Yuri Gelmini (Melzo, 27/10/1983) è il barman del Surfer’s Den, circolo di surfisti milanesi con un eccezionale cocktail bar. Lo abbiamo intervistato in occasione della sua partecipazione a Zero Design Festival, dove sarà tra i protagonisti della chiacchierata sulla Miscelazione Futurista – una delle sue grandi passioni, tanto da aver inventato una nuova polibibita (i futuristi non dicevano cocktail) che l’ha portato sulle pagine del New York Times – e del relativo quisibeve (i futuristi non dicevano bar), oltre che della mostra Bar Tools/Cose da bar.
ZERO: Come e perché hai iniziato a lavorare al bancone?
Yuri Gelmini: L’idea era quella di lavorare in cucina, per questo ho studiato all’alberghiero. Poi per varie vicissitudini sono dovuto entrare nell’azienda di famiglia, che si occupa di tutt’altro. Quando pensavo che ormai il mondo dell’ospitalità mi avrebbe visto solo come cliente, l’estate in cui un locale di amici cambiava sede mi sono trovato a dare una mano. Inizialmente mi sono messo a disposizione per quel che c’era da fare, dal giardino al bar. Poi ho cominciato a passare sempre più tempo dietro al bancone.
Chi è stato il tuo maestro?
Sono fortunato nel poter dire di aver avuto molti maestri nella mia vita ma, se devo ricordarne uno, vorrei citare Sergio Carnovali, il mio allenatore di rugby: «Una volta superata la linea bianca non avete più diritti, solo obblighi e doveri. La conoscenza la fai con i libri, l’intelligenza con le legnate». Ovviamente era una frase legata al mondo del rugby, ma io l’ho applicata a molti altri aspetti della vita. Il bancone è come il campo di gioco: quando ci entri non hai più giorni liberi, pause, altre priorità che non siano servire al meglio gli ospiti. Devi studiare i grandi del passato sui libri, provare e riprovare ricette già consacrate, avere la conoscenza della materia prima che utilizzi, dai distillati ai liquori, ma se non sai relazionarti sul campo con i tuoi ospiti tutto quel che hai studiato è inutile. Così come il rugby, questo lavoro è molto duro, ma quel che ti lascia nel cuore vale tutta la fatica che si fa per arrivare in meta. Ringrazio infinitamente anche Dario Comini, Leonardo Leuci, Massimo Stronati e Fulvio Piccinino: senza di loro non sarei così felice di fare questo lavoro.
Qual è il primo drink che hai preparato e com’era?
Bella domanda! La mia prima serata dietro al bancone è stata talmente caotica per quantità di persone e paura di sbagliare quello che credo fosse un gin tonic. Com’era? Dato che ne avrò fatti un sacco, credo non male.
Puoi raccontarci la tua esperienza professionale?
Il primo aggettivo che mi viene i mente è sicuramente “inaspettata”. È coinvolgente a 360 gradi, mi sento in continua formazione. Questo lavoro mi suggerisce motivi per viaggiare, per visitare giardini e dimore o rassegne di vario tipo, che entrano tutte a far parte dell’atmosfera che cerco di creare nel locale in cui lavoro. Per esempio, ogni fine estate non manco al Festival International des Jardins a Chaumont sur Loire. La valle della Loira è rurale e maestosa nello stesso tempo e ogni volta che faccio a piedi la strada (lunga) tra la stazione di Onzain e il castello di Chaumont, passando la Loira, ringrazio il mio lavoro per avermi portato anche qui.
Come e quando sei arrivato al Surfer’s Den?
Era un locale di amici, frequentato da amici e nell’estate del 2009, con il trasferimento e il restyling che il Surfer’s Den stava attuando, mi sembrava mancasse una maggiore attenzione al bar. E così ho cominciato a fare delle proposte, sia per la bottigliera che per il menu, che parevano incontrare i favori dei clienti: così un po’ alla volta mi sono trovato a far sì che questo diventasse il mio nuovo mondo.
Com’è la linea del bar?
Prevalentemente serviamo cocktail. Cambiamo menu ogni 6 mesi perché è come se avessimo due locali, uno estivo con un grande giardino e uno invernale più piccolo e raccolto. Al momento abbiamo un menu di 36 cocktail, alcuni sono ricette di grandi barman, altri sono di nostra creazione. Abbiamo anche una piccola selezione di birre in bottiglia, che cambiamo circa una volta al mese, e una piccolissima scelta di vini. In estate aggiungiamo anche la birra alla spina.
Quali sono i prodotti ai quali non rinunceresti mai? Puoi stilarci una classifica delle 10 bottiglie con cui ti piace lavorare nella miscelazione e perché?
Avere una bottigliera ben fornita è molto importante, tuttavia l’aspetto che cerchiamo di curare maggiormente è quello della liquoristica e dei distillati italiani. Ecco la mia lista (l’ordine è casuale):
1 – Bitter Campari: il bitter per eccellenza, uno degli ingredienti che ritengo quasi imprescindibili nei miei drink.
2 – Vermouth Cocchi Dopo Teatro: questo vermouth è incredibile, ha un sentore di china molto marcato che lo rende un ingrediente perfetto per cocktail molto importanti.
3 – Liquore Strega: già il nome dice tutto, dona una grande complessità al drink.
4 – Alkermes officina Santa Maria Novella: vi invito ad andare nella loro sede di Firenze e restare a bocca aperta, un liquore che viene prodotto seguendo la ricetta di Frà Cosimo Buccelli del 1743.
5 – Rabarbaro Zucca: un liquore che viene esaltato in modo incredibile dagli agrumi. Provatelo con succo fresco di mandarini e soda.
6 – Fernet Branca: un classicissimo di Milano che non possiamo non amare per la sua complessità erbacea.
7 – Taneda Carlo Ericini: una scoperta che è stata una conseguenza del mio amore per i vini valtellinesi, liquore all’Achillea Moscata o Erba Iva che cresce solo sopra i 2000 metri.
8 – Liquore St. Antonio Luxardo: un liquore di Padova che nulla ha da invidiare ai grandi liquori francesi della tradizione dei monaci certosini.
9 – Liquore alla camomilla Distilleria Quaglia: aprire una bottiglia è come tuffare il naso in un mazzo di fiori di camomilla, la buonanotte più buona del mondo.
10 – Alpestre: puro distillato di 34 erbe che, sapientemente dosato, rende il drink forte e aromatico.
Per Zero Design Festival ti abbiamo chiesto di partecipare alla chiacchierata sulla miscelazione futurista. Puoi raccontarci il tuo rapporto con le polibibite? Come mai ti ci sei avvicinato? Cosa ti piace di questo movimento?
Prima di tutto viene la mia passione per la liquoristica italiana, che spesso rimane chiusa in ambito regionale. Si tratta di liquori meravigliosi, prodotti con ingredienti spontanei o coltivati in zone limitatissime. La scintilla che ha dato il via è stata l’ incontro con Fulvio e i suoi testi illuminanti e la mia partecipazione alla Jerry Thomas Friendly Competition, che lo scorso anno aveva come tema la miscelazione futurista. Il rapporto che ho con le polibibite è molto stimolante, perché amo sia replicare le ricette storiche che pensare nuove ricette di spirito futurista. Ci sono diverse cose che mi piacciono di questo movimento, ma ciò che maggiormente amo è lo stravolgimento della vecchia impostazione della lista dei cocktail, divisa in pre dinner e after dinner, e l’abolizione di scorzette di agrumi, olive e quant’altro come decorazione. I futuristi propongono una divisione affascinante, la polibibita è cioè pensata per il momento in cui stai bevendo o per quello che seguirà: hai un dubbio da sciogliere? Ordina uno Snebbiante! Devi farti venire un’idea per un nuovo progetto? Ordina un’Inventina! Prevedi una notte di passione ardente? Ecco per te un Guerra in letto! Il tutto servito con delle decorazioni che sono funzionali o in totale contrasto con la polibibita. Immaginate il divertimento del cliente quando si trova davanti a una scelta del genere.
Che polibibita presenterai al bancone del Plastic per Zero Design festival?
Comincio col dirti la destinazione d’uso della polibibita: è un Guerra in letto. Si chiama Ape Vigorosa ed è a base di grappa barricata, Biancosarti, Vermouth Carpano Classico e Taneda. Il tutto servito con un pezzettino di miele in favo da mangiare sul finire della polibibita, per dare il giusto vigore a letto!
Qual è l’oggetto a cui non rinunceresti mai mentre lavori, che hai scelto per la mostra Bar tools/cose da bar che stiamo allestendo alla galleria Plasma del Plastic? Puoi parlarci del rapporto tra il tuo lavoro e il design, inteso come oggetti/bar tools, ma anche come lifestyle/arredamento/abbigliamento?
L’oggetto che ho scelto per la mostra e a cui non rinuncerei mai è la bottiglia dell’acqua, la prima attenzione che ho per i miei ospiti. Per questa mi devo tuttavia ingegnare col recupero, perché non mi è ancora capitato di vedere belle bottiglie (attuali) pensate per questo scopo. Per il resto mi servo moltissimo di oggetti di design, dai bar spoon agli shaker, dai jigger ai bicchieri. Ogni dettaglio è importante. Anche l’arredamento e l’abbigliamento devono contribuire all’atmosfera che vuoi per il tuo locale.
Uno degli altri temi di zero design festival è la possibilità di bere bene di notte, nei club e nelle discoteche. Come la vedi? È un progetto fattibile? Molti a Milano stanno lavorando in questa direzione tra cui anche voi del Surfer’s che in quanto a serate e dj set non scherzate affatto.
Penso che in discoteca sia possibile bere drink semplici di buona qualità: un buon gin tonic o un buon vodka tonic sono possibili, utilizzando materie prime come distillati e toniche premium. Diverso sarebbe pensare di proporre drink che richiedono tecniche più elaborate, che necessitano di più strumenti di preparazione o di bicchieri non funzionali al luogo. Noi non siamo una discoteca ma, in inverno, un piccolo club con due sale dove è possibile sia chiacchierare tranquillamente con un buon drink che sentire musica. In estate apriamo il giardino e lo spazio disponibile si quadruplica. Per lo più abbiamo musica diffusa, ma nel week end alcuni amici si occupano della selezione musicale. In particolare, da un anno a questa parte, abbiamo una serata meravigliosa, The Quincey: i ragazzi fanno una selezione musicale molto ricercata di un genere che loro definiscono afrocumbiapsychedelica. Provare per credere!
È un periodo parecchio favorevole per il mondo del bar e dei barman a Milano: aprono sempre più locali, alcuni anche di qualità. Qual’è il tuo punto di vista? Li frequenti? Quali frequenti? Ti piacciono?
La concorrenza di qualità fa bene! Più le persone si abituano a bere bene, più il lavoro del barman diventa stimolante. Mi piacerebbe frequentare di più i locali di notte, ma quando non lavoro preferisco andare a letto presto! Comunque mi piace andare a bere dagli amici, dove spesso ci si scambiano idee, pareri e si impara sempre un po’. Mi piacciono tutti i posti dove si lavora con passione.
Quali sono i ristoranti di Milano che frequenti?
Uscire a cena mi piace molto, sono una buona forchetta, vado spesso all’Antica Osteria di Ronchettino, alla Taverna Greca Mykonos, alla Brasserie Belga Le Vent du Nord, ognuno di questi ha qualcosa di particolare ma il calore e l’accoglienza (oltre al cibo squisito) che trasmette Casa e Putia mi hanno catturato e, ultimamente, appena posso ci vado. Fatevi coccolare da Luca per passare una serata magica. Anche il vino lì è notevole.
Che città consiglieresti per un week end dedicato al bere bene e perché?
Non è facile ma scelgo Roma dove, per sentirmi a casa, scelgo il Jerry Thomas. Mi piacciono anche il Caffè Propaganda, il Banana Repubblic e il Club Derrière, oltre a tutto quello che Roma ha da offrire.
Tu cosa bevi di solito?
Quando vado a bere dai vari amici che fanno questo lavoro, scelgo sempre qualcosa che hanno in lista, è bello scoprire le varie strade che hanno portato alla creazione del drink. Ma in assoluto i miei preferiti sono il Gibson e il Bloody Mary.
Bevi tutti i giorni? Cosa significa per te bere responsabilmente?
Assolutamente no, non bevo tutti i giorni. I miei giorni liberi sono pochi e cerco di sfruttarli facendo tutte le cose che mi piacciono: dal giardinaggio alla lettura, passando per il mio primo amore che è la cucina. Ogni tanto certo, ci scappa un drink!
Vorrei raccontarti un aneddoto su cosa sia per me il bere responsabile: una sera di qualche estate fa, un ragazzo che aveva già preso qualche drink insisteva per averne un altro che, sono sicuro, sarebbe stato quello di troppo. Così ho deciso di spendere due minuti per dirgli che secondo me, se si fosse fermato, il mattino seguente si sarebbe svegliato con un ricordo piacevole della serata. Se avesse continuato anche con un solo altro drink avrebbe trasformato tutto in un ricordo sgradevole. Bene, dopo avermi ascoltato, mi ha abbracciato ed è andato via canticchiando e ringraziandomi per aver pensato a lui come a un amico. Morale della favola, i primi a dover insegnare il bere responsabile siamo noi barman, bere meno ma bere meglio!
E qualora avessi esagerato, qual’è il rimedio per riprendersi da una sbronza?
Non mi piace e non si deve esagerare ma, se posso dare un consiglio, direi una bella giornata casalinga di riposo!