Alla base della nascita dello Spazio 211 c’era un sogno, ambizioso e scapestrato come sono in fondo tutti i sogni: creare uno spazio per la produzione di eventi indipendenti che altrimenti non avrebbero avuto risonanza nei circuiti tradizionali. Dare vita ad un contesto di scambio attivo in una periferia che di disagiato aveva tutto, dal grigiume alla mancanza di aree di aggregazione. Il sogno è stato realizzato, il muro è stato abbattuto: lo Spazio 211 è un po‘ la Berlino post 1989 che vive dentro Torino. La rivoluzione è stata proprio quella di sovvertire l’ordine costituito fatto di eventi confezionati come i quattro salti in padella e di azzardare attraverso la Musica, a dispetto del noioso buon senso che definisce le strade già tracciate. Nato circa 20 anni fa come centro polifunzionale di quartiere, è divenuto negli anni sala prove, studio di registrazione, laboratorio e sala concerti, ed è cresciuto in una storica decade che va
dal 2001 al 2011 grazie alla gestione di un personaggio che ha fatto sua questa frase „chi desidera ma non agisce alleva solo pestilenza“. Un personaggio ambizioso e scapestrato appunto, come sono in fondo tutti i geni.
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Torino