Tra le cicatrici postbelliche che segnano il corpo periferico di Bologna, ce n’è una ben visibile e concreta: la Barca, storicamente considerato il più interessante intervento urbano del dopoguerra bolognese. Collocato a sud di Santa Viola, in un’area adiacente al parco fluviale del Reno, il quartiere ci apre le porte della periferia ovest della città, punto di congiunzione con Casalecchio e l’hinterland.
La molla sociale che fece scattare la necessità di nuove costruzioni ed aree di tipo popolare, ossatura stessa della Barca oggi, fu la massiccia immigrazione dal Sud Italia che contraddistinse gli anni Cinquanta. Così nel 1957 il Comune diede il via all’edificazione del quartiere affidandone le fortune e sfortune all’architetto Giuseppe Vaccaro.
A lui si deve, infatti, l’ideazione di quello che tuttora è l’emblema della periferia bolognese: il lungo, convesso e libero “Treno”, edificio popolare che dal 1962 fa da spina dorsale alla zona e che per anni l‘ ha resa realtà autonoma all’insegna della comunità e della continuità, proprio come la sua stessa estetica suggerisce.
Sebbene il suo architetto lo avesse concepito come spazio abitativo a favore della socialità e della buona convivenza, gli anni Ottanta trasformarono però il Treno in un ghetto a tutti gli effetti: i residenti più anziani raccontano quanto fosse pericoloso, quasi impensabile uscire in tarda sera. Poi col tempo la situazione migliorò, complici i nuovi e luminosi spazi verdi e i collegamenti favoriti dai trasporti pubblici.
Oggi, passeggiando su via Buozzi verso Via Giovanni XXIII, ci si ritrova ancora davanti a questo blocco di due piani dalle finestre color verde scuro che si snoda imperterrito per cinquecento metri, poggiando tutto il suo peso sul caratteristico porticato color cemento.
“Cara mia, la vita del treno è solo questa: inizia qui e finisce lì”. Mi accoglie così la proprietaria di un piccolo chiosco di frutta e verdura posizionato in fondo alla strada, indicando l’inizio e la fine del palazzo, come fosse l’unica e sola parentesi attiva della zona.
Chi ancora si occupa delle attività presenti al piano terra del lungo porticato sembra aver ricreato una cittadella in miniatura. Tutto qui appare più piccolo rispetto alle dimensioni del centro città: le edicole, le pizzerie d’asporto, i bar con pochi tavolini e le associazioni dismesse dagli interni démodé e gli spazi abbandonati e ormai sbiaditi.
La Barca è in grado di mostrarci sfumature variegate e talvolta contrastanti di quello che da sempre è il paradigma della periferia
Una scritta in verde acceso però contrasta con i colori ormai cupi del Treno, ripetuta su più pareti e colonne che recita “riPrendiamo il Treno?”, un messaggio da chi vorrebbe vederlo di nuovo vivo, popolato, impegnato.
Dal 2019 il Comune, in accordo con Acer, ha deciso di riqualificare l’edificio e i suoi spazi commerciali: l’obiettivo (raggiunto) era candidare il suo portico, insieme ad altri importanti portici della città, a patrimonio Unesco, un tentativo per ridare slancio alle arti, l’artigianato, le relazioni di vicinato e le vite dei più giovani che vi gravitano attorno.
Il concept architettonico del Treno ritorna anche nel resto del quartiere: sono, infatti, molto comuni le soluzioni abitative a schiera, simili tra loro e dispiegate più in orizzontale che in altezza.
Davanti alle scuole primarie Cesana, in piazza Bernardi, Pina l’edicolate, 75 anni, sta per andare in pensione. Per evitare che il suo chiosco venga abbandonato un gruppo di abitanti vorrebbe farne una portineria di comunità prendendo spunto da quella di Torino: un luogo di aggregazione che possa offrire anche servizi di prossimità.
Il bisogno di socialità è molto forte in questa parte di città. La fama di quartiere malfamato, però non ha mai abbandonato la zona, un po‘ come succede purtroppo – e a torto – a tutte le periferie del mondo. L’etichetta “barcaioli” circola ancora anche tra i più giovani e addirittura nei corridoi delle scuole medie presenti in zona (come le Dozza) non è raro sentir voci piuttosto paurose e bizzarre rispetto a chi viene dalla Barca, segno di certi stereotipi che faticano a morire e si trasmettono di generazione in generazione.
A spiccare nel paesaggio che si presenta davanti alle finestre del Treno, perfettamente integrata nell’estetica periferica e moderna della Barca, c’è la parrocchia di Sant’Andrea Apostolo, una delle chiese volute dal Cardinale Giacomo Lercaro. Durante il suo apostolato infatti, negli anni Sessanta, i cittadini assistettero ad un ripensamento dello spazio sacro, dove l’architettura contemporanea, dai lineamenti urbani e metropolitani, stringeva la mano al mondo ecclesiastico allo scopo di incrementare l’ascolto e la partecipazione dei fedeli e porsi come centro comunitario in quartieri che non avevano alcun punto di riferimento.
Quello che non manca sono gli spazi verdi che si intrecciano un po’ in tutto il quartiere, con diversi campi da calcio e tennis e, in estate, sempre più eventi culturali sulla scia quel progetto di riqualificazione relativo alla candidatura Unesco. Indimenticabile per il quartiere il cinema sotto le stelle della Cineteca nel 2020, specchio di quello in piazza Maggiore al Centro Sportivo Barca, e negli annali le feste tra alti e bassi del Giardino di Villa Serena; infine, il Parco di via Giovanni XXIII, dove nel 2020 è stato organizzato il festival “il Treno dei desideri”, tra cibo di strada e musica.
La zona Barca è in grado di mostrarci sfumature variegate e talvolta contrastanti di quello che da sempre è il paradigma della periferia: un peculiare stile urbano – foriero talvolta di disagio talvolta di slanci culturali dinamici – stratificato su epoche diverse che si intrecciano e replicano all’infinito, lungo un asse di continuità e totale originalità.