Italia, Inghilterra, Ghana. Sarebbe stato un grandissimo girone ai prossimi mondiali 2018, ma né noi né gli amici ghanesi siamo riusciti a qualificarci. Questa triangolazione intercontinentale, però, non è andata persa: la ritroverete per intero in Love Junction, album di debutto di Lorenzo BITW che uscirà il prossimo 22 giugno. L’Italia – anzi, Roma – di Lorenzo, l’Inghilterra come abc della bass music e del dancefloor, il Ghana per la contaminazione world con molti featuring del disco che coinvolgono mc e cantanti della scena di Accra. Ci siamo fatti raccontare tutto in questa intervista, il biglietto della trasvolata lo offrono La Tempesta e Friends Of Friends.
ZERO: Allora, al posto della prima domanda classica, per rompere il ghiaccio facciamo una sorta di test della memoria. Hai 15 anni: dove sei e che musica ascolti?
Sono a Roma, al concerto degli Interpol.
Hai 20 anni.
Sono a Londra ai Corsica Studios al compleanno dell’Hyperdub. Ascolto dubstep ed elettronica.
Maggio 2018
Sono a Roma e ascolto afrobeat e dancehall.
Quando hai iniziato ad ascoltare musica in maniera massiccia?
Sono partito con il rock e con tutte le varie derive del grunge. Poi sono arrivato all’elettronica con Roni Size e i Prodigy.
C’è stato un album o un artista che ha fatto esplodere questa fissa?
Per l’elettronica vari nomi: Chemical Brothers, Aphex Twin, Boards of Canada, Goldie. Forse l’album che più mi ha segnato è stato The Fat of the Land dei Prodigy.
Di solito nella nascita di una passione musicale c’è sempre un cugino o un amico, magari più grande, che ti gira un paio di dischi e la tua vita poi cambia completamente. È successo anche a te?
Sì, mio cugino più grande mi portava ai concerti. Lui era molto rockettaro e sono cresciuto con il mito di lui che era riuscito a sentire i Nirvana nel 1994 a Roma. Anche le “cattive amicizie” del liceo mi hanno influenzato: amici che mi hanno passato i loro cd.
Quando hai iniziato a mettere dischi?
Penso sia stato durante un’autogestione a scuola, sempre ai tempi del liceo.
Qui a Roma ci sono stati eventi, club o serate che hanno contribuito ad alimentare questa passione?
Sicuramente Viral, serata che si teneva al mitico Init: è stata un esperienza importantissima. Poi alcuni concerti al Circolo degli Artisti e le ultime edizioni di Dissonanze: non scorderò mai il set di Madlib con i Brasilintime. Altre esperienze molto importanti sono state quelle di Vinyl Refresh al Pigneto, negozio di dischi e luogo di condivisione, e anche Remix, almeno fino a quando è stato a Via del Fiume.
Un momento fondamentale per il tuo percorso è stato il tuo periodo inglese, a Leeds. Come ci sei finito?
Sono arrivato nella fredda Leeds per studiare, avevo vinto una borsa di studio e non ebbi dubbi sul partire. Ero un po’ stufo di Roma in quel periodo. È capitato nel momento giusto.
Immagino che tu abbia avvertito da subito che in Inghilterra il rapporto con la musica fosse tutt’altra cosa rispetto all’Italia.
Diciamo che, in generale, l’ambiente era molto aperto e le persone che lavoravano nella musica erano sempre curiose e disposte ad ascoltare nuovi suoni. C’erano grandi stimoli a collaborare e condividere, un’aspetto che poi si è rivelato centrale per il mio disco: collaborare con altre persone e con musicisti che vengono da ambienti diversi dal mio.
Hai frequentato club e serate a Leeds? Quali e che musica passavano?
Le serate più belle sono state quelle del SubDub. Nella sala principale c’era un impianto auto costruito dagli Iration Steppas e passavano dub della nuova scuola inglese, spesso insieme a un mc. Nella sala piccola, invece, suonavano una serie di legende del dubstep come Digital Mystikz o Loefah. Era una sala aperta a nuove sonorità. Altre belle serate sono state quelle dell’HiFi Club, con musica prettamente funk e soul. Lì ho avuto il piacere di vedere live come quello Fatima o di Onra.
Oltretutto, il periodo in cui ti sei ritrovato in Inghilterra è stato quello in cui è riesplosa la scena club e in pochi anni hanno rimacinato tutto: 2-step, house, garage, grime. Che artisti inglesi ti hanno segnato in
quel periodo?
EL-B, Midland, Iration Steppas, MssingNo, Moleskin, Logos, Mumdance.
Sei riuscito a conoscerne qualcuno di persona?
Moleskin abitava a Leeds in quel periodo ed è stato molto interessante conoscerlo. Sono poi entrato in contatto con dj locali, promoter e gente che lavorava nel settore della musica.
Sei anche amicone di Scratcha DVA.
L’amicizia con Scratcha nasce qua a Roma grazie a Viral, che mi ha dato la possibilità di incontrarlo di persona. Poi ho avuto anche modo di sentire un suo set al Club2Club di Torino e stare con lui quella sera. Lui è praticamente l’artefice dell’acronimo BITW, ha accorciato Butintheweekend che era troppo lungo: «Sounds terrible»…
Sei stato in club e festival di altre città? Quali ti hanno colpito?
Mi ha colpito Glasgow e il suo approccio di ricerca e di “community” alla musica. Anche a Bristol c’è un bellissimo senso di community e gli artisti si aiutano a vicenda. E il pubblico sa veramente divertirsi.
Sei riuscito a far girare le tue prime cose in questo periodo inglese?
Diciamo che sono riuscito più che altro ad avere un contatto diretto con diverse realtà inglesi e a capire la loro mentalità. Ho suonato in qualche piccolo locale e radio e in qualche festa organizzata a casa a Leeds: anche in quelle situazioni casalinghe devo dire che la musica era molto figa.
Vorrei aprire una parentesi sulle radio inglesi, visto che hai bazzicato alcune tra le più famose, come Rinse e NTS. Come sono gli studi e l’atmosfera lì dentro?
L’atmosfera è vibrante e stimolante, anche se gli studi sono molto piccoli, sopratutto quelli di NTS. Ci sono sempre persone interessate a sapere quello che fai e che vogliono scambiare opinioni sulla musica.
Sei stato tu a contattarli o ti hanno chiamato loro?
I ragazzi di Rinse mi hanno contatto loro con una mail: non ci credevo nemmeno quando l’ho ricevuta, pensavo fosse uno scherzo. Invece a NTS ci sono arrivato tramite una mia amica che lavora lì: è la ragazza che ha scattato molte delle foto classiche dei dj nel box di NTS. Entrambe le esperienze sono state molto interessanti e divertenti.
Assodato che tra il “sistema” musicale italiano e inglese ci sono abissi, penso spesso che uno dei nostri più grandi problemi sia proprio la mancanza di radio. Il 90% delle stazioni manda musica pessima e il restante 10% sono un po’ amorfe al loro interno: hanno programmi diversissimi, anche buoni magari, ma non riescono ad avere un vero impatto. Invece ti bastano pochi ascolti per capire l’identità, ad esempio, di NTS e affidarti alle sue selezioni. Insomma, detto in poche parole, se uno vuole sentire musica nuova e “contemporanea” in Italia, non sa dove andare a sbattere. Condividi questa lettura?
Condivido in pieno e bisognerebbe aprire davvero un capitolo a parte su questo argomento. Uno dei motivi per cui mi sono appassionato alle radio inglesi è stato proprio questo: avevo il bisogno di scoprire musica nuova. In Italia servirebbero più piattaforme che rischiano, anche la stessa Radio Rai dovrebbe darsi una bella rinfrescata e cercare contenuti nuovi. Le uniche realtà che possono fare le veci di una radio sono le etichette o i dj. Comunque, è un discorso che è anche legato all’assenza della cultura club qui in Italia. Poi ci sono i festival, ovviamente, che sono anche loro importanti: bisogna fare rete tra producer/dj e tutte una serie di altre realtà. Secondo me questa è una delle possibili soluzioni, ma è veramente un discorso lungo, che magari un giorno riusciremo a fare più approfonditamente.
Ti capita di ascoltare la radio qui in Italia oppure senti principalmente dischi?
Vorrei tanto una radio stile NTS o Rinse anche in italia, ma ti giuro fatico a trovarle. Finisco sempre ad ascoltare radio inglesi, sopratutto BBC ultimamente, e qualche volta Radio Raheem, che sta proponendo un palinsesto interessante. Dischi forse dovrei ascoltarne di più, dall’inizio alla fine intendo.
A proposito di dischi, questa chiacchierata la stiamo facendo perché hai il tuo debutto in uscita. Iniziamo dalle domande semplici: quando e dove l’hai registrato?
In varie fasi. Le basi sono state messe la scorsa estate, mentre ero al mare. Poi alcuni pezzi li ho registrati a Londra incontrandomi con i musicisti in studio – rAHHH e Kwam – altri sono stati fatti qua a Roma, a casa o in studio. Mi piace il fatto che il disco sia nato in vari luoghi e non è stato concepito in un unico posto.
Cosa hai usato per produrlo?
Un mix di elementi e strumentazione. I synth sono spesso presi dal mio Minilogue e alcuni bassi sono stati fatti con il Bolsa Bass, mitico synth della Critter & Guitari. Poi per la maggior parte dei brani ho usato Ableton Live. Mi sono fatto aiutare da un mio amico sassofonista per la parte di sax di Love Junction e le voci sono state registrate in vari studi.
Hai scelto tu titolo e copertina?
Il titolo sì, la copertina l’ho scelta nel senso che ho deciso io di collaborare con lo studio HB Production di Roma, che si sono occupati anche della grafica del primo singolo Hello!. In ogni caso, l’etichetta mia ha lasciato carta bianca.
In Italia Love Junction esce per Tempesta, come siete entrati in contatto?
Tramite un amico in comune con Enrico Molteni (il fondatore dell’etichetta, nda) ed è stato molto piacevole e facile lavorarci. Mi fa veramente piacere vedere che un etichetta del genere, in Italia, abbia abbracciato un progetto come il mio e abbia allargato i propri orizzonti a un disco orientato più sul dancefloor.
Uscirà anche all’estero?
In realtà principalmente esce con Friends Of Friends, un etichetta di Los Angeles che ha fatto uscire nel corso degli anni progetti interessantissimi con Shlohmo, Groundislava, Aenon e Perera Elsewhere. La Tempsta cura solo l’edizione italiana.
Ti dico due cose che mi hanno sorpreso ascoltando l’album. La prima è la presenza di molte parti vocali: ci sono molte canzoni vere e proprie e meno brani da dancefloor, in termini di durata più che di ritmo. A dir la verità è una sorpresa non sorpresa perché, ascoltando diversi tuoi dj set, di brani con parti vocali preminenti ne metti parecchi.
Ho cercato di dare più un formato canzone a pezzi che sono da pista, cercando di allargare gli orizzonti di un semplice dj set.
La seconda cosa – anche questa una falsa sorpresa per lo stesso motivo – sono le tantissime contaminazioni world. Ultimamente stai ascoltando molta di questa musica?
Ascolto sopratutto musica proveniente dal Ghana e dalla scena di Accra, da dove, per esempio, vengono il cantante Nawtyboi Tattoo e Lamisi, entrambi presenti nel disco. Sto ascoltando molto afrobeat e parecchia dancehall. Il Brasile è da un po’ che lo tengo d’occhio per il baile funk e c’è anche il Portogallo, con tutta la scena Príncipe Discos e kuduro.
Come hai contattato i vari artisti dei featuring? Ce li puoi presentare brevemente uno a uno?
rAHHH, presente nel primo brano, aveva già fatto con me un pezzo uscito in una compilation per Enchufada. Nawtyboi Tattoo – o Kesta, come si fa chiamare adesso – fa parte della scena ghanese di Accra ed è un cantante ed mc, insieme a Slimdrumz spesso producono musica insieme. Chikaya è una cantante di Bristol che ho incontrato di persona quando sono stato lì la scorsa estate. 45Diboss è un cantante giamaicano dancehall, che ha precedentemente fatto un disco stupendo con NA (uno dei due Nguzunguzu). Sul brano Love Junction ha collaborato Riccardo Nebbiosi, un sassofonista di Roma, lui è un amico di vecchia data. Lamisi è anche lei della scena di Accra, amica di Nawtyboi Tattoo. Kwam è un mc londinese, di origini ghanesi. Magugu è un mc/cantante inglese con origini nigeriane, conosciuto per il suo stile molto personale “pidgin rap”, ho pubblicato un suo brano non troppo tempo fa. Sono stati più o meno contatti tutti tramite vari social tipo Facebook, Soundcloud o Twitter.
Se dovessi riassumere il disco in cinque parole quali sceglieresti?
Estate, internet, ballare, fusione, rischiare.
Che ti aspetti da questo disco?
Suonarlo e farlo suonare il più possibile, spero anche che riesca ad avvicinare il pubblico verso certe sonorità nuove: Uk funky, dancehall, bass music etc.
Hai un brano preferito? Il mio è Goo.
Non è facile scegliere, ma probabilmente è Love Junction.
Porterai questo disco in giro con un live?
Sì! Sto preparando un live set che sarà basato su tracce dell’album, tracce vecchie e tracce inedite.
Ti faccio qualche ultima domanda su Roma. Com’è stato il ritorno dall’Inghilterra e perché hai deciso di tornare?
All’inizio è stato traumatico perchè ormai mi ero abituato all’Inghilterra e avevo molti amici lì, poi, non essendo Roma una città bruttissima e con un clima pessimo, mi sono lentamente riabituato. Sono tornato un po’ perché sentivo la necessità di fermarmi, un po’ perché non avevo le idee chiare su cosa fare, un po’ perché finita l’esperienza universitaria ho sì lavorato, ma non molto. Forse, visto anche quanto è successo con la Brexit, non ho fatto la cosa sbagliata.
La tua storia è un po’ in controtendenza rispetto a tante altre: gira che ti rigira hai fatto uscire un disco una volta tornato in Italia e anche con un’etichetta italiana. L’avresti mai immaginato?
No, devo essere sincero, ed è stata una bella sorpresa. C’è un pubblico anche qua per queste sonorità e non è detto che in futuro non ci sia più spazio per dj e producer. Ovviamente è difficile, ma credo che abbia più senso stare qua e cercare di fare rete il più possibile, piuttosto che emigrare e cercare di inserirmi in una scena come quella inglese.
Com’è secondo te la situazione musicale in Italia e a Roma?
È migliorata parecchio negli ultimi anni e ho visto un pullulare di festival e situazioni interessanti. Mi è capitato di suonare in città come Parma o Vicenza, che non sapevo essere così attive musicalmente. Roma, invece, mi sembra un po’ regredita, sopratutto per l’assenza di club e locali dedicati alla musica. Sono stati aperti molti locali per mangiare o per l’aperitivo, ma sinceramente non so quanto ne abbiamo bisogno al momento.
Cosa manca a Roma dal tuo punto di vista?
Come abbiamo detto, una radio secondo me sarebbe il punto di snodo per tutto.
Nell’ultimo anno hai suonato spesso a La Fine. Che esperienza è stata?
Bellissima e del tutto inaspettata. Sono riuscito a suonare sia cose più facili che cose più ricercate o sconosciute e il pubblico ha sempre reagito molto bene. Un club piccolo, ma, secondo me, con la dimensione perfetta per un dj.
Se potessi organizzare un festone in un qualsiasi luogo di Roma, quale sceglieresti e perche?
Borgo Pio: un block party con l’impiantone all’aperto! Sono molto legato a Borgo Pio e alla sua storia, nonostante sia attaccato al Vaticano è sempre stato pieno di personaggi scomodi e fortemente anticlericale.
Visto che ce l’hai anche nel nome, ci dici qual è il tuo week end ideale?
I week end come quelli che facevo in Inghilterra: iniziavano il venerdì sera e finivano la domenica. Si passava da un house party a una festa in un club o in un locale e spesso si creava una bella atmosfera internazionale.