mio mestiere. Lo feci quasi indifferentemente dall’ideologia che poi approfondii e apprezzai immensamente. L’Anarchia vera parla di amore e di rispetto verso il prossimo prima e verso se stessi. E soprattutto per me verso la farina!
Come descriveresti La Terra Trema? Hai già partecipato? Cosa ti ha spinto a prendere parte a questo tipo di evento?
Fui contattato per la prima volta nel 2008 e non l’ho mai più lasciata. Solo il fascino di arrivare al Leoncavallo per me fu un’esperienza immensa. La Terra Trema per me ha un’unica definizione: “La conferma di tutto realizzata a forma di poesia”. Lì dentro, in quel mio primo anno ancora da sconosciuto ho realizzato e toccato con mano che quello che stavo facendo aveva davvero un significato ed un valore. Tutte le mie fatiche, il mio sudore, i miei pianti, le mie parolacce, la mia REsistenza, erano condivise e affiancate da tanti altri produttori come me e da tutti i ragazzi che la organizzano. Senza dimenticare tutta quella gente bella che mi aspetta ogni anno per mordere quello che creo con le mie mani stanche, ma che hanno ancora una gran voglia matta di andare avanti.
Conosci la città di Milano? Quando sei qui dove vai a bere o a mangiare di solito?
Ho conosciuto meglio Milano solo da quando partecipo alla Terra Trema, ma non mi sono mai mosso molto dal Leoncavallo se non invitato in qualche locale di amici. Anche perché poi non si fa in tempo ad arrivare in città che già c’è qualche bella amica che mi invita a cena. E poi c’è la Cucina Pop: adoro immensamente la Cucina Pop del Leonca!
Che cos’è un prodotto artigianale per te? E cosa ne pensi dell’utilizzo (a nostro parere a volte eccessivo) del termine biologico.
Un prodotto artigianale è frutto della sacra fatica delle braccia, della schiena e delle gambe. Per me non c’è altra possibilità di codificazione. Io uso molte materie prime Bio, di cui tutte le farine, il miele, le nocciole, la frutta fresca, la confettura e altro ancora, ma non sono certificato e nemmeno la dicitura Bio delle mie materie prime mi gratifica quanto conoscere gli umani che le producono. Per l’appunto io lo chiamo l’umanesimo del prodotto. Conosci l’uomo o la donna che producono e sai cosa stai mangiando. La mia autocertificazione è il mio laboratorio sempre aperto a tutti, in ogni momento. E sono soprattutto i bambini cucciolissimi quelli che quando assaggiano una cosa e non gli piace, te la sputano in faccia. Loro sono in purezza, fuori da ogni formalità, ancora dei dolci animaletti che ascoltano solo il loro istinto e non le teorie e le pubblicità. Io divento più grande di Dio quando li vedo ciucciare con gusto i miei biscotti.
Ma un prodotto artigianale è migliore a prescindere da uno industriale? O è solo più sano?
Artigianale, industriale e sano per me non sono correlati tra loro. Puoi avere un prodotto industriale sano ed un prodotto artigianale schifoso. Di certo, tornando a prima, quando si conoscono gli artigiani o i contadini, si vedono i loro occhi, si ascoltano i loro racconti, si ammira come lavorano: tutto può tornare, oppure no. Il consumatore finale è sempre colui che poi tira le somme, in funzione anche a quanti acidi nello stomaco ha il giorno dopo.
Tre bottiglie di vino che porteresti sulla Luna.
Difficilissimo davvero: di certo il Verdicchio della Marca San Michele della Bella Dani, il Sangiovesone di Gianni Borella che lui chiama Chianti, e come terzo mi porto un cartone grosso pieno di Sangiovese di Romagna! Concedetemelo.
Cosa bevi a parte il vino?
Qualche birra artigianale. Non bevo assolutamente superalcolici!
Cosa significa per te bere responsabilmente? Bevi tutti i giorni?
Sì, bevo tutti i giorni anche se in questo periodo sto diventando molto bravo. Bere responsabilmente per me significa bere bene, bere vini naturali, nei momenti giusti, con le giuste misure, bere convivialmente perché il vino buono crea gli amici e li mantiene e soprattutto. Non guidare, stare in campana oppure stare estremamente attenti e armarsi di etilometro! Io ne ho addirittura due nel furgone e tante volte son dovuto rimanere fermo durante notti fredde ad ascoltare tutto quello che si poteva ascoltare alla radio prima che arrivasse il fatidico 0,4. Ma non è tanto per le pericolosissime sanzioni è perché è importantissimo tornare a casa dai tuoi cari e dargli bacini a oltranza.
E se ti è capitato di non bere responsabilmente, qual è il rimedio per una sbronza?
Spiaccicarsi dritto per dritto nel cassone del furgone e… tana libera tutti!
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