A fare videogame in Italia ci vuol coraggio. Tanto. E fantasia, passione, capacità. Ma soprattutto coraggio. Se l’Italia consuma videogiochi per circa un miliardo di euro l’anno, i suoi nemmeno 1000 sviluppatori ne producono per non più di 25 milioni. Un po‘ poco per un Paese – come ha sottolineato Konrad Tomaszkiewicz, game director del gioco più bello del 2015, The Witcher 3: Wild Hunt – famoso in tutto il mondo per la sua creatività. E che per ora spicca di rado e solo grazie all’intraprendenza isolata di poche, pochissime realtà (la solita Milestone, qualche Ovosonico e al limite Kunos, che con Assetto corsa sta davvero facendo piccoli miracoli). In fondo i ragazzi di Svilupparty, l’evento nato nel 2010 con il supporto dell’Associazione omonima e dell’Archivio Videoludico della Cineteca, questo fanno: tentano di trovare una via italica alla produzione di videogiochi. Ci provano radunando ogni anno per tre giorni game designer, programmatori, artisti, studenti per fare in modo si incontrino e confrontino. Che spiegata così fa venire il latte alle ginocchia. In realtà a Svilupparty l’atmosfera è quella magari non di una festa, ma di una sagra, anzi di un festival di quelli musicali come ce n’erano una volta. A Bologna soprattutto. Si va lì, si chiacchiera, si presentano i propri giochi e si provano quelli degli altri. E, soprattutto, si impara a conoscersi. Cosa da non sottovalutare in un ecosistema che tale non è. Perché se è il coraggio quel che manca – quello degli autori prima ancora dei produttori -, di certo insieme ci si fa più forti.
Geschrieben von Ugo Brera