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Come stanno le librerie indipendenti? | La Confraternita dell’Uva

Geschrieben von Greta Biondi il 8 Januar 2025

Bologna ha un po‘ di febbre, ma come se la passano le sue librerie indipendenti? Ecco la nostra nuova rubrica a cura di Greta Biondi.


Arrivo di prima mattina a La Confraternita dell’Uva nello spazio di via Belmeloro, l’unico rimasto dopo la triste chiusura della vineria di via Cartoleria, che in principio aveva legato negli stessi ambienti le due anime del progetto (quello conviviale e quello letterario). Giorgio Santangelo, il libraio, mi accoglie mentre intorno c’è un gran via vai di gente.  Mi fa accomodare, ma lui non riesce a fermarsi un attimo: mentre parliamo, infatti, il telefono non smette di suonare, le persone entrano, i pacchi arrivano, qualcuno chiede, qualcun altro ordina o va direttamente in cassa dopo aver individuato quel che cerca. È un mercoledì mattina, ma è piuttosto movimentato. Iniziamo così la nostra chiacchierata.

È sempre così qui, con tutto questo giro di persone e libri?

Sì e no. È un mestiere strano. Durante l’anno, ma anche durante una sola giornata, si alternano momenti quasi morti ad altri totalmente frenetici, ma in media non ci possiamo lamentare. Anche perché non mi piace farlo. Il momento peggiore è l’estate, ma comunque abbiamo deciso di chiudere per l’intero mese d’agosto. Però non è che stiamo con le mani in mano, figurati: ci trasferiamo in Abruzzo, al festival John Fante, al quale, va da sé, siamo molto affezionati. Da qualche anno ormai siamo i librai ufficiali dell’evento, e devo dire che è una collaborazione molto fruttuosa. Ci riposiamo anche però, giuro.

Giorgio è il multitasking fatto libraio: ha un orecchio qui e uno là, sistema libri, riordina, riassembla, gira il calendario al giorno giusto, dà il buongiorno a chi entra, apre la porta al corriere. Continua poi a parlare con me.

Immagino che tu abbia sentito l’espressione ‚Fai quello che ti piace e non lavorerai mai un giorno in vita tua‘: ecco, tutto vero, però anche totalizzante. Io sono molto contento della mia scelta, e anzi, mi ritengo uno tra i pochi privilegiati che riescono a fare un lavoro che amano. In quanti ultimamente stanno lasciando la propria occupazione perché sfiniti da mansioni e ritmi che prendono tutto e non danno indietro niente? So di molte persone della mia età, quindi attorno ai trentacinque, che sono insoddisfatte, sfruttate…Io sono realmente felice e, anche se non diventerò di certo ricco, mi basta così. La remunerazione poi è relativa, va bene anche la decrescita, purché si riesca a continuare a fare quello che si fa. Però non mi fraintendere: sono un romantico, ma faccio anche tornare i conti.

Mi sembra che queste due anime, quella più idealista, di cura, attenzione e amore profondo per il mestiere di libraio e per l’oggetto libro, e quella invece più pratica e attenta qui convivano alla grande. C’è un segreto che non dici a nessuno?

Credo che la chiave sia riorganizzare il lavoro pensando anche alla propria qualità di vita. In questo senso è importante educare i lettori, i clienti, a certi orari e certe regole. La serranda si alza a una tal’ora e si abbassa ad un’altra. Non possiamo vivere chiusi qua dentro, né io né i miei collaboratori. In un mondo sempre più oppressivo, in cui siamo costantemente vessati e torniamo a casa la sera stanchi morti, chi può aiutarci se non il nostro libraio di quartiere? Perché noi alla fine questo siamo: un esercizio di quartiere che vende una merce davvero speciale, ovvero i libri.

Grazie per aver parlato di quartiere, perché mi sembra un argomento piuttosto interessante, data la zona in cui ci troviamo. Che quartiere è questo per una libreria indipendente? Siete qui, incastonati tra un paio di bar molto frequentati di giorno, e in piena zona universitaria, eppure in alcune vie qua dietro succede di tutto…

Eh, questo secondo me è un punto davvero caldo. È un quartiere bello tosto, più di notte che di giorno, ma comunque è una zona della città parecchio difficile. Qui di notte escono i lupi mannari, e ci sono stati alcuni episodi abbastanza hardcore, tipo quella volta che ero di spalle a sistemare dei libri, e quando mi sono girato ho beccato una persona con le mani nella cassa… Era un soggetto piuttosto in difficoltà, e ho dovuto faticare non poco per cercare di farla ragionare. Niente a che vedere con Santo Stefano, dove stavamo prima. Pensa che dei clienti che venivano da noi in via Cartoleria qui non si spingono, mi dicono che hanno paura, sul serio. Calcola che la prima sera volevo far vedere la sede nuova a mio fratello e l’ho portato davanti alla serranda chiusa: sono venuti e ci hanno chiesto subito i documenti. È davvero un’altra città rispetto alla ‘vecchia’ Confraternita. Alla quale comunque abbiamo dovuto rinunciare perché le mura sono state vendute dalle eredi con ancora noi dentro. Ma questa è un’altra storia…

Quali pensi che siano i motivi di questa situazione attorno alla sede di Via Belmeloro, se li hai individuati?

Certo. Quando la situazione è così grave uno ci ragiona, anche insieme agli altri esercenti della zona. Perché tanto se ne può uscire solo tutti e tutte insieme. Ovviamente la spiegazione è semplice e sotto gli occhi di tutti, se la si vuole vedere. Questa è un’area dove tanti stabili sono vuoti, e comunque di residenti non ce ne sono molti, dato che prettamente è un quartiere studentesco. Ciò vuol dire che ci sono pochi votanti, e che quindi siamo i reietti della politica cittadina. Solo quando c’è qualche convegno importante all’università allora il Comune viene e fa portare via i materassi ai senza tetto. È così che qui si combatte il cosiddetto degrado.

«Questa è una libreria indipendente, perché sgomita tra i colossi e prova a dire che c’è. Vogliatele bene».

E voi del quartiere invece, cosa vorreste che venisse fatto, e cosa state facendo?

Noi vorremmo che ci fossero delle politiche di interessamento attivo, oltre che di riduzione del danno. Ad esempio, non so se lo sai, ma un giorno a settimana vengono distribuiti presidi sanitari (leggi: siringhe pulite) a chi ne ha bisogno. Però questa iniziativa è soltanto assistenziale. Noi vorremmo che la strada venisse vissuta di più, occupata in modo sano da chi questo quartiere lo vive e lo attraversa, per lavoro o per studio. Per questo negli ultimi due anni abbiamo organizzato varie iniziative dal basso e una festa di strada insieme a Otago e Inuit, tra gli altri.

Ma chi è il vostro cliente medio? Gli studenti, i professori, i pochi residenti, chi capita di passaggio…

Noi, come praticamente tutte le librerie indipendenti, abbiamo un pubblico di affezionati, che ci conosce e ci sostiene, sentendosi in linea con le nostre scelte editoriali, con la bibliodiversità che promuoviamo, con un modo diverso di occupare spazio. Ovviamente capitano tanti studenti, che però su dieci libri che vorrebbero avere ne riescono ad acquistare uno, perché i soldi sono quelli che sono, soprattutto adesso che gli affitti sono alle stelle…Direi che il nostro pubblico per eccellenza sono i cosiddetti DINK (double income, no kids). Grazie ragazz*, continuate così!

Lo dice ridendo, e continua.

Anche se molti non vivono più a Bologna, quando passano vengono qui. Pensa che un docente non più in città è tornato e mi ha versato tutto il suo bonus in anticipo dicendo ‘tu intanto prendi questi, poi io vengo via via a prendere i libri’. Con chi è rimasto a Bologna poi (e per forza di cose si è trasferito come me a San Donato), organizziamo gruppi di lettura che riflettono sulle politiche del presente attraverso i classici dimenticati. Con loro riusciamo a parlare anche di cose più da addetti ai lavori, di cui apparentemente non frega niente a nessuno, ad esempio quanto Amazon sia una concorrenza criminale.

Ecco, Amazon. 

Hai presente i nastri trasportatori di Matrix? Ecco, Amazon è così, con in più dinamiche quasi da caporalato per chi ci lavora. Chi sceglie una libreria indipendente compie il gesto (neanche troppo simbolico) di preferirci a dispetto delle altre grandi librerie di catena, che, essendo quasi tutte agglomerate in centro, distano massimo cinquecento metri. Il nostro pubblico lo sa, e grazie a loro riusciamo ad andare avanti.

Quindi, come ve la passate? Rimarrete con noi ancora per secoli, giusto?

Non va male, anzi credo che le librerie indipendenti diventeranno avamposti culturali sempre più centrali nella vita di chi non intende alimentare l’assurdo turbocapitalismo in cui siamo tutti e tutte immerse. Il libraio diventerà sempre più un ibrido tra lo psicologo e il sarto, che cuce addosso a chi entra il libro davvero giusto, comprendendone le necessità, anche le più recondite e confuse. Però fammi togliere una roccia dalla scarpa: questo governo ci sta massacrando. Non solo sta attivamente smantellando quanto di buono fatto dalle legislature precedenti più per motivi ideologici che per altro, ma sta rendendo la vita un inferno ai giovani che provano a diventare adulti. Il governo Meloni ha concretamente eliminato il bonus della 18app sostituendolo con un altro che si basa sul tanto caro “merito”, sta pensando di diminuire se non di estinguere completamente il bonus per i docenti, e soprattutto ha revocato l’unica cosa buona che forse fosse mai stata fatta per i librai oltre la Legge del libro (Legge 13 febbraio 2020, n. 15): il decreto Franceschini del 2020. Con questo decreto si incentivavano le biblioteche ad acquisire il 70% del loro materiale librario da almeno tre librerie diverse presenti su tutto il territorio della Città Metropolitana, stanziando fondi dignitosi. Ecco, non è stato rinnovato e nessuno, tranne noi librai, sembra essersene accorto. Posso assicurarti che per noi era una boccata d’aria fresca da diverse migliaia di euro. Il ministro Giuli mi ha anche quasi tolto il piacere di annusare i libri! La situazione è seria… Ma comunque noi resistiamo e stiamo bene nonostante tutto. E come dice Effequ, una casa editrice alla quale siamo molto affezionati, dei suoi libri: «Questa è una libreria indipendente, perché sgomita tra i colossi e prova a dire che c’è. Vogliatele bene».