Apertura, successo esorbitante, chiusura. Una parabola che ha coinvolto moltissime discoteche, da quelle più grandi e famose a quelle più piccole o undeground. A documentarne la fine ingloriosa Disco Mute – Le discoteche abbandonate d’Italia, un libro fotografico uscito qualche mese fa per Magenes Editoriale.
Il progetto, nato durante il primo lockdown, è curato da Alessandro Tesei e Davide Calloni di Ascosi Lasciti, tra i primi fotografi in Italia a praticare la urban exploration. E, insieme a loro, il bolognese Simone Nanetti, fondatore a sua volta di Posti e luoghi abbandonati Italiani, un gruppo di fotografi, tra professionisti e amatoriali, specializzati dal oltre dieci anni nella fotografia dei luoghi abbandonati: fabbriche, ville, castelli, palazzi storici, hotel e, ovviamente, anche discoteche.
Il libro sarà presentato venerdì 21 gennaio al Gallery 16, dove verrà anche inaugurata la mostra con le stesse foto.
Moltissimi i locali dell’Emilia-Romagna presenti: oltre a Cocoricò e Prince (entrambi rinati), Paradiso, Poggiodidiana, Casbah, Tana Club, Marabù, Melody Mecca, ECU, J&J, Cocoricò, Echoes, Adelaide, Moxie, Mondo Blu, Los Angeles.
„I miei 20 anni – ci racconta Simone Nanetti – li ho passati girando le discoteche all’epoca aperte della regione. Per chi come me ha vissuto gli anni migliori della sua vita in quei locali all’epoca all’apice del successo, ritrovarli in rovina suscita grande malinconia. Ce n’è una in particolare che mi ha emozionato particolarmente, un locale che si trova vicino Comacchio che si chiamava J&J, un posto enorme, sette piste, ci stavano circa 8 mila persone, una macchina da guerra del divertimento, chiuso definitivamente una decina di anni fa. Era difficile che un sabato sera non fossi lì, per me era casa. Quando sono andato a vederlo in condizioni pietose mi sono messo a piangere“.
Sul motivo della crisi del clubbing, Simone ha la sua idea: „Le discoteche hanno iniziato a scricchiolare poco dopo il 2000, soprattutto poi nel 2008 con la crisi economica. In discoteca non si spendeva certo poco e la gente ha iniziato ad avere molti meno soldi a disposizione. Quelle sopravvissute da lì cambiarono molto. In particolare alcune che avevano la propria ragion d’essere perché certe cose rimanevano lì dentro hanno subito l’avvento dei social perdendo quel fascino unico. E, infine, al digitalizzazione della musica ha liberalizzato il mestiere dei dj, consentendo a tutti (bar e locali di vario tipo) di fare dj set con dei costi molto inferiori“.