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I riti funebri, i rave e le pratiche decoloniali di Santarcangelo Festival 2024

Geschrieben von Salvatore Papa il 12 Juni 2024
Aggiornato il 24 Juni 2024

While we are here - foto © Bea Borgers

„Percepire il tempo in modo diverso, più ricco e profondo“. È la sfida che si pone da sempre – e quest’anno in particolare – Santarcangelo Festival in un tempo complicato come il nostro pieno di conflitti, ingiustizie e pericoli per la sopravvivenza stessa del genere umano. While we are here (mentre siamo qui) è il titolo della 54esima edizione, dal 5 al 14 luglio 2024: un invito a riflettere su quello che accade mentre siamo immersi nell’esperienza delle performance artistiche, nel momento in cui ci incontriamo in quello spazio di condivisione creato da un festival che vuole sì celebrare l’arte, ma insistere anche sulla riflessione critica del mondo contemporaneo.

«Siamo convinte e convinti – afferma il direttore artistico Tomasz Kireńczuk, riconfermato alla guida per altri tre anni – che questo essere insieme, che sfugge alla logica della vita quotidiana, abbia un enorme potenziale. Vogliamo chiederci cosa ci succede mentre siamo qui».

«Nella nostra pratica curatoriale – spiega Kireńczuk – il claim arriva sempre alla fine. Per noi è una cornice che diventa chiara quando chiudiamo il programma. E quest’anno sono moltissimi gli artisti e le artiste che nell’atto performativo creano uno spazio comune tra riti funebri, rave e pratiche decoloniali».

Repertório – foto © Matheus Freitas

Come ormai consuetudine, il programma è ricco di prime apparizioni italiane e proposte interdisciplinari tra teatro, danza, installazione e intervento artistico che si sviluppano in una costellazione di spazi che ogni anno presenta qualche novità.

Due, in particolare, sono i luoghi emblematici di quest’edizione. Uno è l‘Ex Cementificio Buzzi Unicem, chiuso dal 2008 e per più di 100 anni il cuore industriale della città, che dal prossimo giugno entrerà a far parte del patrimonio comunale. Il giardino dell’ex fabbrica, oltre a presentare l’esito di laboratorio della non-scuola del Teatro delle Albe, ospiterà due soli coreografici: quello del brasiliano Bruno Freire, Life is not useful or It is what it is, che prende le mosse dall’opera di Ailton Krenak, attivista nei movimenti indigeni, sociali e ambientali fin dagli anni Settanta, e quello di Stefania Tansini, che torna a Santarcangelo con L’ombelico dei limbi.

Altro luogo da sempre perno dell’interna manifestazione è Piazza Ganganelli, spazio pubblico per eccellenza dove il festival incontra la città. Qui due saranno i lavori (gratuiti) presenti: HIT out di Parini Secondo nel primo weekend, una partitura coreografica e musicale basata sul salto della corda, e 52blue, solo coreografico dell’artista di origini brasiliane Francisco Thiago Cavalcanti.

Sempre in piazza, durante la settimana ci saranno una serie di warm up e pratiche corporee collettive guidate da alcuni artisti presenti nel programma e fruibili in maniera libera, senza prenotazione o altro: un atto partecipativo orizzontale e libero per una pratica di allenamento comunitario su una pedana rotonda che rimarrà per tutta la durata dell’evento.

non-scuola Teatro delle Albe – foto © Pietro Bertora

Uno dei fili rossi che lega diversi lavori, come già anticipato, è quello della ritualità: così in While we are here dell’artista belga Lisa Vereertbrugghen (titolo che ha ispirato il claim di ques’edizione), un lavoro per cinque performer su rave culture e techno-folk; Rive di Dalila Belaza, coreografa francese di origini algerine che indaga il dialogo tra danze rituali e astrazione con un cerimoniale che prenderà vita grazie a un ensemble di sette performer; il tableau vivant Murillo di Claudia Castellucci che raccoglie un’antologia di elemosine sui modi con cui si tende la mano quando si chiede qualcosa; o The Last Lamentation di Valentina Medda che verrà presentato nel letto del fiume Marecchia, dove l’acqua in estate non c’è più, un rito funebre per 12 interpreti che riguarda quindi la natura che ci circonda.

Altro tema portante è il decolonialismo: un esame critico del mondo viene proposto dai coreografi brasiliani Davi Pontes e Wallace Ferreira con il secondo e il terzo capitolo della trilogia coreografica Repertório, dove la danza viene usata dal duo come forma di autodifesa per liberarsi da sovrastutture razziali e ciseteropatriarcali insite nel pensiero occidentale; Rectum Crocodile  di Marvin M’toum, artista che viene dal mondo della moda, è un racconto danzato e cantato in cui esseri umani, animali e piante appaiono uno dopo l’altro per testimoniare la violenza del colonialismo; Rébecca Chaillon, originaria della Martinica, con La gouineraie decostruisce il mito della famiglia bianca e patriarcale, mostrando la potenza salvifica insita nelle cultura femminista, e in The Cake si trasforma in una torta edibile, lasciandosi idealmente divorare dal pubblico.

HANDS UP – foto di Gintare Zaltauskaite

E, ancora: la danza diventa uno strumento di attivismo sociale in Hands Up di Agniete Lisickinaite; l’artista polacca Agata Siniarska con null&void  racconta storie di distruzione di massa dalla prospettiva non antropocentrica della terra e del paesaggio, da voci animali e vegetali; si entra in un regno magico e grottesco abitato da strane forme viventi, al confine tra la vita e la morte, con Lessons for Cadavers di Michelle Moura, alla quale spetta l’onore di aprire il festival; e Nurture, performance per una sola persona alla volta dell’artista finlandese Samuli Laine, indaga le politiche di genere e di convivenza attraverso l’atto del caregiving e dell’allattamento al seno.

Impossibile, infine, dimenticare Imbosco, il dopofestival di Santarcangelo con dJ italiani e internazionali, quest’anno nella sua sede storica ai piedi del Parco Cappuccini: un tendone da circo nascosto tra gli alberi, dove distendersi e ballare in attesa del nuovo giorno.

QUI IL PROGRAMMA COMPLETO