Se nel tuo portfolio puoi vantare uscite sotto Hydra Head e Ipecac significa che, tendenzialmente, tu e la tua band non andate tanto per il sottile. I Daughters, riformatisi nel 2013 dopo un’assenza di quasi quattro anni dalle scene, hanno promosso questo ritorno discografico come se avessero qualcosa di imponente tra le mani. Diramando, uno dopo l’altro e per tutta l’estate scorsa, i nuovi singoli che anticipavano l’uscita del maestoso „You won’t get what you want“ hanno suscitato l’impellente curiosità degli orfani della band. In contemporanea, hanno impattato violentemente contro l’udito dell’ascoltatore medio, al quale approdano solitamente produzioni più pulitine e meno sferraglianti, e l’hanno inaspettatamente conquistato. Un disco digerito bene, quindi, non solo dalla nicchia post-hc o noise. La struttura scarna, spigolosa ma allo stesso tempo feroce, accoppiata a liriche esistenzialiste che mettono in allerta sul momento merdoso e statico che stiamo vivendo, rappresentano un connubio che colpisce violentemente in faccia e non ritiene di dover porgere delle scuse.
Spesso vengono accostati ai concittadini The Body e ai Jesus Lizard (influenza presente perlopiù nei dischi precedenti), ma per quest’ultimo LP non si possono non scomodare i sempiterni Swans, i Wolf Eyes, i Big Black e i Godflesh, volendo fare dei paragoni.
Nonostante sia un album ostico, non tanto a livello sonoro bensì a livello concettuale (soprattutto quando si realizza cosa sta girando sul piatto, per non parlare della crudezza dei testi), la brutale bellenza e lo splendente pessimismo sprigionati da questo disco hanno permesso ai Daughters di ottenere un consenso unanime, tra voti altissimi su Rateyourmusic.com e Metacritic e ampio spazio su tutte le riviste del settore, anche qui in Italia.
Venite, orsù, a farvi prendere a cazzotti.
Geschrieben von Buono Legnani