Bologna dimostra continuamente che l’incontro tra studenti e studentesse rappresenta un motore inesauribile di idee e progetti. Questa volta la prova arriva da Fuorisedia (qui su Instagram e qui su TikTok), un podcast realizzato da Letizia Albertini, Viola Pierozzi, Valeria Shabani e Martina Scrazzolo insieme a Simone Cariota, che si occupa della regia, della scenografia e del supporto tecnico. Le studentesse, provenienti da diverse parti d’Italia, ci hanno raccontato il loro progetto con l’entusiasmo di chi ha appena iniziato a fare concretamente quello che fino a poco prima era solo un desiderio.
«Il nome è nato durante una serata. Non bastavano i posti attorno al tavolo e da lì sono cominciati i giochi di parole che hanno portato a “Fuorisedia”, che unisce la parola “fuorisede” all’opera “Una e tre sedie” di Joseph Kosuth».
Tutte iscritte al corso di laurea magistrale in Arti Visive dell’Università di Bologna, hanno legato tra loro andando in giro insieme tra mostre e musei e accorgendosi così di quanti spunti creassero le loro conversazioni. Da lì l’idea di un podcast.
Fuorisedia ripropone, infatti, proprio quelle chiacchierate in un formato lungo di circa 45 minuti, pubblicato su YouTube e Spotify, che sfugge ai vincoli sull’economia del tempo, tipici di TikTok e Instagram.
Il focus del progetto è l’arte contemporanea, argomento spesso difficile da approcciare per il pubblico generico: «Siamo consapevoli di quanto sia un’arte molto diversa, specialmente da quella dei secoli precedenti. La difficoltà nasce dal fatto che l’arte contemporanea utilizza linguaggi diversi che sembrano renderla distante. Per questo le persone spesso pensano di non poterla capire. Il problema non riguarda il visitatore, quanto le mostre stesse che risultano spesso carenti di quella parte di mediazione che le renderebbero più fruibili. Forse è il motivo per cui sembra tutto un po‘ elitario.»
Il tema della fruizione e dell’apprendimento è centrale nelle puntate del podcast di Fuorisedia: «A imparare qualcosa non è solo chi ci guarda, ma anche noi stesse. E non è solo un investimento sentimentale, ma anche lavorativo perché impariamo facendo.»
E il lavoro, nell’arte, si sa, è particolarmente precario con stipendi bassi a fronte di competenze e conoscenze elevate. La consapevolezza di aver creduto in un percorso di studio in cui si investe tempo ed energia finisce con lo scontrarsi con la frustrante constatazione delle offerte di lavoro. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di posizioni poco retribuite o addirittura di tirocini che si prolungano per anni.
Per non parlare del gender gap: «È sempre molto difficile trovare una guida turistica uomo, un mediatore culturale uomo, un educatore museale uomo. Eppure vai a vedere i direttori di musei e sono tutti uomini. I dipartimenti scientifici, i curatori delle mostre, sono tutti uomini.»
Nonostante ciò (o forse anche in virtù di ciò?), l’ambizione è quella di contribuire ad un cambiamento. È solo l’inizio, ma già si vedono dei piccoli risultati: «Siamo attive da un mese, ma abbiamo tantissima risposta. È un riscontro che non ci aspettavamo, soprattutto perché il panorama dei podcast è abbastanza saturo.»
Il sogno è quello di espandersi, arrivando ad avere uno spazio di registrazione fuori dal set iniziale, allestito all’interno di una delle loro camere, e poi, oltre allo spazio di divulgazione virtuale, creare anche uno spazio espositivo: «Non bisogna limitarsi nelle aspettative. Sognare, alla fine, non costa niente.»