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La Casa del Mondo sotto sfratto: la vicenda del centro antirazzista in Bolognina

quartiere Bolognina

Geschrieben von Salvatore Papa il 22 März 2024

Nella Bolognina in cui, secondo un report di Save The Children, bambine e bambini – soprattutto se stranieri – sono più a rischio di diseguaglianze economiche ed educative rispetto ad altri quartieri della città, c’è un’associazione che dal 2020 prova a invertire la rotta lottando contro l’esclusione minorile e il razzismo.

Nata per mitigare gli effetti del Covid e poter dare un supporto alla scuola e alla genitorialità, La Casa del Mondo ha sede in via Antonio di Vincenzo 18/a, un piccolo spazio di 60 mq nato inizialmente da una piccola rete creatasi intorno all’associazione di donne della Costa d’Avorio Adjebadia. Tra corsi di lingua, attività di doposcuola, laboratori, escursioni e iniziative culturali accoglie 30 bambine e bambini del quartiere fino ai 10 anni e molte famiglie, ragazze e ragazzi coinvolgendo genitori, educatori ed educatrici, professori, professoresse, maestre, artiste e artisti. Il tutto offerto gratuitamente e mettendo al centro l’antirazzismo, l’antisessismo e il contrasto a ogni tipo di violenza e discriminazione.

Un lavoro volontario enorme e preziosissimo che ha prodotto più di 50 ore di scuola di italiano e più di 450 ore di spazio compiti, e che ora è a rischio sfratto. Questo perché il canone d’affitto di 500 euro al mese a un certo punto è diventato impossibile da sostenere con l’autofinanziamento. Canone d’affitto pagato in un locale di edilizia residenziale pubblica ottenuto tramite un bando di ACER e a fronte di un contratto di tipo commerciale, nonostante la chiara attività no profit dell’associazione. A causa del debito accumulatosi, ACER ha quindi recapitato nei giorni scorsi una notifica per abbandonare i locali entro il 16 aprile prossimo.

«Siamo entrati – ci racconta Didier Tieoule – che l’affitto era di 350 euro, poi nel giro di un anno e mezzo è passato a 500 euro, accusando quindi anche noi gli effetti della bolla immobiliare della città. Il contratto che abbiamo è di tipo commerciale perché ACER pur essendo un ente di gestione del patrimonio pubblico, opera come una società per azioni che compete nel mercato, e nonostante il patrimonio sia del Comune, le regole sulle residenze pubbliche sono di ACER. Comunque all’inizio pensavamo di farcela, eravamo fortemente motivati e intenzionati a far crescere l’associazione in uno spazio stabile. E, infatti, è cresciuta in fretta: abbiamo sin da subito attivato corsi di lingua italiana, percorsi per sole mamme, corsi di informatica e e digitalizzazione e anche uno sportello legale, per un supporto che andava dalla semplice compilazione dei documenti all’assistenza in casi di sfratto (e di sfratti ne abbiamo fermati tre). Ci sostenevamo un po‘ di tasca nostra, un po‘ con gli eventi e le raccolte fondi, ma poi abbiamo iniziato ad avere difficoltà».

«Il nostro scopo era anche dare un’alternativa a condizioni di vita in cui bambine e bambine non possono permettersi il teatro, di andare in vacanza, di andare al mare, ecc. Per invertire queste dinamiche, siamo stati quindi al teatro regolarmente, abbiamo fatto gite in collina con le guide del CAI e molto altro. Abbiamo cominciato, però, ad avere i nostri problemi quando il debito si è accumulato e non riuscivamo più a dare una risposta al numero di utenti che continuava ad aumentare in uno spazio così piccolo. Da quel momento abbiamo iniziato a chiedere alle cooperative che ci mandavano delle persone per farle studiare (e che hanno invece dei fondi per fare quello che chiedono a noi) di sovvenzionarci, ma anche questo non è bastato. Essendo in debito, non potevamo partecipare ad altri bandi per l’assegnazione di un locale più grande, così abbiamo organizzato un incontro l’autunno scorso, con il presidente di ACER, Marco Bertuzzi, la sua avvocata, la presidentessa di Fondazione Innovazione Urbana, Erika Capasso e un consigliere comunale, insieme ad altre associazioni e persone che ci hanno portato solidarietà, per concordare un piano di rientro a fronte di questa situazione».

Un piano di rientro dettagliato inviato per PEC a dicembre, che non ha prodotto però risposta, finché all’inizio di marzo è arrivata come una doccia fredda la notifica dell’ufficiale giudiziario per lo sfratto.

«Ci hanno comunicato – continua Didier – che per il 16 aprile è stato prenotato da parte di Acer uno sfratto con l’ausilio della forza pubblica, una roba che si fa per situazioni di conflitto tra proprietà e inquilino ma non nel nostro caso che avevamo una trattativa aperta. Stupiti di ciò abbiamo ricontattato Acer che, effettivamente, non aveva nemmeno letto la nostra proposta. Si sono, quindi, scusati e, grazie all’intermediazione del Comune, ci hanno però chiesto 2.500 euro entro il 10 aprile più 100 euro da aggiungere all’affitto. Il problema però rimane: se anche riuscissimo a pagare per scongiurare questo sgombero, come faremo poi a pagare 600 euro al mese più le spese correnti?».

Casa del Mondo ha, intanto organizzato una raccolta fondi, e due giornate di sensibilizzazione, domenica 24 marzo in piazza dell’Unità e mercoledì 27 presso la propria sede con la proiezione dl documentario The long Road to the Hall of Fame di Réda Zine, socio dell’aps.

«Il crowdfunding che abbiamo organizzato non ci aiuterà certo a risolvere i nostri problemi, ma vuole sottolineare e rendere chiaro il problema dell’accessibilità agli spazi pubblici. Un problema che riguarda, ad esempio, anche la vicenda Làbas. Dal Comune ci dicono di aver bisogno di tempo per poter modificare il regolamento di ACER e che vorrebbero trovare una soluzione alternativa ai bandi che consenta assegnazioni dirette. Ma io credo che manca la volontà politica, perché la legge in questo senso è chiara. Nella nostra proposta ho estrapolato tutte le normative utili per poter realizzare un cambio di destinazione d’uso e permettere al Comune di ritirare quell’immobile dalla gestione ACER e assegnarlo per funzioni sociali. In via Zampieri, per dire, abbiamo individuato quattro immobili vuoti che ACER non ha mai messo a bando da sette anni. Sono lì a prendere polvere e sono uno schiaffo alla povertà e alle attività di volontariato».