Ad could not be loaded.

Il grande ritorno del TFF – Torino Film Festival

La fiera sabauda del cinema lambisce il quarantesimo, tra dinamicità e voglia di restyling

Geschrieben von Simöne Gall il 17 November 2022

Daliland

„Non si può fare arte senza riflettere sull’arte”. A dirlo è Ugo Nespolo, illustre torinese cui il Museo Nazionale del Cinema ha assegnato, in mani sicure, la realizzare dell’immagine coordinata della quarantesima edizione del Torino Film Festival, dal 25 novembre al 3 dicembre, la prima diretta dal critico cinematografico Steve Della Casa. Artista multiforme (nel 1967 fu pioniere, fra le altre cose, del Cinema Sperimentale Italiano), Nespolo conosce bene l’ambito del TFF, avendone ricoperto a sua volta la presidenza dal 2011 al 2014 e ci ricorda come già in origine la kermesse fu concepita sotto il segno dell’innovazione e della scrupolosa ricerca delle cinematografie e delle ricerche stilistiche. Un festival che si è (quasi) sempre proposto di evitare atteggiamenti esornativi, tappeti rossi e passerelle fashion, ghermendo il cuore pulsante del cinema come autentica espressione artistica. Toccato dalle Avanguardie europee, Nespolo trasse da Depero l’idea di arte ludica che pervade ogni aspetto del quotidiano, e dunque il manifesto da lui ideato per i quarant’anni del TFF vuole essere prima di tutto la celebrazione di una festa, risultante dal gioco visivo che corre senza schemi e ritegno nel corpo del cinema, avviluppando indistintamente – ma con sentito affetto – i soggetti che vanno a comporlo: Un Chien Andalou, Yellow Submarine, Kill Bill, Totò, Arancia Meccanica, Blues Brothers e gli altri. Un passato reinterpretato in un insieme di immagini superbamente stilizzate che per l’occasione, oltre a dar corpo al poster, si è voluto allargare e declinare in un progetto di arte urbana: vere e proprie installazioni dislocate in vari punti urbani della città di Torino.

Cosa offre la quarantesima edizione del Torino Film Festival

La presenza di McDowell nell’immagine guida non è peraltro casuale, dato che questi celebrerà a Torino i cinquant’anni di A Clockwork Orange (previsto in proiezione assieme ad altri film in cui l’attore britannico, cui verrà donato il Premio Stella della Mole, è apparso). McDowell è inoltre previsto nello spazio dedicato alle masterclass (a condurlo sarà David Grieco, lo stesso che lo aveva diretto nell’inquietante Evilenko), assieme a personaggi come Toni Servillo e Mario Martone, in attesa, quest’ultimo, di candidatura all’Oscar. 

Venendo ai numeri, i lavori presentati quest’anno dal festival tra corti, lungometraggi e anteprime internazionali, sono in totale centosettantatre. Nuovi autori, fra cui il nipponico Takeshi Kogahara e la francese Charlotte Le Bon,  gareggeranno per aggiudicarsi la vittoria dei film in concorso. Com’è spesso consuetudine, però, anche stavolta sarà il noto spazio ‚Fuori Concorso‚ a garantire una selezione particolarmente ricca e articolata di pellicole, grazie a una mappatura delle principali linee di tendenza del cinema contemporaneo. Lietamente sospirati sono i ritorni di Werner Herzog (che col suo The Fire Within: A Requiem For Katia And Maurice Krafft omaggia l’ambito della vulcanologia), di Aleksandr Sokurov con Fairytale („una bolgia in deep fake“ con Stalin, Hitler, Churchill e Mussolini alle porte del paradiso), di un sempre impavido Jerzy Skolimowski (con l’emozionante storia dell’asinello EO), ma anche di quel grande teatrante cinico e visionario che è il nostrano Antonio Rezza, al festival con una sua personale visione del Vangelo con l’opera Il Cristo in Gola.

L’edizione numero quaranta punta però anche alla scoperta (o, a seconda dei casi, a una conferma) di una nuova quanto promettente generazione di cineasti internazionali (Davy Chou, Hlynur Palmason, Alain Ugetto, Chie Hayakawa) e dunque al cinema di genere declinato in tutte le sue possibili formulazioni: dalla commedia d’epoca di Pinball – The Man Who Saved The Game (della coppia statunitense Bragg), passando per splatter di Project Wolf Hunting (del coreano Kim Hong Sun, preannunciato da Della Casa come „Il thriller più violento dell’anno“) per arrivare a Empire Of Light di Sam Mendes, She Said di Maria Schrader (film inchiesta sul caso Harvey Weinstein) e Daliland di Mary Harron. Costei, la quale come forse ricorderemo firmò un inappuntabile lavoro di regia per la messa in pellicola del romanzo di Bret Easton Ellis American Psycho, porrà questa volta in essere un ritratto inedito di Salvador Dalì e della moglie Gala (interpretati rispettivamente da Ben Kingsley e Barbara Sukowa). Oltre a tutto ciò, da segnalare è l’omaggio a Mike Kaplan da parte del produttore di Robert Altman, qui con due documentari realizzati negli anni Novanta, tra cui Luck, Trust & Ketchup, imperniato sulla lavorazione del ciclopico America Oggi. La sezione dedicata all’horror, ‚Crazies‘, occupa invece lo spazio vertiginoso e angoscioso esplorato nelle due precedenti edizioni da ‚Le Stanze di Rol‘.  ‚Crazies‘, curata da Luciano Sovena e realizzata in stretto contatto con il network Blood Window, metterà al centro le presenze fuori concorso di maestri come Luis Mandoki e omaggi vari come quello dedicato a Josè Mojica Marins, maestro dell’horror brasiliano.

Lo staff del festival si è impegnato al massimo per non deludere le aspettative, assicura Della Casa, lo stesso che ha annunciato questa quarantesima edizione facendo leva sul „ritorno in sala“ (qualcosa che in realtà aveva già interessato, nella sua interezza, la più silente edizione 2021). Sforzi che si sono anche tradotti in una moltiplicazione degli schermi e in una meno auspicabile (dato lo stress che già lascia presagire) „riapertura delle biglietterie“.