Pervertito, perverso, bizzarro, eccentrico, dai gusti particolari: questi i significati di „Kinki“ secondo Wordreference. Ma anche „annodato“, come i 47 anni che l’hanno caratterizzato, con le sue vicende intrecciate, alcuni intricate, come la gente che ci è passata. „Chi ha trovato l’amore, chi il sesso, chi un lavoro e chi si è perso in quelle stanze per non tornare“, verità tratte da un libro edito per Damiani uscito per il quarantennale e ricollegabili a centinaia di avventori, molti dei quali hanno lasciato lì parte dei loro ricordi migliori.
Quella storia, sospesa negli ultimi anni ora, giunge alla conclusione. Il contratto per l’immobile, che aveva anche grossi problemi strutturali, non è stato rinnovato e dopo essere andato all’asta ora ha dei nuovi proprietari, che a quanto pare sarebbero però intenzionati a mantenerne la funzione di club. I dettagli li ha raccontati Micaela Zanni, che lo ha gestito negli ultimo 34 anni, al Resto del Carlino.
Aperto nel 1958 sotto le due torri, in via Zamboni 1, come “Whisky a go-go” e diventato Kinki nel 1975, il club è sempre stato un simbolo dello spirito vitaiolo, anticonformista e biassanot della città. Da primo club gay negli anni settanta a palcoscenico della scena creativa degli anni ottanta, da trampolino per i dj internazionali negli anni novanta a punto d’incontro per la generazione erasmus nel nuovo millennio, il Kinki ha visto passare nelle sue sale tempi diversi e diversi protagonisti.
Il suo spazio, non a caso sotterraneo, ha ospitato la Bologna underground, che scendeva le scale per incontrare la sua parte più segreta. Da Jimi Hendrix a Lucio Dalla, da Achille Bonito Oliva a David LaChapelle, da Valentino Rossi a Jovanotti: chi voleva essere al tempo stesso al centro del mondo e a casa sua, passava da Bologna e veniva al Kinki.
Adieu.