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Teatro La Fenice

ZERO hier: rimane abbagliato

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Teatro La Fenice Campo San Fantin (San Marco), 1965
Venezia

Foglie d’oro che accecano gli occhi, una volta celeste da stare col naso all’insù e farsi venire il torcicollo, stucchi, intarsi, velluti: anche guardandolo solo in superficie ci appare in tutta la sua mitologica grandezza. Il Gran Teatro La Fenice è un elemento imprescindibile della storia veneziana: ci racconta dei suoi nobili artistocratici committenti, del legame indissolubile tra la Serenissima e il teatro, della melodramma, della tradizione operistica italiana e delle coraggiose operazioni dialettiche nei confronti della contemporaneità. Non solo paffuti tenori fantasiosamente agghindati, ballerine svolazzanti, compiti direttori d’orchestra e vecchie aristocratiche impellicciate pronte per sfilare alla prima: la Fondazione, con il suo bilancio da 34 milioni di euro (dati 2017), al fianco delle tradizionali stagioni (lirica, balleto e sinfonica) offre regolarmente spazio ad incursioni coraggiose verso l’avanguardia e le sperimentazioni linguistiche. Da Verdi a Stockhausen, da Puccini a Philip Glass. Nomi, rassegne e produzioni che puntano sempre alla qualità: centrando quasi sempre l’obiettivo. Qui si sbiglietta per 10 milioni di euro e si ottengono 16 milioni di euro dal ministero (Fondo unico per lo spettacolo). La Fenice non è solo un teatro: è anche un monumento. Il 23 gennaio 2019 una giovane matematica tedesca è stata la milionesima visitatrice dalla riapertura del 2003, avvenuta dopo l’incendio del 1996. La Fenice è fatta così, rinasce sempre dalle sue ceneri. E noi rimaniamo abbagliati.