Alle soglie del secondo decennio del 2000, uno spettro si aggirava per i social mondiali: quello della vaporwave. Inutile tentare di delineare una cronistoria del „movimento“, perché il genere in questione altro non è che uno dei tanti trend che da allora imperversano per l’internet, seminando sia geniali provocazioni, quanto fuffa allo stato puro.
Esteticamente parlando, la vaporwave è retromania spicciola creata ad hoc da alcuni figli della generazione cresciuta davanti al tubo catodico e alle pubblicità di paccottiglia per esorcizzare i vecchi mostri di plastica e farne una parodia. La proposta musicale è muzak da centro commerciale, con sample tratti da brani di Glorian Estefan o di Bobby Caldwell pitchati rallentati (effetto Rohypnol), gonfiati di synth e di altri orpelli sonori. La colonna sonora perfetta per reminiscenze di edonismo Reaganiano, ottimismo da yuppie anni 90, culto del denaro, nascita dell’urban sprawl, consumismo sfrenato, il tutto condito da visioni oniriche e da una dose di malinconica attrazione per un periodo storico che pose le basi a questi anni di crisi.
Tra i padri putativi della vaporwave vengono spesso citati James Ferraro e Daniel Lopatin, mentre – in realtà – l’intento degli artisti che stanno dietro a tutto questo è diffondere video, mixtape e tape qualitativamente lo-fi, con pretese artistiche decisamente più basse: mille moniker diversi usati da pochi smanettoni possessori di un profilo su Bandcamp o su Youtube. Uno di questi è Black Banshee, producer canadese dall’identità sconosciuta.
Il suo album „0“ creò un piccolo culto attorno alla sua figura, e l’ultimo „MEGA“ parrebbe consolidarla. Tra suoni di sistemi operativi e OST di videogiochi, glitch, accenni di trap e copertine fatte con paint, l’importante è non fare troppo i puristi dell’elettronica e non prendere tutto troppo sul serio.
Quindi, sorriso alla Willie Denty di Burghy stampato in faccia e via.
Geschrieben von Buono Legnani