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Eduardo Torres Acosta

"Penso che sia importante che il produttore sia sincero con se stesso e con quello che fa. Il vino, per esempio, è già abbastanza sincero da raccontare da solo quello che è."

Scritto da Martina Di Iorio il 16 gennaio 2017
Aggiornato il 8 febbraio 2017

Dal 18 al 19 febbraio al Palazzo del Ghiaccio di Milano torna Live Wine, Salone internazionale del vino artigianale con piccoli e grandi vignaioli italiani ed europei. Anche quest’anno abbiamo deciso di intervistare i protagonisti dell’evento per capire la loro idea di vino artigianale. In questa intervista abbiamo parlato con Eduardo Torres Acosta, nato a Santa Cruz di Tenerife nel 1982, e approdato in Sicilia dove lavora come enologo con la cantina Passopisciaro e produce autonomamente i suoi vini grazie a delle terre prese in affitto.

Come è nata la passione per il vino? Hai sempre lavorato in questo mondo?
Mio nonno e mio padre da sempre hanno fatto vino in modo tradizionale e mi hanno trasmesso questa passione. Da quando ero piccolo sino ad adesso non ricordo un anno senza una vendemmia. Durante gli studi mi sono sempre mantenuto lavorando, sia in ristoranti che in agricoltura. Ho studiato Ingegneria Agricola e dopo Enologia.

Puoi presentare la tua azienda e la sua filosofia? Puoi spiegarci come è nata?
Il mio progetto sull’Etna è cominciato quando ho iniziato a collaborare con la cantina Passopisciaro nel 2013. Mi sono ritrovato in un territorio vulcanico molto simile alle Isole Canarie, con una viticultura contadina in ambito di montagna. Dopo la prima vendemmia in questa cantina, ho cercato di prendere personalmente dei vigneti in affitto per lavorarli e capire meglio il territorio: l’alberello di Nerello Mascalese. Ho trovato tre piccole vigne a diverse altitudini e diverse tipologia di suoli e ho cominciato a lavorarle. Così ho vinificato la mia prima annata, la 2014, con due vini. In queste momento ho 2 ha in affitto.

Quali sono i vini che produci e da che uve vengono prodotti? Ce ne è uno di cui vai particolarmente fiero?
In queste momento ho due rossi e un bianco che è nato con la annata 2016, quest’ultimo ancora in cantina.
Versante Nord è un “village” di diversi vigneti situati nel versante nord dell’Etna a diverse altitudini e diversi suoli, vinificati separati e dopo assemblati. Sono vigneti con più di 40-50 anni, dove più del 90% della vigna è Nerello Mascalese, il resto sono Nerello Capuccio, Minella, un misto di varietà autoctone.
Pirrera è l’altro vino, proviene da una sola vigna a 850 metri di altezza a contrada Sciaranuova. Il nome della vigna dà il nome al vino, dove il suolo proviene da una vecchia cava (Pirrera) situata vicino. E’ un alberello di Nerello Mascalese, più un 10% di altre varietà autoctone.

Versante Nord e Pirrera
Versante Nord e Pirrera

Quali sono le modifiche sostanziali che hai apportato nel modo di fare il vino, qual è l’elemento più evidente?
Non faccio nessuna modifica. Seguo un po’ l’istinto e quello che mi dice ogni vigna: lascio che queste si esprimino da sole. Provo a bere tanto vino di altre zone, altre varietà, altri produttori e il confronto mi aiuta moltissimo a capire dove posso arrivare e quale potrebbe essere la migliore espressione di questi suoli vulcanici. Come anche mi aiuta a capire che c’è sempre molto da imparare.

Quante persone lavorano con te? Accogli richieste di giovani che vorrebbero lavorare in un’azienda vinicola? Ne ricevi molte?
Al momento non ho dipendenti fissi e non accolgo giovani poichè lo spazio non me lo permette.

Naturale, biologico, biodinamico, artigianale… Le definizioni sui vini si sprecano, e il consumatore è sempre più confuso. Come definiresti il tuo vino?
In vigna lavoro solo con zolfo e rame, controllando il vigore e la produzione tramite la potatura invernale e verde e seguo le indicazioni della vigna in ogni sua zona. In cantina lascio fermentare in modo spontaneo, seguo la vinificazione con il minimo intervento, l’uso della solforosa solo se necesaria. Per imbottigliare e per travasare seguo l’andamento lunare. Non so come definire tutto ciò, non seguo l’etichetta, spero solo di seguire le sensazioni sia quando faccio il vino che quando lo bevo.

Eduardo nella sua vigna coltivata ad alberello
Eduardo nella sua vigna coltivata ad alberello

Molti produttori fanno un vanto dell’assenza di solfiti nei propri vini. Nei tuoi vini sono presenti? In che posizione ti collochi riguardo a questo tema?
Come anticipato, l’uso è minimo ma non ho problemi a usarla se è necessario. Il processo dei vini artigianali è molto più complesso e non può ridursi al dibattito della solforosa sì o no. C’è la nostra vita di mezzo, c’è l’agricoltura e poi il lavoro in cantina di cui una minima parte è la solforosa.

Live Wine 2017 si definisce “Salone Internazionale del Vino Artigianale”. Che cos’è un vino artigianale per te?
Un vino che viene fatto da un artigiano. Una persona che entra in stretta relazione con il suo mestiere, che è parte della sua vita e del suo tempo, un vino che cerca di interpretare con il minimo intervento. Un vino umano, rispettoso del luogo e dell’origine dalla quale proviene.

Ma un vino artigianale è migliore a prescindere da uno industriale? O è solo più sano? È possibile avere un vino più sano per l’organismo intervenendo già in vigna?
Il vino in generale mi deve piacere e deve essere un vino che mi emoziona e mi trasmette piacere. Questo solitamente lo ritrovo nei vini artigianali buoni.

La maggior parte dei vini sul mercato sono prodotti con diserbanti, concimi di sintesi, pesticidi, ingredienti di origine animale. Sei favorevole a una normativa che costringa i vignaioli a scrivere tutto quello che c’è nelle bottiglie e come viene ottenuto il vino? Perché? In caso affermativo, pensi sia un traguardo raggiungibile in tempi brevi?
Non penso che sia necesario. Le etichette spesso confondono il consumatore più che aiutarlo a chiarirsi e creano dei preconcetti. Penso che sia importante che il produttore sia sincero con se stesso e con quello che fa. Il vino, per esempio, è già abbastanza sincero da raccontare da solo quello che è. Si chiede al consumatore di chiudere gli occhi, assaggiare e ritrovare il piacere, se il vino riesce a trasmetterlo. Se non riesce, non sarà comunque l’etichetta a mostrarlo diversamente.

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Tre bottiglie che porteresti sulla Luna?
Tre sono poche, ma se proprio devo, scelgo tre bottiglie che hanno per me un certo significato: Taganan Envinate, Tenerife; Il Frappato Vittoria Occhipinti; Vin Jaune, Overnoy.

Cosa bevi a parte il vino?
Gin Tonic.

Cosa significa per te bere responsabilmente? Bevi tutti i giorni?
Io bevo per piacere e in compagnia. Il vino aggrega. Non necessariamente bevo tutti i giorni.

E se ti è capitato di non bere responsabilmente, qual è il rimedio per una sbronza?
Una bella dormita e un’aspirina al risveglio.