Un tempo era l’americano: Campari, vermouth e soda. Il conte Negroni però, lo gradiva col gin. E così nacque l’omonimo cocktail che tanto viene venerato al Mad dog. Io non sono una negronista, ma è difficile non farsi attirare da almeno una delle rivisitazioni create dal locale: la versione daiquiri, per esempio, è una piacevole scoperta. Al Mad Dog le sorprese cominciano subito: per entrare è necessaria una parola d’ordine, proprio come negli speakeasy americani del Proibizionismo. Per conoscerla, bisogna cliccare sul sito del locale e rispondere al quesito. Il passo successivo è prenotare un tavolo via email e cercare di capire quale di quelle porte anonime in legno di via Maria Vittoria sia il club segreto. Suono il citofono e vengono a prendermi: tra le luci soffuse, il pianoforte e le mura in mattoncini vengo improvvisamente trasportata negli anni Venti. La sala fumatori attirerebbe persino il più accanito nemico delle sigarette, con la porta scorrevole in vetro e le poltrone in pelle sulle quali sarei rimasta ore comodamente seduta a chiacchierare, dimenticandomi del concerto swing che si teneva in una delle due sale del locale.
Marialuisa Greco