Il concerto fa parte della rassegna “Liszt musicista nel futuro”. L’ipotesi di fondo di questo evento parte dalla considerazione della spettacolare modernità della musica di Franz Liszt, proiettata più di un secolo fa verso soluzioni armoniche estreme, alimentate da inesauribile curiosità verso i linguaggi popolari dell’Est Europa, a loro volta in continuo scambio evolutivo con gli stili del Medio Oriente e dell’area mediterranea. A ciò si aggiunge l’interesse e l’assorbimento lisztiano di stili sacri arcaici e lo studio delle teorie musicali dell’Antica Grecia, giunte a noi attraverso il filtro dell’epoca medievale europea, bizantina, araba, persiana, indiana. La dimensione transculturale del linguaggio sonoro di Liszt è rafforzata dalle sue stesse affermazioni autobiografiche di musicista cosmopolita: di essere per metà Rom (Gypsy, Bohémienne) e per metà Francescano.
Questo concerto si abbina al symposium organizzato dalla Fondazione Liszt il 13 e 14 dicembre 2024 sul tema “Liszt compositore transculturale”. Il tema della sacralità e del dialogo con le tradizioni popolari di origine orientale è al centro di questo programma che affianca brevi composizioni per archi del vecchio Liszt ispirate a visioni angeliche e di morte, all’inedita trascrizione di Massimiliano Messieri della Romanesca di Liszt (il cui tema viene spazializzato nel passaggio tra le diverse voci dell’orchestra d’archi), a fianco della nota rielaborazione creata da Béla Bartók di alcune danze rumene.
Per questa occasione sono state commissionate nuove composizioni ad alcuni compositori di area bolognese. La frammentazione e ricostruzione di impulsi melodici provenienti dall’oratorio lisztiano dedicato al martirio del vescovo polacco San Stanislao guida la suggestiva visione sonora di Alberto Caprioli, che vede il contrabbasso nel ruolo di protagonista. Lo slancio surreale di Luigi Sammarchi ci conduce alla moltiplicazione per strati sonori (nella quale gli archi si perdono tra le sonorità di una voce femminile virtuale) della statica meditazione lisztiana ispirata a Michelangelo e al noto sonetto “Caro m’è ‘l sonno, e più l’esser di sasso, mentre che ‘l danno e la vergogna dura; non veder, non sentir m’è gran ventura; però non mi destar, deh, parla basso“.
Frammentaria e colorata da suggestioni modali e orientali è l’improvvisazione guidata dal compositore iraniano (ma di formazione bolognese) Vahid Hosseini, che sviluppa cadenze e gestualità provenienti dalle rapsodie ungheresi, filtrate dalla propria competenza di musicista classico persiano. Virtuosistiche e leggendarie sono le soluzioni adottate da Riccardo Nova nel Mantra per archi, percussioni, arpa ed elettronica, la cui saturazione timbrica ci conduce all’oggettività solenne e allucinata delle musiche legate al sacrificio, le cui strutture ritmico/melodiche vengono generate da grammatiche mnemoniche di origine vedica e da correlate sequenze numeriche che generano salmodie. La sovrapposizione di diversi sistemi di intonazione e accordatura ci proietta inoltre in uno spazio sonoro nel quale coesistono le dimensioni arcaiche e nuove. Chiude la serata con toni di accesa gestualità la rielaborazione in chiave neo-barocca di Francesco Filidei, che ci riconduce alle sensazioni iniziali e agli intensi e irregolari giochi ritmici delle danze e degli ostinati rumeni di Bartók e della Romanesca di Liszt.
Geschrieben von LR